ipertesti 3

Chi scrive > dibattito sugli ipertesti > 3

 

Capitolo terzo

Il livello intensivo del dibattito: 

caratteri ed effetti testuali dell’ipertesto 


1. La riconfigurazione del testo

L’ipertesto elettronico nasce nella cultura informatica e assume lo statuto di un oggetto nuovo che si inserisce nell’insieme strutturato della testualità tradizionale modificandolo nel suo complesso e riconfigurandone i singoli elementi. Paolo Ferri, nella sua introduzione a Landow, sottolinea che «di ipertesti cartacei, indici analitici, mappe concettuali, teatri della memoria, è colma la nostra tradizione culturale, mentre la storia dello studio informatico degli ipertesti è piuttosto recente. Ma è proprio questo secondo aspetto del problema, la transizione al digitale, l’apertura del nuovo spazio della scrittura, reso possibile dalle nuove tecnologie, che mette in discussione la natura stessa dei concetti che stanno alla base della nostra tradizione culturale: i concetti di testo, autore, lettore, narrativa, e storia della letteratura»[1].

Sono gli studiosi di letteratura e di semiotica che focalizzano lo sguardo sugli aspetti intratestuali e intertestuali dell’ipertestualità. Il dibattito si sposta così a un livello più intensivo, dove le riflessioni si declinano nell’analisi dei caratteri peculiari dell’ipertestualità e degli effetti prettamente testuali di essa.

C’è concordanza nell’identificare i caratteri su cui si fonda lo statuto dell’ipertesto nella reticolarità e nell’interattività, supportate dalla tecnologia elettronica che, da una parte, permette alla testualità reticolare interattiva, di per sé concepibile anche su carta, di realizzarsi in strutture estremamente complesse e percorribili istantaneamente, e, dall’altra parte, virtualizza il testo corrompendone la stabilità.

Le posizioni si differenziano, invece, sul tema cruciale del dibattito: gli effetti testuali del regime reticolare e interattivo proprio dell’ipertesto. L’ipertestualità, infatti, mette in discussione qualità e spazio della scrittura, testo e soggetti comunicativi e provoca la crisi dei canoni della testualità cartacea, sia rispetto all’organizzazione e alla gerarchia interna delle parti costitutive del testo, sia  rispetto ai ruoli di  autore e lettore. Le riflessioni si polarizzano, in sostanza, intorno a una posizione di continuità con la tradizione culturale degli studi testuali e a una posizione di rottura con essa e di enfatizzazione dell’effetto rivoluzionario dell’ipertestualità. 



[1] P. Ferri da introduzione a Landow

P. Ferri, La virtualizzazione delle pratiche comunicative,

http://www.geocities.com/Paris/Lights/7323/paoloferri.html#_ftnref4


2. La specificità elettronica
3. Lo stile della scrittura elettronica
4. La lettura dell’ipertesto in chiave spaziale
5. La reticolarità connettiva
6. La connettività al livello delle relazioni intertestuali e intratestuali
(riconfigurazione della relazione tra autore e testo)

7. La connettività al livello della fruizione interattiva
(riconfigurazione della relazione tra autore e lettore)

Al livello della fruizione, il dibattito sulla connettività ipertestuale si è sviluppato soprattutto sul tema della lettura ipertestuale, vista come conquista assoluta della libertà del lettore, da parte dei critici post-strutturalisti e in termini di equilibrio interattivo tra i ruoli del lettore e dell’autore, da parte degli studiosi più moderati.

Più volte Landow pone le proprie argomentazioni sull’ipertesto in termini di convergenza con le teorie letterarie post-strutturaliste, sebbene, obietta Cadioli, al fine di ricondurre i contributi degli studiosi a segmenti della linea critica che unirebbe Barthes a Derrida, spesso «sono state operate opportune selezioni tra gli autori e dentro l’opera di ciascuno di essi».

In particolare, Landow afferma che, nell’ambito del rapporto tra i ruoli di autore e lettore, «la figura dell’autore ipertestuale si avvicina a quella del lettore, anche se non arriva a identificarsi completamente con essa; le funzioni di lettore e di autore si intersecano sempre di più e in modo molto più profondo di quanto non accadesse prima».[1] Cadioli replica che, «in realtà, caso mai, è la figura del lettore ad accostarsi a quella dell’autore (e non viceversa) », e che, se lo stesso Landow ammette che l’identificazione dei ruoli non è completa, può essere il caso, allora, di chiedersi se persiste comunque una presenza autoriale. Se, obietta ancora Cadioli, «in Ipertesto la risposta non c’è», il problema rimane pur sempre di fondamentale importanza.

Per Bettetini l’esistenza di un progetto di organizzazione del testo preesistente all’atto di fruizione non può essere messa in crisi neanche dal ruolo di primo piano che il lettore assume nell’attualizzazione del testo, in quanto, la stessa interattività ipertestuale non può che «essere prevista a monte e quindi tradotta in una serie di strategie testuali. Anzi, il particolare tipo di attività consentita al lettore ipertestuale complica il compito di costruzione del progetto». Il lettore deve acquisire, infatti, una serie di competenze che vanno dal sapere articolare i percorsi all’interno dell’ipertesto, nella maniera più rispondente ai propri interessi, alla capacità di predisporre l’ipertesto a utilizzi successivi, ampliandone i contenuti e istituendo nuovi collegamenti. L’atto fruitivo concreto, inoltre, deve comprendere «l’attivazione di una serie di dispositivi tecnici per rendere materialmente possibile l’interazione» e, ancora «la pluralità di competenze che il lettore ipertestuale deve acquisire è confermata anche dalla ricchezza e dalla plurivocità dell’esperienza fruitiva: di fronte alle opere multimediali, i lettori sono al tempo stesso spettatori e ascoltatori» con una diversificazione della stessa dimensione fisica del consumo.  Tuttavia, la constatazione  del carico di compiti e di responsabilità che il testo elettronico attribuisce al lettore porta, oltre a rivestire il polo soggettivo di importanza crescente, anche a rivalutare, contemporaneamente, il polo autoriale. L’autore del progetto, infatti, «non solo deve costruire dei luoghi in cui si possa manifestare la presenza dell’enunciatario;  non solo deve progettarne il cammino entro i propri confini; ma, anche, deve prevedere la molteplicità delle scelte e, addirittura, evidenziare le scelte in quanto molteplici».

È proprio nell’articolazione di appositi luoghi metatestuali per l’interattività, nello “spazio agito”, più che altrove, che, secondo Bettetini «il testo rivela la propria natura di spazio dialogico, in cui due soggetti si incontrano e, insieme, compiono delle azioni».

A questo proposito ancora una volta, Bettetini identifica nelle riflessioni sull’ipertesto un catalizzatore di concetti, ampiamente discussi in aree disciplinari contigue, che vengono ad assumere una nuova connotazione e una forma tecnologicamente più appropriata. Qui l’archetipo, cui le considerazioni sull’ipertesto danno nuovi sviluppi, è costituito dagli studi in cui «accanto a un’idea di lettura come esperienza, propria dell’individuo, si sviluppa il concetto di lettura come lavoro testuale, che prevede la simulazione dello scambio comunicativo all’interno del testo stesso».

La concezione comune è quella che Bettetini ricostruisce, sintetizzando le diverse posizioni sul tema, in termini di «consapevolezza che neanche il testo, inteso come macroscrittura, è in grado di dar conto completamente del proprio senso; quest’ultimo, infatti, si costruisce solo durante l’interazione con il lettore. Il processo della lettura, allora, afferma la presenza e la responsabilità di un polo soggettivo che entra in contatto con un polo oggettivo (il testo, appunto)», visto però come «un dispositivo in grado di progettare e – in larga parte – predisporre al proprio interno il percorso di lettura più idoneo».

La lettura si configura, quindi, in primo luogo, come risposta a un testo, il quale però postula già al suo interno un “lettore implicito” come «polo virtuale del ricettore all’interno del testo». La partecipazione attiva del lettore reale consente, poi, «l’attualizzazione del significato, che il testo in sé prevede soltanto  al livello potenziale»[2]

Negli ipertesti poi è presente un’ulteriore caratteristica «che contribuisce a delineare in modo diverso la rappresentazione simbolica del dialogo, è l’esistenza di un duplice livello – testuale e metatestuale – in cui il secondo, sempre presente a fianco e all’interno del corpus testuale vero e proprio, esplicita il patto collaborativo tra utente e sistema.

Nei testi tradizionali l’interazione tra i due interlocutori avviene in modo simbolico ed è figurativizzata solo in alcuni casi particolari, tramite l’identificazione di una delle due figure  con un personaggio vicario interno alla diegesi; il regime ipertestuale propone invece una costante manifestazione del livello interattivo dello scambio comunicativo».[3] L’ipertesto, allora, secondo Bettetini, «non si limita a predisporre un simulacro, individuabile da un insieme di tracce tecniche lasciate dal lavoro di scrittura; all’istanza simbolica  che rappresenta il ricettore si affiancano una serie di dispositivi che costituiscono una vera e propria protesi a disposizione dell’utente per estendere le proprie concrete capacità di azione anche all’interno del testo». Si tratta del cursore e degli altri elementi grafici dell’interfaccia che consentono al fruitore di entrare materialmente nel  testo e di occuparvi un posto di primo piano, lasciando una serie di tracce, così come nei testi a stampa avviene per il soggetto dell’enunciazione.

Lobietti tratta dell’importanza strategica dell’interfaccia di navigazione, sia nella progettazione, sia nella lettura di ipertesti, in quanto strumento capace di coniugare l’istanza autoriale di disciplina della tendenza entropica dell’ipertesto, con la libertà del lettore. In primo luogo, l’interfaccia ridurrebbe i pericoli dell’infinita apertura dell’ipertesto rappresentando una prima forma di organizzazione e di gerarchia dei testi e una guida capace di lasciare intravedere la molteplicità dei percorsi di lettura, e di suggerire o ammiccare verso alcuni temi principali; in secondo luogo, le interfacce si porrebbero come luogo di costruzione di inedite forme di narrazione e di ricezione dei testi, consentendo la manipolazione e l’interazione del lettore con gli oggetti messi disposizione e facendogli recuperare,  il gusto del testo con la partecipazione al suo costituirsi  in una sorta  di nuova forma di narratività. In questo modo,  «l’interfaccia non agisce semplicemente come interprete tra uomo e macchina, non si pone solamente come elemento paratestuale di mediazione, bensì permette di determinare percorsi di lettura, fornendo un’esperienza di lettura che da un lato conserva i principi rizomatici (accessi multipli, apertura infinita etc.) dall’ altro lato ricompone la godibilità il testo, elaborando una strategia che attraverso alcuni accorgimenti accorcia la distanza tra il testo elettronico e quello tradizionale, sequenziale»[4].

Il superamento della distinzione tra l’atto individuale di produzione, proprio dello scrittore, e la funzione privata, di accoglimento, propria del lettore è interpretato da Bettetini, coerentemente alle proprie tesi, come «il risultato ultimo della presenza di quel livello metatestuale, attivo in ogni ipertesto».[5]

Riconfigurata in termini di interattività all’interno di una struttura testuale, l’assoluta libertà del lettore, esaltata negli ambienti vicini al decostruzionismo, risulta quindi notevolmente ridimensionata, per cui, secondo Cadioli, «converrà dire, più modestamente e con minori entusiasmi poststrutturalisti, che l’autore dell’ipertesto ha una sua non secondaria presenza così come il lettore ha una maggiore libertà, più o meno nascostamente vigilata (e comunque più ampia in rapporto al numero delle combinazioni possibili), nel decidere quale navigazione condurre tra i flutti ipertestuali: proprio nell’equilibrio tra queste due componenti si sviluppa l’interattività ipertestuale». E in effetti, per Cadioli, la parola che, meglio di ogni altra, indica la novità della fruizione ipertestuale è proprio “interattività”, «ma solo se la utilizza con la consapevolezza che si parla di qualcosa di diverso dall’interattività che da sempre è richiesta in ogni atto di lettura». Così, «se qualsiasi testo, manoscritto o a stampa, ha bisogno di un lettore attivo che lo faccia funzionare (e per questo viene definito da Eco “macchina pigra”), molto di più un ipertesto digitale deve la sua “esistenza” a scelte continue da parte di chi lo sta leggendo, non solo per la costruzione del senso, davanti a un percorso già tracciato, ma per la costruzione dello stesso percorso testuale tra tante opzioni possibili».[6]

Il parallelo con la fruizione dei testi a stampa è portato ancora più avanti da Cadioli con l’argomentazione che  «sul piano della lettura individuale, naturalmente, ogni lettore è autore di un ipertesto fatto a propria misura: ma questo accade anche per chi utilizza i libri a stampa, una volta che abbia deciso di non seguire una lettura sequenziale, tanto più se ha la possibilità di utilizzare a suo piacimento una ricca biblioteca. La vera piena libertà ipertestuale si manifesta quando il lettore è autore in proprio dell’ipertesto, che costruisce – segmento dopo segmento – con i più vari materiali, manipolando, aggiungendo, risistemando ciò che è già stato scritto da altri, e che collega a proprio piacimento in una rete».[7] Negli altri casi, rispetto alla stessa lettura dei testi a stampa, «la navigazione ipertestuale può sembrare addirittura meno libera, in quanto, meno dipendente all’immaginazione individuale, è coinvolta nel gioco di combinazioni messe in opera dai potenziali  collegamenti»;[8] il lettore può soltanto scegliere quali combinazioni attivare. 

Si delinea così la distinzione tra due diverse tipologie di ipertesti che consentono al lettore diversi gradi di libertà fruitiva.

In proposito Bettetini fa notare che «le due funzioni di costruzione dei collegamenti e loro memorizzazione e di rilettura e scoperta dei legami associativi istituibili tra diversi testi è, attualmente, quasi sempre scissa in due tipologie di prodotti, anche se non mancano casi – e soprattutto progetti – di riunificazione. Da un lato si hanno i sistemi autore, software per la creazione di ipertesti che consentono la scrittura nel senso dell’organizzazione delle pagine e dell’istituzione dei legami. Dall’altro lato si collocano i prodotti ipertestuali finiti, commercializzati su supporti ottici, su dischetti magnetici o diffusi attraverso la rete».[9]

Landow non pone nella dovuta considerazione tale distinzione, in quanto le sue riflessioni traggono solitamente spunto dai sistemi in uso presso alcune università, che prevedevano la possibilità dell’intervento scritto del lettore, puntando alla creazione di quaderni e opere collettive. Ma, secondo Bettetini, proprio alla differenza tra ipertesti aperti e chiusi è connesso il diverso margine di libertà offerto all’utente. Solo nei primi «il fruitore può avere, in certa misura, il ruolo di co-autore, potendo aggiungere commenti, note, o interi nodi e link».

Tuttavia anche negli ipertesti chiusi che consentono al lettore di scegliere soltanto i propri percorsi di esplorazione, senza poter, di fatto, incrementare il testo, secondo Bettetini, «è evidente la differenza rispetto alla testualità di tipo tradizionale. La struttura modulare e reticolare dell’ipertesto chiede al lettore di articolare la propria fruizione secondo parametri diversi, in base ai quali il passaggio da un nodo all’altro non è motivato dalla contiguità spaziale degli stessi, ma, piuttosto, da un rapporto di tipo semantico istituito dallo stesso fruitore, in base allo scopo della propria navigazione».[10]

A questo punto, secondo Bettetini, in relazione alle due tipologie di competenze attribuite al lettore di ipertesti aperti o chiusi, il concetto di interattività ipertestuale può essere declinato nelle due dimensioni di dialogizzazione e di navigazione dell’ipertesto stesso.

La dialogizzazione comporta la possibilità di intervenire sull’ipertesto, trasformandolo in qualcosa di nuovo ad ogni ulteriore fruizione, «si può effettuare sia rispetto ai singoli moduli, attraverso la possibilità di apporre note e commenti, sia rispetto all’intero ipertesto, aggiungendo propri moduli informativi o nuovi legami. In questo caso sia i singoli moduli che l’intera struttura ipertestuale vengono rimessi in gioco a ogni incontro con il lettore, in un rapporto reciproco di arricchimento e di interrogazione attraverso la possibilità di selezionare, prelevare e associare i moduli testuali in modo da contribuire alla strutturazione della mappa».[11] 

Per Bettetini «strutturare un testo (come avviene per quello elettronico), componendone il contenuto in nodi ed esplicitando – anche a livello grafico – i possibili nessi tra i blocchi, significa, in un certo modo, materializzare e dare consistenza a quei processi che, nei testi a stampa, avvengono in maniera celata nel lavoro di scrittura e lettura».

A differenza che nei testi a stampa, nei manoscritti medievali, la dimensione dialogica della fruizione testuale veniva comunemente materializzata nella pratica di apporre note e commenti al testo, per cui Bettetini sottolinea che «l’ipertesto offre la possibilità di riprendere anche modalità di rapporto con il testo, sempre legate alla scrittura, ma antecedenti alla stampa. L’introduzione della stampa, infatti,  determina una fondamentale “riduzione” rispetto alle modalità di fruizione del libro manoscritto. Prima della stampa il testo era soggetto a diverse forme di manipolazione e modifica attraverso le glosse e i commenti a margine che spesso venivano inseriti nelle successive trascrizioni. Un atteggiamento tipico della cultura orale, insomma, si conservava vivo in questo uso di “dialogizzare” il testo, mentre con la stampa il testo diventa qualcosa di definitivo, che non permette più cambiamenti. Una dimensione che può essere di nuovo sviluppata con l’ipertesto».

La dialogizzazione della lettura, in realtà, fa notare Cadioli, si attua  sempre  nell’attività di «lettori esperti o impegnati nello studio di testi» e la lettura critica, ma anche quella destinata al solo piacere, presuppongono connessioni mentali tra testi diversi e autori diversi. L’ipertesto elettronico però attua una vera e propria «riorganizzazione fisica, e non mentale, del testo», in quanto, secondo Cadioli, «la trasformazione introdotta dall’ipertestualità si fonda sullo spostamento e sulla manifestazione visibile di procedimenti che, nella lettura tradizionale, avvenivano nel segreto della mente e negli ambiti ristretti di coloro che potevano passare da un testo all’altro sulla base delle loro conoscenze e della disponibilità di libri letti e posseduti»[12]

Negli ipertesti chiusi l’interattività si manifesta all’interno della struttura ipertestuale in una dimensione navigazionale che, secondo Bettetini, «di per sé  corrisponde alla possibilità di muoversi all’interno delle informazioni secondo percorsi non-lineari, anche senza il preciso obiettivo di giungere alla consultazione di un’informazione».

Si tratta di un utilizzo dell’ipertesto in qualità di fruitori anziché di co-autori, in quanto il contenuto è indipendente dall’intervento del lettore, ma «proprio la pluralità dei percorsi ugualmente abilitati costituisce la differenza più marcata rispetto al testo tradizionale, anche sotto il profilo dell’interazione prevista all’interno del corpus testuale». La fruizione, nella sua dimensione navigazionale, comporta, infatti, «la costruzione di un ordine sequenziale di secondo grado rispetto alla molteplicità dei cammini possibili».

Bettetini evidenzia a questo punto che, nel caso degli ipertesti chiusi, la lettura ipertestuale coincide col sapere articolare i percorsi si ricerca e di consultazione in maniera rispondente al fine. «La lettura di ipertesti afferma, in un certo senso, la natura di esperienza dinamica, la cui cifra distintiva sta proprio nello svolgimento di un tragitto, in cui risulta fondamentale la capacità di non perdersi, perché proprio l’orientamento è la condizione per la costruzione del senso. Nella fruizione degli ipertesti diventano allora ancora più evidenti i giochi tra la memoria testuale (il ricordo dei luoghi già attraversati) e le aspettative rispetto agli svolgimenti successivi. In particolare, considerando come fattori determinanti nelle concrete dinamiche fruitive di ipertesti l’interattività da un lato e, sul versante opposto, la rilevanza del modello della stampa, si costituiscono due tipi di lettori» che Bettetini  definisce citando la letteratura in proposito[13]  lettore omo-diretto e lettore etero-diretto. «Il primo  ha una sorta di capacità dinamica di ridefinire continuamente il proprio ruolo di lettore nel corso dell’esplorazione ipertestuale (anche a costo di mettere in discussione l’idea di inizio e fine in un romanzo ipertestuale, ad esempio); viceversa, il lettore   etero-diretto è portato ad aderire al modello testuale e fruitivo tradizionale e a regolare le proprie aspettative e le proprie azioni fruitive su quel modello e, quindi, è destinato a perdersi o a rimanere sovente  frustrato di fronte a esperienze testuali non canoniche (sia a stampa che ipertestuali)».

L’atto dinamico di fruizione porta, infatti, il lettore, ad ogni passaggio della navigazione, a fare una serie di inferenze rispetto allo sviluppo successivo che possono riguardare sia il tipo di materiale visivo o verbale, sia il contenuto del nodo, sia le successive connessioni del nodo. In sostanza, nella navigazione attraverso i percorsi di un ipertesto chiuso «al lettore è richiesto, a un livello macrostrutturale, di ricostruire la coerenza del testo: essa sarà il frutto del procedere stesso del lettore, delle sue scelte di attualizzazione di parte del materiale a disposizione. In questo compito, il fruitore è aiutato dagli elementi grafici, anche se non esiste una “grammatica” paragonabile a quella del testo tradizionale, in cui la sintassi tra le diverse porzioni è istituzionalizzata e garantisce  una sorta di dominio spaziale del testo, antecedente alla lettura in profondità. È importante, a questo livello,  che il sistema consenta la riconoscibilità degli elementi che istituisca un legame biunivoco tra aspetto grafico e funzione».

Il quid del regime ipertestuale, secondo Bettetini, «risiede proprio nell’esplicitazione del livello metatestuale, di quella “cornice” che offre al ricettore  le chiavi di accesso alla struttura del testo e le indicazioni per percorrerlo». La sintassi ipertestuale, esplicitata nello spazio visibile, veicola l’organizzazione dei contenuti, da una parte, e prefigura le dinamiche di navigazione, dall’altra parte, rendendosi visibile principalmente nella mappa dell’ipertesto, ma anche nell’articolazione di appositi luoghi metatestuali, come gli indici, i menu, le indicazioni di stato e di processo, gli strumenti di navigazione.

Per Cadioli «la necessità di ricorrere alla mappa rivela la difficoltà di servirsi, per quanto riguarda l’ipertesto digitale, di altri strumenti di riferimento, ormai da qualche secolo stabilizzati nel testo a stampa»[14]. Si tratta degli elementi paratestuali, che nell’ipertesto conservano alcuni caratteri del passato, ma che introducono, nel contempo, condizioni nuove. Nell’ipertesto scompare la numerazione di pagina e la conseguente possibilità di un indice tradizionale. I testi non si offrono più in sequenza, ma sono disposti e connessi in una rete, per cui lo strumento idoneo a dar conto delle divisioni territoriali e dei possibili collegamenti assume la forma di una «mappa grafica».

Le mappe possono visualizzare diversi livelli di profondità, dall’immediato contesto del nodo a improbabili rappresentazioni globali, che, per la loro complessità finirebbero per coincidere con l’oggetto stesso da sintetizzare.

Per Bettetini  «le mappe recano però in sé una sorta di contraddizione o, per lo meno, qualcosa che le distingue radicalmente dalle rappresentazioni cartografiche, così come siamo abituati a pensarle». Per quanto sia abusata la metafora della navigazione o del viaggio, nell’utilizzo di un ipertesto, infatti, essa funziona fino a un certo punto. Nello spazio reale, gli spostamenti richiedono un certo tempo, per cui ogni distanza è percepita anche in termini cronologici. Nello spazio virtuale di un ipertesto, invece, l’esperienza della distanza è molto diversa, in quanto l’attraversamento di qualunque collegamento richiede sempre lo stesso tempo. Tutti i testi collegati vengono allora percepiti come se si trovassero alla stessa distanza dal punto di partenza, con un sostanziale annullamento degli intervalli spazio/temporali tra due siti. «La mappa ipermediale, dunque, non da indicazioni sulle distanze, ma segnala in quale punto si trova l’utente e, al contempo, in quali altri punti potrebbe trovarsi». In ogni caso rappresentano il principale strumento di orientamento del lettore nell’ipertesto.

Bettetini parla della necessità di una retorica intesa come corretta progettazione dei percorsi ipertestuali in uno spazio che assume la connotazione di spazio agito di fruizione interattiva del testo e ritiene che l’accostamento fra retorica e navigazione, «fonda la propria legittimità su due ordini di considerazioni. A un primo livello, la semplice constatazione che l’ipertesto possa essere considerato una forma particolare di testo, porta alla possibilità di considerarne anche gli aspetti di organizzazione formale. Su un piano più specificamente pertinente alla questione della spazialità, poi, l’idea di una retorica relativa in modo particolare alla fruizione poggia sull’ipotesi che il funzionamento dello scambio comunicativo sia legato soprattutto alla presenza, all’interno del testo – qualunque sia la sua natura – di un insieme di regole e strategie che riguardano il momento della lettura».

Per quanto, però, allo stato attuale, tale progettazione sia sempre meno deregolamentata, e sempre più codificata nella forma delle home page che orientano il lettore rispetto alla struttura e ai percorsi possibili, per Cadioli le nuove modalità paratestuali dell’ipertesto non sono, ancora completamente codificate. Gli elementi paratestuali di presentazione, che Cadioli definisce «editoriali», come la collocazione del prodotto in una collana, la presentazione dell’editore, le indicazioni del curatore, le prefazioni, sono necessari a dare riconoscibilità ad un oggetto che è il frutto di una serie di scelte, in qualche modo autoriali, confluite intenzionalmente e selettivamente nella struttura dell’ipertesto. Eppure questi elementi, già scarsamente presenti nei CD-Rom che sono pur sempre prodotti editoriali chiusi, sono per lo più considerati inutili in Internet, dove tuttavia, rileva Cadioli, «il paratesto esiste, ma, paradossalmente, ha assunto la forma del messaggio pubblicitario, più consono alla dimensione commerciale che presiede alla sopravvivenza e allo sviluppo dell’intera rete». Anche per Cadioli, la riflessione sul paratesto nell’ipertesto deve, comunque, prendere in considerazione aspetti nuovi, sconosciuti alla dimensione del libro a stampa ma connaturati alla tecnologia ipertestuale. «È il caso del segnale di collegamento (link), punto chiave della dimensione ipertestuale, elemento che, messo in risalto, indica l’esistenza di un passaggio verso altri documenti della più varia natura. È possibile considerare questo segnale come un nuovo elemento paratestuale? Quando si trova un colore diverso, un’evidenziazione, una marcatura qualsiasi che indica una “soglia” che può essere varcata, questo segno blocca la lettura e suggerisce un’informazione che rimanda ad altro e che si può accettare o respingere. È cioè una “interruzione” che sottolinea implicitamente come a quel punto l’autore dell’ipertesto suggerisca la possibilità di un approfondimento o di una divagazione. il segnale del collegamento può dunque corrispondere al richiamo di nota, ma ciò che offre, una volta attraversata la soglia che delimita, è molto di più del segnale di un’annotazione». Per Cadioli «la funzione ermeneutica del paratesto rappresentato dal bottone del collegamento può non essere immediatamente evidente, ma è proprio lì che si sviluppa il cambiamento della condizione della lettura», in quanto, il segnale di collegamento «comporta una profonda trasformazione dell’attesa del lettore, che, incontrandolo, deve decidere cosa fare, se imboccare o no la strada suggerita dalla responsabilità e dall’autorità di chi ha creato l’ipertesto mettendo in opera precise scelte interpretative».[15] Si tratta comunque di scelte che coinvolgono il lettore in quello che è un progetto autoriale, anzi, «ogni volta che si mette in risalto la libertà del lettore, gli studiosi più avvertiti non possono fare a meno di indicare il ruolo dello scrittore che, per certi versi, può essere considerato ancora più “forte”  di quello espresso nella scrittura tradizionale». Cadioli, addirittura ridimensiona l’onnipotenza del lettore, anche nel confronto con la libertà del lettore del testo a stampa, che si configura nella possibilità di mettere in moto l’immaginazione, mentre quella di un lettore ipertestuale si manifesta nella “necessità” di dover scegliere il proprio percorso tra blocchi di testo collegati da altri.

Per Landow sono le stesse potenzialità dell’ipertesto a generare, se gestite approssimativamente, problemi di sovraccarico cognitivo e rischi di  disorientamento. L’ipermedia come mezzo di comunicazione «dà la forte sensazione che i suoi collegamenti rappresentino relazioni coerenti, significative e soprattutto utili. Conseguentemente, l’esistenza stessa di un collegamento spinge il lettore ad aspettarsi che tra i materiali collegati esistano relazioni significative». Se tale aspettativa viene frustrata non può che aumentare la sensazione di confusione e disorientamento. Anche per Landow allora è necessario, infatti, per neutralizzare gli effetti negativi del disorientamento, lo sviluppo di una retorica e di uno stile di scrittura ipertestuale che tengano conto delle qualità tipiche dell’ipertesto come mezzo di lettura e scrittura basato su tecnologie informatiche:

«Dato che ipertesto e ipermedia sono fortemente caratterizzati dal collegamento, uno strumento della scrittura che offre la possibilità di cambiare direzione, la retorica e la stilistica di questa nuova tecnologia comportano di solito un cambiamento: di luogo, di rapporto o di direzione, potenziale o reale. Prima di decidere quali tecniche rispondano meglio a questo cambiamento, dobbiamo renderci conto che queste, tutte insieme, tentano di risolvere molti problemi  interdipendenti». Utilizzando l’analogia con il viaggio Landow afferma che «il primo problema riguarda le informazioni sull’orientamento, necessarie a individuare la propria posizione all’interno di un insieme di testi collegati fra loro. Il secondo concerne le informazioni sulla navigazione, necessarie per trovare il percorso giusto attraverso i vari materiali. Il terzo riguarda le informazioni circa l’uscita o partenza e il quarto quelle riguardanti l’arrivo o ingresso». Le tecniche che Landow propone per fondare una retorica  e una stilistica del cambiamento di direzione sono rivolte, quindi, ad aiutare i lettori ad orientarsi e a spostarsi sui percorsi dell’ipertesto, ad informarli alla partenza sulle possibilità di collegamento e, all’arrivo, sulle coordinate del documento di destinazione.

La creazione di tali strumenti di navigazione può essere prerogativa del sistema o, laddove i sistemi siano carenti, come nel caso del web, sarà compito degli autori inserire manualmente le funzioni di orientamento nell’ipertesto. Se negata a un livello di astrazione più alto, la rilevanza del ruolo autoriale è minuziosamente esplicitata da Landow al livello più concreto della progettazione degli strumenti navigazionali.

Le icone di intestazione, coadiuvate da schemi di colori di sfondo forniscono al lettore informazioni sull’identità e la posizione nell’ipertesto del documento selezionato e risultano particolarmente utili sul web, dove i lettori, tramite i motori di ricerca, possono giungere direttamente a qualsiasi documento, ignorandone anche l’eventuale appartenenza ad una struttura più ampia. Si tratta di strumenti connessi alla «retorica dell’orientamento», mentre strumenti della «retorica della navigazione»[16] sono le schermate d’insieme, che assumono spesso la forma di mappa grafica tematica, fungono da guide e facilitano la navigazione fra i materiali visualizzando la struttura dell’ipertesto con i relativi possibili percorsi. Le funzioni di anteprima annunciano al lettore le destinazioni dei collegamenti potenzialmente attivabili e configurano quella che Landow definisce «una specie di retorica della partenza». Anche questa funzione assume una connotazione particolare sul web, dove, data l’impossibilità di collegamenti da uno a molti, gli autori sono obbligati alla creazione manuale di menù di collegamenti per predisporre funzioni di anteprima.

Più difficile è realizzare una «retorica dell’arrivo» che evidenzi la porzione del documento di destinazione cui rimanda il link attivato nel documento di partenza. Sul web è possibile condurre il lettore ad una particolare posizione in un documento, ma non viene mostrata l’esatta estensione dell’ancora di arrivo.

In ogni caso, per Bettetini, i segnali di orientamento non possono essere intesi in senso assoluto come istruzioni universalmente valide per la lettura di un testo, in quanto, «più che essere connesse al singolo testo, esse sono legate al fruitore», dal quale dipende sostanzialmente «la decisione del termine finale della navigazione». Si può dire allora che il regime elettronico relativizza gli indicatori di percorsi, «subordinandoli all’individualità di ogni atto di lettura».

La relativizzazione va effettuata, tuttavia, anche rispetto alle tipologie differenti di ipertesto, che coinvolgono in misura diversa il lettore nel processo di costruzione del senso e gli richiedono modalità di lettura diverse. In quest’ottica, secondo Landow, l’esperienza stessa del disorientamento può essere valutata in maniera non necessariamente negativa, o insormontabile, ma, come nel caso degli ipertesti narrativi, addirittura piacevole.

Affiorano, quindi, in primo piano i contenuti e assumono rilevanza le differenti tipologie di ipertesti che il dibattito sull’ipertestualità aveva lasciato sullo sfondo focalizzando l’attenzione - per il versante teorico - sul tentativo di inquadrare la natura dell’ipertesto e di definirne i caratteri, e - per il versante applicativo - sulla tecnologia dei link come forma attuativa dell’ipertestualità.




[1] Storia della letture in appunti più “Questo cambiamento, quasi una fusione di ruoli, non è che l’ultimo stadio della convergenza  di due attività un tempo molto diverse. Sebbene oggi si dia per scontato che chi legge sappia anche scrivere, una volta questo non accadeva, e gli storici della lettura sottolineano che per millenni, molte persone capaci di leggere non erano in grado di scrivere il proprio nome” Landow, 127 Per Landow “l’ipertesto, che crea un lettore attivo, forse anche un po’ invadente, spinge tale convergenza di attività ancora più avanti, ma in questo modo usurpa il ruolo dell’autore, affidandone una parte al lettore”.

[2] L’area della semiotica che si focalizza sulla lettura come parte della propria pertinenza è l’ambito della semiotica dell’enunciazione e della semiotica dell’interazione comunicativa.

“L’interesse per l’enunciazione si traduce nella ricerca, all’interno del testo, delle tracce che rimandano al processo produttivo del testo stesso. Il concetto di enunciazione implica il passaggio dallo stato potenziale del sistema di significazione alla sua attualizzazione  all’interno di un testo. Tale passaggio è vincolato alla manifestazione della soggettività del “produttore”, la cui presenza al livello del testo può essere attivata a livelli diversi: da quello prettamente simbolico dell’enunciatore a quello  figurativizzato del narratore interno alla diegesi.

Passando al versante della semiotica dell’interazione comunicativa citata poco sopra, si rileva come essa si concentri sull’idea che l’interazione comunicativa si traduca in un modello dello scambio che viene trasferito all’interno del testo. Da qui la rilevanza del ruolo attribuito al ricettore: il testo, infatti, mima al proprio interno l’istanza comunicativa; il progetto che esso sviluppa lungo  il suo corso è un progetto di costruzione e di trasmissione del senso. Spetta al ricettore prendere parte attiva alle dinamiche presenti nell’opera , attualizzando le strutture potenziali del testo”.

Per Gasparini,, la saturazione dei vuoti che costituiscono “l’implicito testuale” che ogni opera tralascia di manifestare proprio per coinvolgere il lettore a colmare quelle lacune, è operata dalla capacità immaginativa del lettore, e, parlando del lettore ritiene che non si possa prescindere dal contributo di Roland Barthes. S/Z, saggio articolato sull’analisi di “Sarrasine” di Balzac, infatti, “esplicita fin dalle prime pagine l’idea di un lettore attivo, inteso anche come scopo e come misura di valore di un certo tipo di letteratura”. Riassume Gasparini: «L’incontro con il libro costruisce un a rete potenzialmente illimitata di rimandi intertestuali; la logica della lettura è, infatti, di tipo (associativo (contrapponendosi alla logica deduttiva e razionale che determina invece l’articolazione del testo nella fase autoriale) L’attività proposta da Barthes si configura allora come la produzione di un altro testo, “costellato”, “spezzato”, “riletto”: in questi atti l’opera è salvata dal rischio della ripetizione, esplicitata nella sua pluralità e liberata dai vincoli della sua temporalità  interna (il prima e il dopo della cronologia del racconto), per essere collocata in un tempo mitico (in cui non esistono prima e dopo). La fruizione a cui fa riferimento Barthes è un “leggere sollevando la testa”, un interrompere la linearità dello scritto per seguire il filo delle proprie sollecitazioni e curiosità». B. Gasparini, in G. Bettetini B. Gasparini N. Vittadini, Gli spazi dell’ipertesto, Bompiani, 1999,   41

[3] B. Gasparini, in G. Bettetini B. Gasparini N. Vittadini, Gli spazi dell’ipertesto, Bompiani, 1999,  99-100

[4] Secondo Lobietti, “Appare chiaro che lo status dell’ interfaccia riassume in molte parti il ruolo e la posizione dell’ autore. In un certo senso essa dispone l’ intreccio, partendo dalla fabula; organizza la forma dei contenuti, portando il lettore verso la costruzione di un percorso di navigazione attraverso il mare dei materiali elettronici facendo in modo da riavvicinarlo alle modalità di lettura del testo cartaceo tradizionale, frustrando in questo modo però le potenzialità delle connessioni libere e anarcoidi. L’ unico modo per liberare l’ ipertesto dal senso di frustrazione prodotto dall’ interfaccia è che essa riesca attraverso l’ uso di metafore narrative appropriate a recuperare un godimento del testo. Tale godimento dell’ ipertesto potrebbe essere efficacemente raggiunto attraverso la costituzione di una strategia narrativa dell’ interfaccia. necessario fare in modo che l’ interfaccia riconsegni un ruolo attivo e performativo al lettore proponendo pratiche stranianti. Essa deve in qualche modo fare uso di effetti di straniamento.

La strategia dell’ interfaccia straniante riconsegna godibilità alla lettura ipertestuale. Essa ricompone, come nell’ azione teatrale, dei gesti e delle azioni a cui l’ utente-spettatore si sottomette con fiducia perché l’ effetto straniante fa emergere particolari delle pratiche che altrimenti l’ abitudine lascerebbe celati. Il lettore utente partecipa, guidato dalla regia dell’ interfaccia, all’ attualizzazione di un testo attraverso la sua molteplicità di rimandi” .

M. Lobietti, Lo spettacolo della scrittura ipertestuale. Strategie narrative nelle interfacce,

http://www.kweb.it/hyperpage/lobietti.html e http://www.dsc.unibo.it/studenti/tesine/lobietti.htm  

[5] B. Gasparini, in G. Bettetini B. Gasparini N. Vittadini, Gli spazi dell’ipertesto, Bompiani, 1999,   98

[6] Alberto Cadioli, Il critico navigante, Marietti 1998,  74-75

[7] Alberto Cadioli, Il critico navigante, Marietti 1998,  82

[8] Alberto Cadioli, Il critico navigante, Marietti 1998,  88

[9] B. Gasparini, in G. Bettetini B. Gasparini N. Vittadini, Gli spazi dell’ipertesto, Bompiani, 1999,  10

[10] B. Gasparini, in G. Bettetini B. Gasparini N. Vittadini, Gli spazi dell’ipertesto, Bompiani, 1999,  12

[11] B. Gasparini, in G. Bettetini B. Gasparini N. Vittadini, Gli spazi dell’ipertesto, Bompiani, 1999,  11

[12] Alberto Cadioli, Il critico navigante, Marietti 1998,  88

[13] B. Gasparini, in G. Bettetini B. Gasparini N. Vittadini, Gli spazi dell’ipertesto, Bompiani, 1999,  97

[14] Alberto Cadioli, Il critico navigante, Marietti 1998,   102

[15] Alberto Cadioli, Il critico navigante, Marietti 1998,  110

[16] B. Gasparini, in G. Bettetini B. Gasparini N. Vittadini, Gli spazi dell’ipertesto, Bompiani, 1999  

 
Chi scrive > dibattito sugli ipertesti >3