western

percorsi>patchwork>western

Il western di Shatzy

Introduzione
L'arrivo dello straniero dalla nuvola di sabbia e tramonto
La scena del menu (La storia del fante di cuori)
La puttana di Closingtown
Bird
La caccia all'uomo
Phil Wittacher dalle sorelle Dolphin
I racconti delle sorelle Dolphin
Il Vecchio (L'incontro di Phil Wittacher con Bird)
Il giudice racconta Arne Dolphin
L'orologiaio guarda negli occhi l'avversario
L'organizzazione del duello
L'arrivo dei dodici cavalieri a Closingtown
L'orologiaio e l'uomo in nero (Mathias Dolphin)
Il duello
Bird lo seppellirono
Finale

Patchwork

Introduzione

Da quando aveva sei anni, Shatzy Shell lavorava a un western. Era l’unica cosa che le stesse veramente a cuore, nella vita. Ci pensava in continuazione. Quando le venivano delle buone idee, accendeva il suo registratore portatile e le diceva lì dentro. Aveva centinaia di cassette registrate. Lei diceva che era un western bellissimo.

[...]

Quella storia del western, tra l'altro, era vera. Shatzy ci lavorava da anni. All'inizio aveva accumulato idee, poi si era messa a riempire quaderni d'appunti. Adesso usava il registratore. Ogni tanto lo accendeva e ci diceva delle cose dentro. Non aveva un metodo preciso, ma andava avanti, senza fermarsi. E il western cresceva. Iniziava con una nuvola di sabbia e tramonto.


L'arrivo dello straniero dalla nuvola di sabbia e tramonto

La solita nuvola di sabbia e tramonto, come ogni sera, fumata dal vento sulla terra e dentro il cielo, mentre Melissa Dolphin spazza la strada davanti a casa, frullata dal fiume d'aria rotondo, con irragionevole cura, e inutile, spazza. Ma portando i suoi anni, sessantatré, con calma e gratitudine. Sorella gemella di Julie Dolphin, che ora la guarda, dondolandosi sotto la veranda, al riparo dal vento maggiore: attraverso la polvere, guardandola, lei sola, la comprende.

A destra, allineato ai bordi della via centrale, corre il paese. A sinistra, il nulla. Non c'è frontiera oltre il loro steccato, ma solo una terra decretata inutile, e abolita dai pensieri. Sassi e niente. Quando muore qualcuno, da quelle parti, dicono: le sorelle Dolphin l'hanno visto passare. Non c'è casa più ultima, lì, della loro casa. Né altrove, dicono.

Così è con stupefatta sorpresa che Melissa Dolphin alza lo sguardo verso quel nulla e vede la figura di un uomo, sfocata nella nuvola di sabbia e tramonto, lentamente avvicinarsi. Benché avesse visto talvolta sparire qualcosa, in quella direzione rovi, animali, un vecchio, sguardi inutili comparire qualcosa, mai. Qualcuno.

- Julie... -, dice piano, e si volta verso la sorella.

Julie Dolphin è in piedi, sulla veranda, e stringe nella mano destra un Winchester modello 1873, canna ottagonale, calibro 44-40. Guarda quell'uomo: lentamente cammina col cappello abbassato sugli occhi, spolverino fino ai piedi, trascina qualcosa, un cavallo, qualcosa, un cavallo e qualcosa, un fazzoletto gli protegge il volto dalla polvere. Julie Dolphin solleva il fucile, fa scivolare il calcio di legno contro la spalla destra, piega la testa ad allineare occhio, mirino, uomo.

- Sì, Melissa -, dice piano.

- Mira in mezzo al petto, e spara.

L'uomo si ferma.

Alza lo sguardo.

Si abbassa il fazzoletto che gli nascondeva la faccia.

Julie Dolphin lo guarda. Ricarica. Poi piega la testa ad allineare occhio, mirino, uomo.

- Mira in faccia, e spara.

- L'eco del colpo se lo ingoia la polvere. Julie Dolphin fa saltare via la cartuccia dall'otturatore: Morgan rossa, calibro 44-40. Rimane in piedi, a guardare.

- L'uomo ci mette un po' a raggiungere Melissa Dolphin, in mezzo alla strada, immobile. Si toglie il cappello.

- Closingtown?

- Dipende -, risponde Melissa Dolphin.

Precisamente così iniziava il western di Shatzy Shell.

La scena del menu (La storia del fante di cuori)

Un'altra bella scena era quella del menu. Dentro il saloon. Non il menu. La scena. Era dentro al saloon.

Dove ballava tutto un gran putiferio di cose, voci, rumori, colori, ma non dimenticare diceva Shatzy la puzza. Quella è importante. Devi tenere bene in mente la puzza. Sudore, alcool, cavallo, denti cariati, piscio e dopobarba. Hai in mente? Finché non giuravi di avere in mente non continuava.

All'inizio era tutta una cosa fra Carver, il tipo del saloon, e lo straniero, quello delle sorelle Dolphin. Carver parlava sempre asciugando dei bicchieri. Nessuno l'aveva mai visto lavarne uno.

- Sei tu lo straniero?

- Cos'è, una nuova marca di whiskey?

- È una domanda.

- Ne ho sentite di più originali.

- Quelle buone le teniamo da parte per i clienti coi soldi.

Lo straniero posa sul bancone una moneta d'oro e dice

- Sentiamo.

- Whiskey, senor?

- Doppio.

Shatzy diceva che c'era ancora qualcosa da registrare, ma in sostanza era quasi perfetto. Il dialogo, intendeva.

- Prendete sempre a fucilate quelli che arrivano in paese?

- Sorelle Dolphin, eh?

- Due signore. Gemelle.

- Loro.

- Bella coppia.

- Mai visto nessuno usare il fucile come loro -, dice Carver e inizia ad asciugare un altro bicchiere.

- Nel senso?

- Non l' hai ancora sentita la storia del fante di cuori?

- No.

- Sono famose, per quella storia. Funziona così. Loro si mettono a quaranta passi da te, tu tiri in aria un mazzo di carte, loro sparano, tu raccogli le carte per terra, e alla fine ti ritrovi in mano cinquantun carte normali e una con due fori in mezzo.

- Il fante di cuori.

- Già.

- Tutte le volte il fante di cuori?

- Gli piace quella carta. Ci dev' essere una storia dietro.

- E quando si può vedere, il numero?

- Non si può vedere. L'ultima volta è stato due anni fa e c'è scappato il morto. Fine delle repliche.

- L' hanno fatto secco loro?

- Era uno che veniva da fuori, un idiota. Gli avevano raccontato la storia del fante di cuori e lui non voleva crederci, diceva che quelle due vecchie zitelle non avrebbero beccato una carta da gioco neanche se l'arrotolavi e gliela infilavi nella canna del fucile. Continuò a dirlo per giorni, lo faceva ridere da matti, quella storia di arrotolare la carta e tutto. Alla fine le sorelle Dolphin decisero che si erano stufate. Non era tanto per quella storia della carta, era la faccenda delle zitelle che le faceva andare in bestia, qui tutti sanno che è meglio evitare l'argomento, e invece quello non la smetteva più, le vecchie zitelle qui, le vecchie zitelle là. Le fece impazzire. Un altro whiskey?

- Prima la storia.

- Finì che lui scommise mille dollari che non ce l'avrebbero mai fatta, le due zitelle. Sembrava sicuro di sé. Loro arrivarono, coi loro fucili. C'era tutto il paese, a guardare. L'idiota sghignazzava tutto tranquillo, contò i quaranta passi, prese il mazzo di carte e lo tirò in aria. Finì steso per terra che le carte erano ancora per aria, a cadere come foglie morte: due colpi dritti al cuore.

- Stecchito. Le sorelle Dolphin si voltarono e senza dire una parola se ne tornarono a casa.

- Bingo.

- Ce ne stavamo tutti lì, di sasso, che non sapevamo nemmeno dove guardare. Un silenzio della madonna. Si mosse solo lo sceriffo: si avvicinò al cadavere, lo rivoltò sulla schiena, se ne stette un po' a guardarlo, sembrava cercasse qualcosa. Poi si girò verso di noi: scuoteva la testa e sorrideva.

Carver smise di asciugare il bicchiere. Sorrideva anche lui.

- L'idiota aveva fatto il furbo. Il fante di cuori l'aveva tolto dal mazzo e l'aveva nascosto. Indovina dove.

- Taschino del gilè.

- Giusto sopra il cuore. Me la ricordo ancora, quella carta. Tutta sporca di sangue. E in mezzo: due fori così, sembravano una firma.

- Whiskey, Carver.

- Sì, senor.

- Al processo - diceva Shatzy - il giudice aveva cercato nei suoi libri qualcosa che permettesse di uccidere un baro disarmato senza finire sulla forca. Non la trovò. Allora disse Vaffanculo, assolte. Prese da parte lo sceriffo e gli disse qualcosa, solo a lui. Poi andò a ubriacarsi, selvaggiamente.

- Carver?

- Sì, senor.

- Perché sono vivo?

- Questo è un saloon, la chiesa è più giù, dall'altra parte della strada.

- Perché le sorelle Dolphin mi hanno sparato e io sono qui a bere whiskey?

- Cartucce a salve. Le sorelle non lo sanno, gliele confeziona Truman, Morgan rosse calibro 44-40, un lavoro ben fatto, sputate quelle vere. Ma sono a salve. Ordini dello sceriffo.

- E loro non lo sanno?

Carver solleva le spalle. Lo straniero vuota il bicchiere. C'è odore di sudore, alcool, cavallo, denti cariati, piscio e dopobarba. Se chiedevi a Shatzy cosa cavolo c'entrava il menu, lei ti diceva c'entra, c'entra. Calma, è solo l'inizio.


La puttana di Closingtown

Bella la puttana di Closingtown, bella. Neri i capelli della puttana di Closingtown, neri. Decine di libri, nella sua stanza, al primo piano del saloon, li legge quando aspetta, storie con un inizio e una fine, se glielo chiedi te le racconterà. Giovane la puttana di Closingtown, giovane. Tenendoti tra le gambe ti sussurra: amore.

Diceva Shatzy che costava come quattro birre.

Sete di lei, nei pantaloni di tutta la città.

Volendosi attenere ai fatti, lei, laggiù, ci era arrivata per fare la maestra. Avevano la scuola ridotta a magazzino, da quando se n'era andata la signorina McGuy. Così a un certo punto era arrivata lei. Aveva messo tutto a posto, e i ragazzini avevano incominciato a comprare quaderni, matite e tutto. Secondo Shatzy ci sapeva fare. Faceva le cose semplici, e aveva libri che si potevano capire. Finì che ci presero gusto anche i ragazzini più grandi, ci andavano quando potevano, la maestra era bella, e alla fine riuscivi a leggere le frasi scritte sotto le facce dei banditi, quelle appese nell'ufficio dello sceriffo. Erano ragazzini che erano già uomini, quelli. Lei fece l'errore di rimanere con uno di loro, da sola, nella scuola deserta, una sera qualunque. Se lo strinse addosso, e ci fece l'amore con tutta la voglia del mondo. Dopo, quando la cosa si venne a sapere, gli uomini ci sarebbero anche passati sopra, ma le donne dissero che quella era una puttana, non una maestra.

Giusto, disse lei.

Chiuse la scuola e passò a lavorare dall'altra parte della strada, in una stanza al primo piano del saloon. Sottili le mani della puttana di Closingtown, sottili. Si chiamava Fanny.

Tutti l'amavano, ma solo uno l'amava, ed era Pat Cobhan. Lui restava di sotto, beveva birre, e aspettava. Quando tutto era finito, lei scendeva.

- Ciao Fanny.

Ciao.

Andavano avanti e indietro, dall'inizio della città alla fine, tenendosi stretti, nel buio, e parlando di quel vento che non finiva mai.

Buona notte Fanny.

Buona notte.

Aveva diciassette anni, Pat Cobhan. Verdi gli occhi della puttana di Closingtown, verdi.

Se vuoi capire la loro storia - diceva Shatzy - devi sapere quanti colpi aveva una pistola, a quei tempi.

Sei.

Lei diceva che era un numero perfetto. Pensaci. E fallo suonare, quel ritmo. Sei colpi, uno due tre quattro cinque sei. Perfetto.

Lo senti il silenzio, dopo? Quello sì è un silenzio. Uno due tre quattro. Cinque sei. Silenzio. È come un respiro. Ogni sei colpi è un respiro. Puoi respirare veloce, o piano, ma ogni respiro è perfetto. Uno due tre quattro cinque. Sei. Respira silenzio, adesso.

Quanti colpi c'erano, in una pistola?

Sei.

Allora ti raccontava quella storia.

Pat Cobhan ride, di sotto, con schiuma di birra nella barba e odore di cavallo nelle mani. C'è un violinista che suona, e ha un cane ammaestrato. La gente gli tira una moneta, il cane va a raccoglierla e poi torna dal padrone, camminando sulle zampe posteriori, e gli infila la moneta nella tasca. Il violinista è cieco. Pat Cobhan ride.

Fanny lavora, di sopra, con il figlio del pastore tra le gambe. Amore. Il figlio del pastore si chiama Young. Si è tenuto la camicia addosso, e ha i capelli neri inzuppati di sudore. Qualcosa come un terrore, negli occhi. Fanny gli dice - Scopami Young, - ma lui si irrigidisce e scivola via dalle cosce aperte calze bianche con pizzi fino a sopra il ginocchio e poi più niente. Lui non sa dove guardare. Le prende una mano e se la preme sul sesso. - Sì, Young, - lei dice. Lo accarezza, - Sei bello Young, - dice. Si lecca il palmo della mano, guardandolo negli occhi, poi torna ad accarezzarlo, sfiorandolo appena. - Dai, - dice Young. - Dai. - Lei stringe nel palmo della mano il suo sesso. Lui chiude gli occhi e pensa "non devo pensare. A niente". Lei guarda la propria mano, e poi il sudore sulla faccia di Young, sul petto, e di nuovo la propria mano che scivola sul suo sesso. - Mi piace il tuo cazzo, Young, lo voglio, il tuo cazzo. - Lui è disteso sul fianco, appoggiato su un braccio. Il braccio trema. - Vieni Young, - lei dice. Lui ha gli occhi chiusi. - Vieni. - Lui si gira sopra di lei, e spinge in mezzo alle cosce aperte. - Così, Young, così, - lei dice. Lui apre gli occhi. Qualcosa come un terrore, negli occhi. Lui fa una smorfia, e scivola via. - Aspetta, Young, - lei dice, tenendogli la testa fra le mani e baciandolo. - Aspetta, - lui dice.

Pat Cobhan ride, di sotto, e dà un'occhiata alla pendola, dietro al bancone. Chiede un'altra birra e gioca con una moneta d'argento, cercando di farla rimanere in bilico sul bordo del bicchiere vuoto.

Mi vuoi sposare, Fanny?

Non dire sciocchezze, Pat.

Lo dico sul serio.

Smettila.

Io ti piaccio, Fanny?

Sì.

Tu mi piaci, Fanny.

La moneta gli cade nel bicchiere, Pat Cobhan rovescia il bicchiere, cade la moneta, sul legno del bancone, e cola un resto di birra, liquido e schiuma. Lui prende la moneta e l'asciuga sui pantaloni. La guarda. Gli verrebbe da annusarla. La riposa sull'orlo del bicchiere. Dà un'occhiata alla pendola. Pensa: Young, bastardo, la vuoi finire? Dolce il profumo della puttana di Closingtown, dolce.

Fanny scivola con le labbra sul sesso di Young, lui la guarda e questo gli piace. Le mette una mano tra i capelli e se la spinge contro. Lei gli prende la mano e gliela allontana, continuando a baciarlo. Lui la guarda. Le rimette la mano nei capelli, lei si ferma, alza gli occhi verso di lui e gli dice - Stai buono Young.

Sta' zitta, lui dice, e con la mano le spinge la testa verso il suo sesso.

Lei lo prende in bocca e chiude gli occhi. Scivola sempre più velocemente, avanti e indietro. - Così, puttana, - lui dice. - Così. - Lei apre gli occhi e vede la pelle lucida di sudore, sul ventre di Young. Vede i muscoli che si contraggono, a scatti, come in una specie di agonia. Dai, lui dice. Non smettere. Una specie di agonia. Lui la guarda. Gli piace. La guarda. Poi le appoggia le mani sulle spalle, la stringe forte e d'improvviso la spinge indietro, coricandosi su di lei. - Fai piano Young, - lei dice. Lui chiude gli occhi, e si muove contro di lei. - Piano, Young. - Lei cerca con una mano il suo sesso, lui gliela allontana. Spinge forte in mezzo alle cosce. - Merda, - dice. - Merda. - Ha i capelli attaccati alla fronte, bagnati di sudore. - Merda. - Scivola di nuovo via, di colpo. Lei gira la testa da una parte, alza gli occhi al cielo per un istante, e sospira. E lui la vede. La vede.

Pat Cobhan alza gli occhi e fissa la pendola, dietro al bancone. Poi guarda lo scalone che sale al primo piano. Poi guarda il bicchiere di birra, pieno, davanti a sé.

Ehi, Carver.

Pat?

Tienimela in fresco.

Te ne vai?

Torno.

Tutto bene, Pat?

È okay, sì, è okay.

Va bene.

Tienimela in fresco.

Rimane appoggiato al bancone. Si gira e getta uno sguardo alla porta del saloon. Sputa per terra, poi schiaccia il grumo di saliva con lo stivale, e guarda la polvere umida, per terra. Rialza la testa.

Sta attento che non ci piscino dentro, capito?, - e sorride.

Perché non vai a casa, Pat?

Vacci tu, Carver.

Dovresti andartene a casa.

Non dirmi quello che devo fare.

Carver scuote la testa. Pat Cobhan ridacchia. Solleva il bicchiere di birra e beve un sorso. Riposa il bicchiere, si gira, guarda lo scalone che porta al primo piano, guarda le lancette nere sul quadrante bianco ingiallito, bastardo, dice piano.

Young si è voltato, ha allungato una mano verso il cinturone appeso alla sedia, ha estratto dalla fondina la pistola e adesso la tiene stretta in pugno. Fa scivolare la canna sulla pelle di Fanny.

Bianca la pelle della puttana di Closingtown, bianca. Lei fa per alzarsi.

Sta giù, - lui dice.

Le tiene premuta la canna della pistola sotto il mento.

Non muoverti. Non urlare.

Cosa diavolo fai, - lei dice.

Zitta.

Fa scivolare la canna della pistola sulla pelle, sempre più giù. Le apre le gambe. Appoggia la pistola sul suo sesso.

Ti prego Young, - lei dice.

Lui spinge lentamente la pistola. Poi la tira fuori e adagio la rinfila dentro.

Ti piace?, dice.

Lei inizia a tremare.

Non era questo che volevi?, - lui dice.

Spinge in fondo la pistola. Lei inarca la schiena, appoggia una mano sulla guancia di Young, dolcemente.

Ti prego, Young, - dice. - Ti prego.

Lo guarda. Lui si ferma.

Sta' calmo, - lei dice. - Sei un bravo ragazzo, Young, vero? Tu sei un bravo ragazzo.

Le colano lacrime dagli occhi, le scendono sul viso dappertutto.

Fatti baciare, mi piace baciarti, vieni qui Young, baciami.

Parla piano, senza smettere di guardarlo.

Resta con me, facciamo l'amore, vuoi?

Sì, lui dice.

E ricomincia a muovere la pistola, avanti e indietro.

Facciamo l'amore, - dice.

Lei chiude gli occhi. Ha una smorfia di dolore che le sfigura il volto.

Ti supplico, Young.

Lui guarda la canna della pistola entrare e uscire dalla carne. Vede che è rigata di sangue. Solleva con il pollice il cane della pistola.

Mi piace fare l'amore, dice.

'affanculo, dice Pat Cobhan. Si scosta dal bancone e si volta.

Torno, dice. Passa accanto al tavolo dei fratelli Castorp, li saluta portando due dita a sfiorare la tesa del cappello. Nero.

In gamba, Pat?

Sì signore.

Vento bastardo, oggi.

Sì signore.

Non la smetterà mai.

Mio padre dice che si stancherà.

Tuo padre.

Dice che nessun cavallo può galoppare per sempre.

Il vento non è un cavallo.

Mio padre dice di sì,

Dice così?

Sì signore.

Digli che si faccia vedere, ogni tanto.

Sì signore.

Diglielo.

Sì signore.

Bravo.

Pat Cobhan saluta e va verso lo scalone. Guarda in cima e non vede niente. Sale qualche gradino. Pensa che vorrebbe avere una pistola. Suo padre non vuole che lui giri con una pistola. Così non ti metterai nei pasticci. Nessuno spara a un ragazzo disarmato. Si ferma. Getta uno sguardo alla pendola, giù, dietro al bancone. Non riesce a ricordarsi esattamente quanto tempo è passato. Cerca di ricordarsene, ma non riesce. Guarda il saloon da lassù e pensa che è come essere un uccello appollaiato su un ramo.

Sarebbe bello aprire le ali, sfiorare la testa di tutti e andarsi a posare sul cappello del cieco che suona. Avrei penne lucide, nere, pensa mentre con la mano destra controlla nella tasca dei pantaloni la sagoma dura del suo coltello. Piccolo coltello, la lama piegata dentro l'anima di legno. Guarda davanti a sé e non vede niente. Una porta chiusa, senza rumori, niente. Sono solo uno stupido, pensa. Rimane fermo lì, abbassa lo sguardo, vede il suo stivale sul gradino. Polvere spessa sul cuoio consumato. Dà due colpi, col tacco, sul legno. Poi si china e con un dito si lucida la punta. In quell'istante sente da sopra arrivare il rumore secco di uno sparo, e un urlo breve. E capisce che tutto è finito. Poi sente un secondo colpo, e, uno dopo l'altro, il terzo e il quarto e il quinto. Rimane immobile. Aspetta. Ha uno strano ronzio in testa e tutto sembra lontano. Sente qualcuno che lo spintona, e gente che corre gridando su per lo scalone. Negli occhi ha la punta lucida del suo stivale. Aspetta. Ma non sente nulla. Allora si rialza, si volta e scende lentamente lo scalone. Attraversa il saloon, esce, sale a cavallo. Cavalca tutta la notte e all'alba arriva ad Abilene. Il giorno dopo riparte, verso nord, attraversa Bartleboro e Connox, costeggia il fiume fino a Contertown, e per giorni cavalca verso le montagne. Berbery, Tucson City, Pollak, fino a Full Creek, dove passa la ferrovia. Segue i binari per miglia e miglia. Quarzsite, Coltown, Oldbridge, e poi Rider, Rio Solo, Sullivan e Preston.

Dopo ventidue giorni arriva in un posto chiamato Stonewall.

Guarda la cima degli alberi e il volo degli uccelli. Scende da cavallo, prende un pugno di polvere e la fa scivolare piano tra le dita. Non c'è vento, qui, pensa. Vende il cavallo, compra una pistola. Cinturone, fondina e pistola. La sera va al saloon. Non parla con nessuno, rimane tutto il tempo seduto a bere e guardare. Li studia tutti, uno per uno. Poi sceglie un uomo che sta giocando, mani bianche e senza calli, speroni luccicanti. Una barba tagliata sottile, con cura e tempo.

Quell'uomo bara, dice.

Qualcosa che non va, ragazzo?

Non mi piacciono i bastardi, tutto qui.

Porta fuori la tua lingua di merda, e veloce.

Non mi piacciono i vigliacchi, tutto qui.

Ragazzo.

Non mi son mai piaciuti.

Facciamo una cosa.

Sentiamo.

Io non ho sentito niente, tu ti alzi, sparisci e per tutto il tempo che ti rimane ringrazi il cielo per com'è andata a finire.

Facciamone un'altra. Tu posi le carte, ti alzi e vai a barare da qualche altra parte.

L'uomo spinge indietro la sedia, si alza lentamente, si volta e rimane in piedi, con le braccia lungo i fianchi e le mani a sfiorare le pistole. Guarda il ragazzo.

Pat Cobhan sputa per terra. Si alza. Si guarda la punta degli stivali, come se stesse cercando qualcosa. Poi solleva gli occhi verso l'uomo.

Idiota, - dice l'uomo.

Pat Cobhan impugna di scatto la pistola. Ma non estrae. Sente il sesto colpo, allora. Poi più niente, per sempre.

Silenzio.

Che silenzio.

Attaccata alla porta del frigo Shatzy teneva una poesia di Robert Curts. L'aveva copiata perché le piaceva. Non tutta, ma le piaceva verso la fine dove diceva: muoiono nello stesso respiro, gli amanti. Aveva anche un bel finale, ma la cosa migliore era quel verso. Muoiono nello stesso respiro, gli amanti.

E un'altra cosa. Shatzy canticchiava sempre una canzone, abbastanza stupida, che aveva imparato da bambina. Aveva un sacco di strofe. Il ritornello iniziava così: rossi i prati del nostro paradiso, rossi. Non era un granché, come canzone. Era così lunga che a cantarla tutta potevi creparci su. Veramente.

Young morì in cella, il giorno prima del processo. Suo padre andò a trovarlo, e gli sparò in faccia, a bruciapelo.

Bird

Bird.

Con strade sulla faccia, camminate da infinite sparatorie, diceva Shatzy. Gli occhi deglutiti dal cranio, e mani di ulivo, le mani veloci, rami d'inverno. Stanchi. Il pettine, al mattino, bagnato d'acqua, rigare i capelli bianchi all'indietro, trasparenti, ormai. Polmoni di tabacco nella voce che piano dice: Che vento, oggi.

Niente di peggio che non morire, per un pistolero.

Guardarsi intorno, ogni faccia mai vista può essere quella dell'idiota di turno arrivato da lontano per diventare quello che ha ammazzato Clay "Bird" Puller. Se vuoi sapere quando si diventa un mito, allora ascolta: è quando ti ritrovi a duellare sempre di schiena. Finché ti vengono incontro da davanti sei solo un pistolero. La gloria è una scia di merda, dietro la schiena. - Sbrigati coglione, - disse senza nemmeno voltarsi. Il ragazzetto aveva un cappello nero, e in tasca qualche stronzata che era il ricordo di un odio lontano, e la promessa di una qualche vendetta. - Troppo tardi, coglione.

Con queste strade sulla faccia, vecchiaia vigliacca, a pisciarmi addosso la notte, il male bastardo sotto il cinturone, come una pietra rovente tra la pancia e il culo, non viene mai giorno, e quando viene è un deserto di tempo vuoto, da attraversare, come sono arrivato qui?, io.

Come sparava Bird. Teneva le fondine al contrario con il calcio della pistola che usciva in avanti. Estraeva a braccia incrociate, la pistola destra nella mano sinistra, e viceversa. Così, quando ti veniva incontro, le dita a sfiorare il calcio delle pistole, sembrava una specie di condannato, qualcosa come un prigioniero che stesse andando al patibolo, con le braccia legate davanti. Un istante dopo era un uccello rapace che apriva le ali, una frustata nell'aria, e il geometrico volo di due pallottole. Bird.

Cos'è allora questo strisciare nella nebbia delle mie cataratte, costretto a contare le ore, io che conoscevo gli istanti, ed era l'unico tempo che esisteva per me. Lo scarto di una pupilla, le nocche sbiancate intorno a un bicchiere, uno sperone nel fianco del cavallo, l'ombra di un'ombra sul muro blu. Ci ho vissuto eternità, dove gli altri vedevano attimi. Per loro era come lampo ciò che per me era una mappa, una stella dove io vedevo cieli. Io pensavo dentro pieghe del tempo che per loro erano già ricordo. Non c'è altro modo, mi avevano insegnato, per vedere la morte prima che arrivi. Cos'è allora questo strisciare nella nebbia delle mie cataratte, costretto a spiare le carte degli altri, mendicando battute dalla mia sedia, sempre quella, in seconda fila, la sera a tirare sassi ai cani, in tasca soldi da vecchio che le puttane non vogliono, li prenderà un mariachi, quando verrà, che sia triste e lunga la tua canzone, ragazzo, dolce la tua chitarra e lenta la tua voce, io voglio ballare, questa notte, fino al tramonto di questa notte, io ballerò.

Dicevano che Bird si portasse sempre dietro un dizionario. Francese. Ci aveva studiato tutte le parole, una dopo l'altra, in ordine alfabetico. Era così vecchio che aveva già fatto il giro e adesso se ne stava dalle parti della G, per la seconda volta. Nessuno sapeva perché mai facesse tutto quello. Però una volta, a Tandeltown, dicono che si avvicinò a una donna, era bellissima, alta, occhi verdi, c'era da chiedersi come fosse finita lì. Lui le si avvicinò e le disse: Enchanté.

Clay "Bird" Puller. Morirà in un modo bellissimo, diceva Shatzy. Gliel'ho promesso: morirà in un modo bellissimo.

La caccia all'uomo

Il cadavere di Pitt Clark lo trovarono dopo quattro giorni di ricerca, seppellito sotto trenta centimetri di terra, vicino al fiume. Il doc lo esaminò e poi disse che Pitt era morto soffocato, probabilmente era stato sepolto vivo. Aveva ecchimosi sulle braccia, sul collo e sulla schiena. Prima di essere sepolto, era stato violentato.

Pitt aveva undici anni.

Adesso ascolta che strana storia, diceva Shatzy.

Lo stesso giorno in cui trovarono Pitt, sparì dal ranch dei Clark un indiano che tutti chiamavano Bear, orso. Qualcuno lo vide uscire dalla città, a cavallo, in direzione delle montagne. Bear era amico di Pitt. Pitt lo stava ad ascoltare, sempre. Andavano spesso a fare il bagno insieme, giù al fiume. E cacciavano serpenti. Per un po' li tenevano vivi dandogli da mangiare topi. Poi li uccidevano. Bear doveva avere una ventina d'anni. Lo chiamavano così perché era strano. Con la gente, era strano. Sotto la sua branda trovarono una scatola di latta, e dentro la scatola un braccialetto che Pitt portava sempre al polso destro. Era fatto con pelle di serpente.

Diceva Shatzy che si offrirono in molti, per inseguire l'indiano. Era una cosa che li ubriacava dentro, la caccia all'uomo. Ma lo sceriffo disse: Vado io. Io da solo. Si chiamava Wister, era un brav'uomo. Non gli piacevano le impiccagioni e credeva nei tribunali. Conosceva Pitt, ogni tanto lo portava con sé a pescare, e gli aveva anche promesso che, quando avesse avuto quattordici anni, gli avrebbe insegnato a sparare, e a colpire una bottiglia, a dieci passi, con gli occhi chiusi. Disse: Bear è affar mio.

Partì al mattino, mentre il vento alzava mulinelli di polvere sotto la graticola di un sole imbizzarrito.

Ora sta' attento, diceva Shatzy. La caccia all'uomo è pura geometria. Punti, linee, distanze. Disegnala su una mappa: geometria ubriaca, ma implacabile. Può durare ore o settimane. Uno scappa, l'altro insegue. Ogni minuto li allontana dalla terra che li ha generati e che saprebbe, se interrogata, riconoscerli. Presto diventano due punti in un nulla che non può più distinguere, in loro, il buono dal cattivo. A quel punto, anche se volessero non potrebbero più cambiare niente. Sono traiettorie oggettive, deduzioni geometriche calcolate dal destino a partire da una colpa.

Non potranno placarsi che in un risultato finale, scritto in calce alla vita, con inchiostro rosso sangue. Musica.

La musica la faceva Shatzy, a bocca chiusa, una cosa tipo grande orchestra, violini e trombe, una cosa ben fatta. Poi ti chiedeva:

Tutto chiaro?

Più o meno.

Vedrai che non è difficile.

D'accordo.

Andiamo?

Andiamo.

Lo sceriffo Wister parte in direzione delle montagne. Segue la pista per Pinter Pass. Sale in mezzo al bosco, cerca l'ombra e pensa che Bear deve avere una mezza giornata di vantaggio. Quando gli alberi iniziano a diradarsi si ferma per far riposare il cavallo.

Poi riparte. Sale lungo il crinale della montagna, al passo, e studia le orme sulla pista. Ci mette un po' ma alla fine impara a riconoscere quelle del cavallo di Bear. Pensa che l'indiano, se volesse, saprebbe come farle scomparire, il ragazzo deve essere sicuro di sé, e tranquillo. Forse pensa di raggiungere il confine. Forse non crede di essere inseguito. Sprona il cavallo e sale verso Pinter Pass. Ci arriva che è sera. Guarda giù, verso la vallata stretta che scende verso il deserto. Lontano, gli sembra di vedere una piccola scia di polvere che si alza in mezzo al nulla. Scende per qualche centinaio di metri, trova una grotta, ferma il cavallo. È stanco. Si ferma lì per la notte.

Il secondo giorno, lo sceriffo Wister si sveglia all'alba. Prende il binocolo e guarda giù, verso il fondo della vallata. Vede una piccola macchia scura, lungo la pista. Bear. Monta a cavallo, scende con prudenza lungo gli ultimi contrafforti della montagna. Quando arriva in fondo alla valle mette il cavallo al galoppo. Cavalca per un'ora, senza soste. Poi si ferma. Può vedere Bear a occhio nudo, qualche chilometro davanti a lui. Sembra fermo. Wister scende da cavallo. Si ripara sotto un grande albero, e si riposa. Quando riparte, il sole è allo zenit. Mette il cavallo a un'andatura tranquilla, e non smette un attimo di guardare la sagoma di Bear, piccola e scura davanti a sé. Continua a sembrare ferma. Perché non scappa?, pensa lo sceriffo Wister. Cavalca per mezz'ora, poi si ferma. Bear è a non più di cinquecento metri da lui. Sta immobile, in sella a un cavallo pezzato.

Sembra una statua. Lo sceriffo Wister carica il fucile, e controlla le pistole. Guarda il sole. Sta per passargli alle spalle. Sei fatto, ragazzo. Parte al galoppo. Cento metri, poi altri cento, cavalca senza fermarsi, vede Bear muoversi, finalmente, uscire dalla pista e lanciarsi verso destra. Dove vuoi andare, ragazzo, da quella parte c'è il deserto, pianta gli speroni nel fianco del cavallo, esce dalla pista e lo insegue. Bear piega verso est, poi di nuovo verso ovest, e ancora verso est. Dove vuoi andare, ragazzo?, pensa lo sceriffo Wister. Rallenta l'andatura, Bear è sempre a cinquecento metri, dopo un po' si ferma, Wister lo vede e rimette il cavallo al galoppo, Bear riparte, piega ancora verso est, sfumano i colori, cade la luce, d'improvviso. Wister si ferma.

Okay ragazzo. Io non ho fretta. Smonta, si prepara un bivacco, accende un fuoco. Nella notte, prima di addormentarsi, vede la luce del fuoco di Bear, cinquecento metri davanti a lui. Buona notte, ragazzo.

Il terzo giorno, lo sceriffo Wister si sveglia col buio. Ravviva il fuoco, si scalda un caffè. Non vede luci, nel buio. Aspetta l'alba. Al primo chiarore, vede Bear, lontano, in piedi, immobile, di fianco al suo baio pezzato. Prende il binocolo. Il ragazzo non ha fucile. Forse una pistola. Lo sceriffo Wister si siede per terra. A te la prima mossa, ragazzo. Se ne stanno fermi, per ore. Tutt'intorno, sole ad arroventare il niente. Lo sceriffo Wister beve un sorso d'acqua e uno di whiskey, ogni mezz'ora. La luce è accecante, A un tratto rivede Pitt che ride e corre. Poi lo vede urlare, urlare, urlare. Si guarda le mani e le vede tremare. Crepa, figlio di puttana, pensa, crepa indiano bastardo. Si alza. Sente la testa girare. Prende le redini in mano e inizia a camminare, tirandosi dietro il cavallo. Cammina piano, ma si accorge che Bear è sempre più vicino. Il ragazzo è immobile. Non sale a cavallo, non scappa. Trecento metri. Duecento. Lo sceriffo Wister si ferma. Urla: Falla finita Bear. Dice piano: Fatti ammazzare, da bravo. E poi ancora urlando: Bear, non fare l'idiota. Il ragazzo resta immobile. Wister controlla fucile e pistole. Poi monta in sella. Parte al galoppo. Vede Bear montare a cavallo e partire. Cavalcano per mezz'ora, così. Li separano non più di duecento metri. All'orizzonte appare un pueblo, dimenticato nel nulla. Bear lo punta, Wister lo segue. Una decina di minuti e Bear entra al galoppo nel pueblo, e sparisce. Lo sceriffo Wister rallenta e prima di entrare nel paese scende da cavallo. Estrae la pistola e raggiunge le prime case. Non c'è anima viva. Cammina lento lungo i muri, attento al minimo rumore. Spia ogni finestra, legge ogni ombra. Sente il cuore pulsargli nelle orecchie. Calma, pensa. Probabilmente non è nemmeno armato. Devi solo trovarlo e fotterlo. È un ragazzo. Vede una vecchia in piedi, sulla soglia di una posada. Si avvicina. Le chiede in spagnolo se ha visto un indiano, con un cavallo pezzato. Lei fa cenno di sì, con la testa, e indica il fondo del villaggio, dove la pista continua nel nulla. Wister le punta la pistola alla testa. Non mentire, le dice in spagnolo. Lei si fa un segno di croce, e indica di nuovo la fine del villaggio. Hai da bere? La donna entra nella posada, poi esce con dell'acquavite. Lo sceriffo Wister beve. Si è portato via dell'acqua, l'indiano? La vecchia fa cenno di sì. Lo sai chi è? Allora la vecchia dice: Sì. Es un chico que va detrás de un asesino. Lo sceriffo Wister rimane a fissarla. Te l'ha detto lui? Sì. Lo sceriffo Wister beve un altro sorso di acquavite. Tu sei morto, ragazzo, pensa. Sale a cavallo, getta una moneta alla vecchia, infila l'acquavite nella sacca, e prosegue, al passo, verso la fine del paese. Quando supera l'ultima casa guarda davanti a sé. Nulla. Si volta a destra. Vede Bear immobile, in sella, a non più di duecento metri. Es un chico que va detrás de un asesino. Lo sceriffo Wister sfila veloce il fucile dalla sella, mira, e spara. Due volte. Bear non si muove. L'eco degli spari si perde, lentamente, nell'aria. Lo sceriffo Wister fa saltare via il bossolo. Calma, pensa. Non lo vedi che è troppo lontano? Calma. Rimane a fissare Bear. Vuole urlargli qualcosa, ma non gli viene in mente niente. Volta il cavallo, torna alla prima casa, e smonta. Passa la notte lì. Ma senza riuscire a dormire. Una pistola, sempre, in mano.

Il quarto giorno, lo sceriffo Wister esce dal pueblo e vede Bear lontano, sulla pista che porta al deserto. Monta a cavallo, e al passo, lo segue. Si lascia portare dalla bestia. Ogni tanto il caldo e la stanchezza lo fanno addormentare. Dopo tre ore si ferma a una sorgente. Pensa che l'indiano potrebbe averla avvelenata. Riempie le borracce e riparte. Non devo lasciarlo arrivare al deserto, pensa. Ci moriremo tutt'e due, là dentro. Devo fermarlo prima, pensa. Beve un sorso d'acquavite. Aspetta che il sole si abbassi ancora un po', all'orizzonte. Poi parte al galoppo. Bear non sembra accorgersene. Continua al passo, senza voltarsi. Forse sta dormendo. È mio, pensa lo sceriffo Wister. Trecento metri. Duecento metri. Cento metri. Lo sceriffo Wister estrae la pistola. Cinquanta metri. Bear si volta, ha una pistola a canna lunga in mano, mira e spara. Un colpo. Il cavallo di Wister scarta sulla destra, poi frana sulle zampe anteriori. La bestia finisce sdraiata su un fianco. Solleva la testa, cerca di rialzarsi. Wister riesce a scivolargli via da sotto. Sente un dolore bruciante alla spalla. Poi sente un secondo colpo entrare nella carne dell'animale. Alza la testa, si appoggia al corpo del cavallo e spara tre colpi di pistola, uno dopo l'altro. Il cavallo di Bear si impenna sulle zampe posteriori e ruota su se stesso, scalciando nell'aria. Lo sceriffo Wister sfila il fucile dalla sella. Bear riprende il controllo del cavallo e parte al galoppo, cercando di scappare. Wister mira e spara due colpi. Gli sembra di vedere Bear piegarsi sul collo dell'animale. Poi vede il cavallo rompere l'andatura, sbandare, fare ancora una ventina di metri e franare a terra. Vede il corpo di Bear sbalzato nella polvere. Addio ragazzo, pensa. Carica il fucile, prende la mira. Bear sta cercando di rialzarsi. Wister spara. Vede uno sbuffo nella polvere, una ventina di metri prima del corpo di Bear. Merda, dice. Spara ancora. Il proiettile va a morire vicino all'altro. Bear si è alzato. Recupera la sua pistola. Con l'altra mano sgancia le borse dalla sella. Rimane in piedi, lo sguardo su Wister. Un'ottantina di metri, tra loro. Un tiro di fucile. Qualcosa di più. Lo sceriffo Wister guarda il sole. Pensa che ha ancora un paio d'ore, prima del buio. La spalla gli fa male, non riesce a muovere il braccio senza sentire una fitta feroce. Muy bien, ragazzo. Sgancia le borse dalla sella e se le mette a tracolla sulla spalla buona. Carica il fucile. E si mette a camminare. Bear lo vede, si volta, e si allontana, anche lui camminando, lentamente. Lo sceriffo Wister pensa che correre sarebbe ridicolo. Si immagina la scena, vista dall'alto, due uomini a correre nel nulla, e pensa: siamo due condannati. Poi per un attimo vede Pitt che corre, e corre, e cerca di scappare, lungo il fiume, corre e scappa. Maledetto, pensa. Io ti ammazzerò, ragazzo. Arriva di fianco al cavallo di Bear. Respira ancora. Wister gli scarica la pistola nella testa. Io ti ammazzerò, ragazzo. Poi riprende a camminare. Quando scende la sera, vede sparire Bear nel buio. Si ferma. La spalla lo fa impazzire. Si sdraia per terra. Tiene la pistola in pugno. Cerca di non addormentarsi. È due giorni che non dormo, pensa.

Il quinto giorno lo sceriffo Wister sente la febbre annebbiargli la vista e accelerargli i battiti del cuore. Ma non dorme mai quel bastardo? Lo vede davanti a sé, gli sembra lontano come il giorno prima, ma gli occhi gli bruciano, e non ci sono ombre, nella luce del mattino. Si mette in marcia. Cerca di ricordarsi dove porta quella pista, e quanti chilometri possono aver fatto, dal pueblo a lì. Bear, là davanti, cammina senza fermarsi. Ogni tanto si volta. Poi continua. È la pista per Salma. Non deve farlo arrivare fino a lì. Non deve entrare a Salma. Si ferma. Si china. Raccoglie un grumo di polvere. Sangue e polvere. Alza lo sguardo verso Bear. Allora ti ho beccato, ragazzo. Non volevi dirmelo, eh? Si alza. Fa qualche passo. Un'altra macchia di sangue. Muy bien, bastardo. Non sente più la febbre. Riprende a camminare. Tre ore dopo Bear abbandona la pista e piega verso est. Lo sceriffo Wister si ferma. È pazzo, pensa. Si sta infilando nel deserto. È pazzo. Prende il fucile e spara in aria. Bear si ferma, si volta. Wister lascia cadere le borse per terra. Poi getta il suo fucile. Spalanca le braccia. Bear rimane immobile. Wister gli cammina incontro, lentamente. Bear non si muove. Wister continua a camminare, abbassa le braccia e avvicina le mani al calcio delle pistole. Arriva a una cinquantina di metri dall'indiano. Si ferma. Falla finita, ragazzo, grida. Bear non si muove. C'è il deserto da quella parte, vuoi morire da stupido?, grida. Bear fa qualche passo verso di lui. Poi si ferma. Rimangono così, uno di fronte all'altro, due schizzi neri nel nulla. Il sole picchia verticale. È un mondo senza ombre. C'è un silenzio così orribile che lo sceriffo Wister ci sente dentro Pitt urlare. Cerca di ricordarsi la faccia del ragazzino ma non ci riesce, sente solo quell'urlo, fortissimo. Cerca di concentrarsi su Bear. Ma c'è quell'urlo che non lo lascia in pace. Devi solo fare il tuo mestiere, si dice. Lascia perdere il resto. Fa' il tuo mestiere. Si accorge di aver abbassato lo sguardo per terra. Raddrizza di scatto la testa. Fissa Bear. Vede due occhi assenti. Invincibili, pensa. Allora d'improvviso, come una scossa, sente la paura piombargli addosso, e piegargli le gambe. L'ha tenuta lontana per giorni. Gli arriva addosso, ora, come un'esplosione silenziosa. Cade in ginocchio. Si piega in avanti, si appoggia con le mani per terra. Le vede tremare. Non riesce a respirare, il sangue gli pulsa nelle tempie. Con una fatica enorme solleva lo sguardo verso Bear. È sempre là, fermo, in piedi. Bastardo. Bastardo. Bastardo. Non ci sono uccelli nel cielo, né serpenti nella polvere, né vento a far volare arbusti, né orizzonte, niente. È mondo sparito. Lo sceriffo Wister mormora piano: Vai all'inferno, ragazzo. Si alza, getta un ultimo sguardo verso Bear, poi si volta. Si volta e camminando con fatica arriva fino al fucile. Lo prende. Fa ancora qualche passo. Solleva le borse e se le mette a tracolla, sulla spalla buona. Senza più voltarsi cammina guardando i suoi passi. Non si ferma fino a che è buio. Si lascia cadere per terra. Si addormenta. Nel cuore della notte si sveglia. Ricomincia a camminare, seguendo la debole traccia della pista. Ricade per terra. Chiude gli occhi. Sogna.

Il sesto giorno lo sceriffo Wister si sveglia all'alba. Si alza. Vede all'orizzonte, minuscole, le case bianche del pueblo. Si volta. Bear è a un centinaio di metri da lui. In piedi. Fermo. Wister raccoglie le borse e il fucile. Si rimette in marcia. Cammina per ore. Ogni tanto cade a terra, si abbassa il cappello sugli occhi, e aspetta. Quando sente le forze tornare, si alza e riparte. Non si volta mai. Riesce ad arrivare al pueblo prima del tramonto. Gli danno da bere e da mangiare. Dice: Sono lo sceriffo Wister. Gli danno un letto per dormire. Gli dicono in spagnolo che c'è un chico, fuori dal pueblo. Si è accampato qualche centinaio di metri dalle prime case. Gli chiedono se è un suo amico. No, dice lo sceriffo Wister. La spalla lo fa impazzire. Dorme con una pistola carica, a portata di mano.

Il settimo giorno lo sceriffo Wister si fa dare un cavallo, e parte verso le montagne. Ritrova il vento, e nubi di polvere che cancellano la pista. Si ferma una volta sola, per far riposare l'animale. Poi riparte. Arriva alle montagne. Sale fino a Pinter Pass, scollina senza voltarsi. Prima di aver raggiunto la pianura, devia verso una miniera abbandonata. Smonta, si accende un fuoco. Passa la notte lì, senza dormire. Pensa.

L'ottavo giorno lo sceriffo Wister lascia che il sole sia alto, nel cielo. Poi monta a cavallo. Prende poche cose, dalle borse, e le lega alla sella. Abbandona il fucile appoggiato a una parete della miniera. Scende lentamente fino a valle. Lontano, intravede le case di Closingtown, e gli alberi piegati dal vento. Procede al passo, senza fretta. Parla a voce alta. Sempre la stessa frase. Quando arriva al fiume, ferma il cavallo. Lo fa girare su se stesso. Socchiude gli occhi, e guarda. Bear è a qualche centinaio di metri da lui. È in sella a un cavallo. Va avanti piano, al passo. Ragazzo, dice Wister. Ragazzo. Poi gira il cavallo e senza più voltarsi, raggiunge Closingtown.

Quando arriva alle prime case, qualcuno si mette a urlare che è tornato lo sceriffo. La gente esce in strada. Lui continua al passo, senza guardare nessuno. Con una mano tiene le redini, con l'altra stringe una pistola. La gente non osa avvicinarsi, sembra un morto a cavallo, o un pazzo. Lo sceriffo Wister attraversa la città, come un fantasma, poi gira intorno alla prigione e prende il sentiero per il ranch dei Clark. La gente gli va dietro, a piedi. Quasi non osano parlare. Wister arriva al ranch. Scende da cavallo. Dà un giro di redini attorno alla palizzata. Va verso la casa, camminando come un ubriaco. Qualcuno gli si avvicina per aiutarlo. Lui gli punta addosso la pistola. Non dice niente, continua a camminare, e arriva alla casa. Davanti alla casa c'è il padre di Pitt. Eugene Clark. Faccia invecchiata dal vento, capelli grigi. Lo sceriffo Wister si ferma a tre passi da lui. Continua a stringere una pistola nella mano destra. Solleva lo sguardo su Eugene Clark. Poi dice: Mi spiace, continuava a urlare, non la voleva smettere. Lui era sempre stato buono con me. Non aveva mai fatto così, prima. Era un bambino buono. Eugene Clark fa un passo verso di lui. Wister gli punta contro la pistola. Eugene Clark si ferma. Lo sceriffo Wister solleva il cane della sua Colt 45. Dice: Non l'ho seppellito vivo, giuro. Non respirava più, aveva gli occhi rivoltati, e non respirava più. Poi si appoggia la pistola sotto il mento, e spara. Macchie di sangue sulla faccia e sul vestito di Eugene Clark. La gente accorre, tutti urlano, i bambini vogliono vedere, i vecchi scuotono la testa, il vento non smette di alzare polvere, intorno. Ci mettono un po', tutti, ad accorgersi di Bear. È a cavallo, fermo, di fianco alla palizzata del ranch. Non ha più occhi, spariti tra gli zigomi da indiano. Respira a bocca aperta, tra labbra secche di polvere e terra. La gente ammutolisce. Lui preme leggermente i talloni sul ventre del cavallo. Tira le redini a sinistra e se ne va. C'è un ragazzino che lo rincorre. Bear, gli urla, Bear. Lo sceriffo si è sparato, Bear. Lui non si volta, continua al passo, in direzione del fiume. Bear, ehi, Bear, dove vai?

Bear non si volta.

A dormire, dice piano.

Musica.

Phil Wittacher dalle sorelle Dolphin

Sul manto della prateria il vento inclina paesaggio e anime verso ovest, curvando Closingtown come un vecchio giudice stanco di ritorno dall'ennesima condanna a morte. Musica.

La musica era sempre quella lì, la faceva Shatzy con la bocca.

Notte fuori. Nel salotto delle sorelle Dolphin, loro due e lo straniero, quello che avevano preso a fucilate, quando era entrato in paese.

Obbiettivamente la cosa era un po' strana, ma se provavi a dirlo Shatzy tirava su le spalle e continuava.

Lo straniero si chiamava Phil Wittacher. L'accento va sulla i.

Wittacher.

Phil Wittacher non era un uomo che si spostava volentieri. Diciamo che si spostava solo se lo pagavano molto, e in anticipo. Da Closingtown aveva ricevuto una lettera estremamente cortese: e mille dollari per il disturbo di leggerla. Era un buon punto di partenza. La lettera diceva che se voleva gli altri novemila dollari doveva presentarsi all'unica casa rossa del paese.

L'unica casa rossa di Closingtown era quella delle sorelle Dolphin.

Per cui adesso se ne stanno lì, nel salotto a chiacchierare. Tutti e tre.

- Perché io? -, chiede lo straniero.

Se consideriamo il nostro problema voi sembrate, sotto ogni aspetto, la persona più indicata a risolverlo, mister Wittacher - dice Julie Dolphin.

- Ci serve il migliore e tu lo sei, ragazzo - dice Melissa Dolphin.

Erano uguali, ma non erano uguali, diceva Shatzy. Succede, coi gemelli: fisicamente due gocce d'acqua, ma poi è come un'unica anima divisa in due, con tutto il bianco da una parte e il nero dall'altra. Julie era il bianco. Melissa il nero. Difficile immaginarsele una senza l'altra.

- Probabile che non esistano nemmeno, l'una senza l'altra, - diceva Shatzy.

Curioso paesaggio disegnato blu sul dorso della tazza che Julie Dolphin porta alla bocca. Tisana alla verbena. Non vi sarà sfuggito che questo paese simula una normalità del tutto apparente: qui ogni giorno accade qualcosa che, con un eufemismo, si potrebbe definire seccante.

- I paesi del West sono tutti uguali, miss.

- Stronzate - dice Melissa Dolphin.

Lo straniero sorride.

- Non credo di capire.

- Capirete. Ma temo sarà necessario da parte vostra avere la cortesia di ascoltare alcune storie. Vi possiamo chiedere di tornare domani, al tramonto? Sarà nostro piacere raccontarvele.

Phil Wittacher non era un uomo a cui garbava andare per le lunghe. Se un lavoro andava fatto, preferiva sbrigarsi.

Julie Dolphin posa sul tavolo una mazzetta di banconote che sembrano stirate.

- Confidiamo che questi possano aiutarvi a prendere in esame la scomoda eventualità di trattenervi in paese il tempo necessario per capire il problema, mister Wittacher.

Duemila dollari.

Lo straniero accenna un inchino, prende i soldi e li fa sparire in una tasca.

Si alza. C'è una valigetta di cuoio rigido, come una specie di custodia di violino, appoggiata alla sua sedia. Phil Wittacher non se ne separa mai.

- Con quel che paghiamo, potremmo ben darci un'occhiata, no? -, dice Melissa Dolphin.

- Mia sorella intende dire che sarebbe rassicurante per noi vedere i vostri, come dire, i vostri attrezzi del mestiere. Giusto per curiosità, sa, anche noi, in qualche modo, siamo delle intenditrici, se ci è consentita questa presunzione.

Lo straniero sorride.

Prende la valigetta, l'appoggia su una sedia, e la apre.

Metallo luccicante, oliato ed esatto. Madreperla e intarsi.

Le due sorelle si chinano a guardare.

- Per la miseria.

- Dei veri gioielli, se così mi posso esprimere.

- Sono carichi?

Lo straniero annuisce.

- Naturalmente.

- Melissa Dolphin guarda lo straniero.

- E allora perché sono fermi?

Phil Wittacher inarca leggermente le sopracciglia.

- Prego?

- Mia sorella si chiedeva come mai questi vostri splendidi orologi sono fermi visto che voi assicurate di averli caricati.

Lo straniero si avvicina alla valigetta, si china a guardare. Osserva bene i tre quadranti, uno a uno. Poi si rialza.

- Sono fermi -, dice.

- Già.

- Miss Dolphin, le assicuro che questo è impossibile.

- Non qui, in questo paese -, dice Julie Dolphin, poi richiude la valigetta e la porge allo straniero.

- Come vi dicevo, sarebbe estremamente utile che voi aveste la gentilezza di ascoltare quello che abbiamo da raccontarvi.

Phil Wittacher prende la valigetta, si infila lo spolverino, recupera il cappello e va verso la porta. Prima di aprirla si gira, tira fuori il suo orologio da taschino, gli dà un'occhiata, lo ripone al suo posto e alza lo sguardo verso le sorelle Dolphin, il volto leggermente impallidito.

- Scusate, sapete dirmi che ora è?

Il tono è quello di un naufrago che chiede quanta acqua è rimasta da bere.

- Sapete dirmi che ora è?

Julie Dolphin sorride.

- Naturalmente no. Sono trentaquattro anni, due mesi e undici giorni che a Closingtown nessuno sa più che ora è, mister Wittacher.

A quel punto scoppiava a ridere. Shatzy. Si metteva a ridere. Si vedeva che 'sta storia le piaceva da morire, si divertiva a raccontartela, avrebbe potuto continuare a farlo per una vita. Le metteva allegria, ecco.

- A domani, mister Wittacher.

I racconti delle sorelle Dolphin

Senza pistole sopra il cuore - nel taschino, biglietti da visita che recitano

 

Wittacher e Figlio.

Costruzione e riparazione di orologi e cronometri.

Medaglia del Senato all'Esposizione Universale di Chicago.

 

La valigetta in mano, camminando nel vento fino alla fine del paese, una casa rossa, casa Dolphin tre gradini, la porta, Julie Dolphin, il salotto, odore di legno e verdura, due fucili appesi sopra la stufa, Melissa Dolphin, polvere che scricchiola sotto le scarpe, ovunque, strano paese, polvere dappertutto, pioggia mai, strano paese,

- Buona sera mister Wittacher.

- Buona sera.

Per cinque giorni ogni giorno al tramonto Phil Wittacher si recò dalle sorelle Dolphin, ad ascoltare. Gli raccontarono la storia di Pat Cobhan, che si era suicidato in duello, a Stonewall, per amore di una puttana, e la storia dello sceriffo Wister, che era partito da Closingtown innocente ed era tornato a Closingtown colpevole. Gli chiesero se aveva incontrato un vecchio semicieco con pistole lucenti nel cinturone.

- No.

- Lo incontrerete. Si chiama Bird. Questa è la sua storia. E gli raccontarono del vecchio Wallace, e della sua ricchezza. Gli raccontarono dei Christianson, tutta la storia d'amore, dall'inizio alla fine. Il quinto giorno gli raccontarono ancora di Bill e Mary. Poi dissero

- Può bastare.

Phil Wittacher spegne il suo sigaro in un piattino di vetro blu.

- Belle storie -, dice.

- Dipende -, dice Melissa Dolphin.

- Noi siamo piuttosto propense a considerarle delle storie orrende -, dice Julie Dolphin.

Phil Wittacher si alza, si avvicina alla finestra, guarda fuori nel buio. Dice

- Va bene, qual è il problema?

- Non è così semplice da spiegare. Ma se c'è qualcuno che può capire siete voi.

Gli chiedono se si è accorto che tutte quelle storie hanno qualcosa in comune.

Wittacher pensa.

La morte, dice.

Qualcos'altro, dicono.

Wittacher pensa.

Il vento, dice.

Esatto.

Il vento.

Wittacher tace.

Rivede Pat Cobhan che scende da cavallo, dopo giorni di viaggio, raccoglie una manciata di polvere, la lascia scivolare piano tra le dita e pensa: niente vento, qui. E lì finalmente si concede la morte.

Non c'era vento dove lo sceriffo Wister si arrese a Bear. Deserto, sole. Niente vento.

Wittacher pensa.

Sono sei giorni che è in quel paese, e il vento non ha smesso di tirare un attimo, come una furia. Polvere dappertutto.

- Perché? - chiede Phil Wittacher.

- Il vento è la maledizione -, dice Melissa Dolphin.

- Il vento è una ferita del tempo -, dice Julie Dolphin. È quello che pensano gli indiani, lo sapevate? Loro dicono che quando si alza il vento significa che si è strappato il grande manto del tempo. Allora tutti gli uomini perdono la propria pista, e finché tira il vento non la ritroveranno mai. Restano senza destino, sperduti in una tempesta di polvere. Gli indiani dicono che solo alcuni uomini conoscono l'arte di strappare il tempo. Li temono, e li chiamano assassini del tempo. Uno di loro ha strappato il tempo di Closingtown: è successo trentaquattro anni, due mesi e sedici giorni fa. Quel giorno, mister Wittacher, ognuno di noi ha smarrito il suo destino in un vento improvvisamente alzatosi, nel cielo della città, e mai più finito.

Bisognava sentirla, Shatzy, quando spiegava quella faccenda.

Diceva che bisognava immaginarsi Closingtown come un uomo sporto fuori dal finestrino di una diligenza, con tutto il vento in faccia. La diligenza era il Mondo, che faceva il suo bel viaggio nel Tempo: andava avanti macinando giorni e chilometri, e se tu ci rimanevi dentro, bene al riparo, neanche sentivi l'aria e la velocità. Ma se per una qualunque ragione ti sporgevi fuori dal finestrino, zac, finivi in un altro Tempo, e allora era polvere e vento fino a farti perdere il senno. Diceva proprio perdere il senno: e da queste parti non è un'espressione qualunque. Diceva che Closingtown era una città sporta fuori dal finestrino del Mondo, col Tempo che le soffiava in faccia, e la polvere dritta negli occhi a complicare tutto in testa.

 

- Trentaquattro anni, due mesi e sedici giorni fa, mister Wittacher, ognuno di noi ha smarrito il suo destino in un vento improvvisamente alzatosi, nel cielo della città, e mai più finito. Pat Cobhan era giovane e i giovani non sanno vivere senza destino.

Salì a cavallo e non si fermò fino alla terra dove il suo lo stava aspettando. Bear era un indiano: lui sapeva. Portò lontano lo sceriffo Wister fino ai margini del vento, e lì lo consegnò al destino che si meritava. Bird è un vecchio che non vuole morire. Bestemmia ma se ne sta acquattato in questo vento dove il suo destino di pistolero non lo troverà mai. Questa è una città a cui qualcuno ha rubato il tempo, e il destino. Volevate una spiegazione: vi basta?

Phil Wittacher pensa.

È tutto pazzesco, dice.

Meno di quanto pensiate.

Sono leggende, dice.

Non dire cazzate, ragazzo.

È solo vento, dice.

Credete?

Diceva Shatzy che allora gli fecero aprire la sua valigetta. C'erano dentro tutti i suoi arnesi e i suoi tre orologi, perfetti e belli: inesorabilmente fermi.

- E questo come lo spiegate, mister Wittacher?

- Forse l'umidità.

- L'umidità?

- Voglio dire, qui è molto secco, questo paese, è orribilmente secco, immagino che sia il vento o...

- Il vento?

- È possibile.

- È solo vento, mister Wittacher, da quando il vento ferma gli orologi?

Phil Wittacher sorride.

- Non mi incastrate: una cosa è fermare un orologio, un'altra cosa è fermare il tempo.

Julie Dolphin si alza addirittura; si alza si avvicina allo straniero, ma molto vicino, e lo guarda negli occhi, fisso negli occhi.

- Vi prego di credermi: qui a Closingtown, sono la stessa cosa.

- In che senso, miss?

Phil Wittacher sorride.

- Non mi incastrate: una cosa è fermare un orologio, un'altra cosa è fermare il tempo.

Julie Dolphin si alza addirittura si alza si avvicina allo straniero, ma molto vicino, e lo guarda negli occhi, fisso negli occhi.

- Vi prego di credermi: qui a Closingtown, sono la stessa cosa.

- In che senso, miss?

Allora Julie Dolphin gli raccontò. Ci potete credere o no, ma trentaquattro anni, due mesi e sedici giorni fa qualcuno strappò il tempo di Closingtown. Si alzò un grande vento e di colpo si fermarono tutti gli orologi del paese. Non ci fu mai verso di farli ripartire. Ce n'era uno, enorme, che nostro fratello aveva fatto montare in una torre di legno, proprio nel centro della Main Street, sotto la cisterna dell'acqua. Ne era molto fiero, e andava lui a caricarlo, personalmente, ogni giorno. Non ce n'era un altro, grande così, in tutto il West. Lo chiamavano il Vecchio, perché andava lento, e sembrava saggio. Si fermò quel giorno, e non ripartì mai più. Aveva le lancette inchiodate sulle 12 e 37, e ridotto così sembrava un occhio cieco che non la smetteva mai di guardarti. Alla fine decisero di coprirlo con delle assi. Almeno la finiva di spiare tutti quanti. Adesso sembra un serbatoio, più piccolo, sotto quello grande. Ma là dentro c'è sempre lui. Fermo. Se credete che siano solo leggende sentite questa. Undici anni fa arrivano in paese quelli della ferrovia. Dicono che vogliono far passare i binari da qui, per congiungere la linea del Sud alla zona dei grandi pascoli. Comprarono terreni e piantarono picchetti. Poi si accorgono di una cosa curiosa: tutti i loro orologi sono fermi. Chiedono in giro e qualcuno gli racconta tutta la storia. Allora fanno venire un esperto dalla capitale. Un omino sempre vestito di nero, che non parlava mai. Rimase qui nove giorni. Aveva apparecchi strani, non la finiva più di smontare e rimontare orologi. E misurava tutto, la luce, l'umidità, studiava perfino il cielo, di notte. E naturalmente il vento.

Alla fine disse:

- Gli orologi fanno quel che possono: il fatto è che qui non c'è più il Tempo.

C'aveva quasi imbroccato, l'omino.

Qualcosa aveva capito. Qui, il tempo, in realtà, non ha mai smesso di esserci. Ma è vero che non è il tempo di tutto il resto del mondo. Qui corre un po' più avanti o un po' più indietro, chissà.

Quel che è certo è che corre in un posto dove gli orologi non riescono a vederlo. Quelli della ferrovia ci pensarono un po' su.

Dissero che non era l'ideale far passare una ferrovia in una terra dove il tempo non esisteva più. Probabile che si immaginassero treni che sparivano nel nulla e si perdevano per sempre. Rivendettero i terreni e fecero passare la ferrovia più a ovest. Qui nessuno ne fece un dramma. Chi è abituato a vivere senza destino, può ben vivere senza una ferrovia. Da allora non è successo più niente. Nel senso che il vento non ha mai smesso un attimo di soffiare, e di orologi non se n'è più visto uno che non fosse fermo. Potremmo andare avanti così per sempre, qualsiasi cosa voglia dire sempre in un posto a cui hanno strappato il tempo. Ma è difficile. Si può vivere senza orologi: è più complicato farlo senza destino, con addosso una vita che non ha più appuntamenti. Siamo una città di esuli, gente assente da se stessa. Probabilmente non ci restano che due possibilità: ricucire il tempo, in qualche modo, o andarcene via, tutti. Noi due vorremmo morire qui, in un giorno senza vento: per questo abbiamo chiamato voi.

Phil Wittacher rimane in silenzio.

- Facci crepare all'ora giusta, senza polvere negli occhi, ragazzo.

Phil Wittacher sorride.

Pensa che il mondo è pieno di matti.

Pensa all'omino vestito di nero e non riesce a immaginarselo in altro modo che ubriaco, appoggiato al bancone del saloon, a farsi stordire di cazzate.

Pensa al Vecchio, e si chiede se davvero è il più grande orologio del West.

Pensa ai suoi tre splendidi orologi, con l'ora di Londra, San Francisco e Boston. Fermi.

Guarda quelle due vecchine, con la loro casa perfettamente in ordine, convinte di essere alla deriva in un tempo che non è il loro.

Poi si schiarisce la voce.

- D'accordo.

Dice

- Cosa devo fare?

Julie Dolphin sorride.

- Fate ripartire quell'orologio.

- Quale orologio?

- Il Vecchio.

- Perché lui?

- Se partirà lui, gli altri lo seguiranno.

- È solo un orologio. Non vi restituirà niente.

- Voi pensate a farlo partire. Poi quello che dovrà accadere accadrà.

Phil Wittacher pensa.

Phil Wittacher scuote la testa.

- È tutto pazzesco.

- Cos'è, ti caghi addosso, ragazzo?

- Mia sorella si domanda se per caso non nutrite un'esagerata sfiducia nelle vostre possibilità di...

- Non mi cago addosso. Dico solo che è tutto pazzesco.

- Pensavate davvero che per tutti quei soldi avreste trovato da fare un lavoro ragionevole?

- Mia sorella dice che non ti paghiamo per dire cosa è pazzesco o cosa no. Fa' ripartire quell'orologio, è tutto quello che devi fare.

- Phil Wittacher si alza.

- Immagino sia assolutamente idiota, ma lo farò.

Dice.

Julie Dolphin sorride.

- Ne ero sicura, mister Wittacher. E vi sono davvero molto grata.

Melissa Dolphin sorride.

- Aprigli il culo, a quel bastardo. Senza pietà.

Phil Wittacher la guarda.

- Non è un duello.

- Certo che lo è.

Musica.

Il Vecchio (L'incontro di Phil Wittacher con Bird)

Il Vecchio era talmente grande che a entrarci sembrava di entrare in una casa. Si apriva una porta, si saliva qualche gradino, e si finiva direttamente nella cassa dell'orologio. In un certo senso era come essere una pulce ed entrare in una cipolla da taschino. Phil Wittacher rimase stordito dalla meraviglia. Tutti gli ingranaggi erano di legno, corda e cera. Il meccanismo della ricarica funzionava ad acqua, sfruttando la cisterna montata sopra l'orologio. Di ferro c'erano solo le lancette. I numeri, sul quadrante di legno laccato bianco, erano disegnati a colori, ma non erano numeri normali. Erano carte da gioco. Tutte di quadri. Dall'asso alla donna, che stava al posto del mezzogiorno. Il re era in mezzo al quadrante, dove di solito c'era la firma dell'orologiaio.

Paese di pazzi, pensa Phil Wittacher.

Sale e scende in quella rete incomprensibile di ruote dentate, binari, ganci, funi, pesi, bilancieri.

Tutto fermo.

Se solo non si sentisse questo vento fischiare tra le assi delle pareti, pensa Phil Wittacher.

Passa tre giorni là dentro, appendendo lanterne dappertutto e facendo mille disegni. Poi si chiude nella sua stanza a studiarli.

Una sera si spinge fin dalle sorelle Dolphin.

- Che mestiere faceva vostro fratello? - chiede.

- Non sei pagato per fare domande, ragazzo -, dice Melissa Dolphin

- Intendete dire prima di venire nel West? - chiede Julie Dolphin.

- Prima di costruire il Vecchio.

- Fregava i ladri - dice Melissa Dolphin.

- Inventava casseforti -, dice Julie Dolphin.

- Ah, ecco -, dice Phil Wittacher.

Poi torna nella sua stanza al primo piano del saloon. E riprende a studiare i disegni.

Una sera bussano alla porta. Lui apre e vede un vecchio vestito come un pistolero. Pistole comprese. Due, infilate nelle fondine, alla rovescia, con il calcio sporgente in avanti.

- Sei tu l'uomo dell'orologio? -, dice Bird.

- Già.

- Posso?

- Se vuole.

Bird entra. Disegni dappertutto.

- Si sieda -, dice Phil Wittacher.

- Ho solo una cosa da dirti e posso dirla da in piedi.

- La ascolto.

- Piscio sangue, il male mi ruba le notti, faccio schifo anche alle puttane e non ci vedo più un cazzo. Sbrigati a riparare quell'orologio. Ho bisogno di morire.

Phil Wittacher alza gli occhi al cielo.

- Non crederà anche lei a quella storia...

- Non c'è molto altro in cui credere, da queste parti.

- E allora prenda la prima carrozza, scenda quando non ci sarà più vento, e aspetti: se ci crede davvero, basterà aspettare un po' e troverà qualcuno che l'ammazzerà.

Com'è che Bird adesso gli sta puntando due pistole addosso? Solo un attimo fa erano nelle loro fondine.

- Sta' attento, ragazzo. Da questa distanza non ho bisogno degli occhi.

Phil Wittacher alza le braccia.

Com'è che le due pistole sono di nuovo nelle fondine? Un attimo fa erano puntate su di lui.

- Abbassa quelle braccia, idiota. Non posso ammazzarti, se voglio morire.

Phil Wittacher si lascia cadere su una sedia. Bird toglie da una tasca una mazzetta di dollari.

- Sono tutti i miei soldi. Li tenevo per un mariachi, ma aspetto da anni e quello non arriva mai. Non c'è più poesia, in questo mondo. Ripara quell'orologio e saranno tuoi.

Bird rimette i soldi in tasca.

Phil Wittacher scuote la testa.

- Non voglio soldi, non mi servono soldi, ho fatto l'errore di prendere questo lavoro e va bene, lo finirò, ma lasciatemi in pace, io voglio solo andarmene il più presto possibile da questo paese di pazzi, anzi, sapete cosa vi dico?, mi chiedo com'è che non me ne sono già andato, questa è la verità, per caso sapete perché diavolo io sono ancora qua?

- Semplice: non si lascia a metà un duello.

- Non è un duello.

- Certo che lo è.

Dice Bird. Poi si tocca con due dita la tesa del cappello, si gira e si avvicina alla porta. Prima di aprirla, si ferma. Si volta di nuovo verso Phil Wittacher.

- Ragazzo, lo sai dove guarda un pistolero, durante un duello?

- Non sono un pistolero.

- Io sì. Guarda negli occhi l'avversario. Negli occhi, ragazzo.

Bird fa un cenno con la testa, verso i disegni che ingombrano il tavolo e la stanza.

- Fissare le pistole non serve a niente. Quando vedi qualcosa, è troppo tardi ormai.

Phil Wittacher si gira a guardare i suoi disegni. L'ultima frase di Bird che sente è:

- Guardalo negli occhi, se vuoi vincere, ragazzo.

Diceva Shatzy che il giorno dopo Phil Wittacher fece togliere tutte le assi che erano inchiodate davanti al quadrante del Vecchio.

Le lancette erano fisse sulle 12 e 37 Avevano ragione le sorelle Dolphin: sembrava un occhio cieco che non la smetteva mai di guardarti. Lui e le sue tredici carte di quadri. Dalla sua stanza Wittacher iniziò a studiarlo per ore. Aveva spostato il tavolo davanti alla finestra: lavorava sui suoi disegni, poi alzava lo sguardo e fissava il Vecchio. Ogni tanto scendeva in strada, la attraversava e saliva nel cuore dell'orologio. Controllava, misurava. Quando ritornava nella sua stanza, si sedeva al tavolo e ricominciava a studiare.

Attraverso il vento, fissava l'occhio cieco del Vecchio. La mattina del quarto giorno si svegliò all'alba. Aprì gli occhi, e si disse:

- Che idiota.

Si vestì, scese da Carver e gli chiese chi era il più vecchio di Closingtown. Carver gli indicò un mezzo indiano che dormicchiava seduto per terra, con in mano una bottiglia mezza piena di acquavite.

- Non ce n'è uno che non si è bevuto il cervello?

- Ci sono le sorelle Dolphin.

- No, loro no.

- Allora il giudice.

- Dove lo trovo?

- Nel suo letto. La casa dopo l'emporio di Patterson.

- Perché a letto?

- Dice che il mondo fa schifo.

- E allora?

- L'ha detto una decina d'anni fa. Da allora scende dal letto solo per pisciare e cagare. Dice che non vale la pena.

- Grazie.

Phil Wittacher esce dal saloon, arriva alla casa del giudice, bussa alla porta, la apre, entra nella penombra, vede un grande letto e sopra, mezzo vestito, un uomo enorme.

- Mi chiamo Phil Wittacher -, dice.

- Vaffanculo.

- Sono quello che ripara il Vecchio.

- Auguri.

- Prende una sedia, la avvicina al letto, si siede.

- Com'era l'uomo che lo costruì?

- Cosa vuoi sapere?

- Tutto.

- Perché?

- Devo guardarlo negli occhi.

Il giudice racconta Arne Dolphin

Puzza di sigaro e merda, le tende semiabbassate alla finestra, tutta la stanza zeppa di giornali, vecchi giornali, ritagli di giornali proprio in mezzo c'è il grande letto di ferro, e, sdraiato sopra, il giudice, enorme: i pantaloni sbottonati, strane scarpe ai piedi, capelli unti pettinati con cura all'indietro, barba ingiallita. Ogni tanto si sporge a prendere una bacinella appoggiata per terra, ci sputa dentro catarro marrone, e la rimette giù. Per il resto parla.

Phil Wittacher ascolta.

Arne Dolphin. Puoi dire tutto, ma era uno che sapeva parlare. Se gli lasciavi un po' di tempo poteva convincerti anche che eri un cavallo. Tu ridevi, ma intanto alla prima occasione ti davi un'occhiata allo specchio: così, tanto per controllare. Me lo immagino, là, in città, a spaccare i coglioni a tutti con quella storia del West. Aveva delle mappe e sulle mappe c'era una valle, al di là dei Monti Sohones: un paradiso, diceva lui. Convinse sedici famiglie. Diciassette con la sua: due sorelle e un fratello, Mathias. Ne parlarono anche i giornali: la carovana di Arne Dolphin. Viaggiarono per sei mesi andando lontani come nessuno era mai andato.

Si erano persi da settimane, ormai, quando arrivarono in questa terra. Non c'era niente. Solo indiani, nei canyon intorno, nascosti nei loro villaggi invisibili. Arne Dolphin fece fermare la carovana per la notte. Non so dove pensasse di andare, il giorno dopo. Comunque non ci andò mai. Al mattino qualcuno tornò dal fiume e disse che laggiù l'acqua brillava. Oro. Cercavano boschi, terra grassa, pascoli. Trovarono l'oro. Arne Dolphin decise che sarebbe dovuto rimanere un segreto. Propose agli altri sedici capifamiglia un patto. Cinque anni a lavorare isolati dal mondo, poi ognuno sarebbe potuto andare per la sua strada, col suo oro. Accettarono.

Nacque Closingtown: la città che non era su nessuna mappa al mondo.

Lavoravano duro. Arne Dolphin era riuscito a mettere in mezzo anche gli indiani. Non so come ci riuscì, ma a poco a poco li convinse a lavorare per lui. Era affascinato da quella gente. Aveva imparato la loro lingua, studiava il loro mistero. Divenne la sua passione. Passava le ore a interrogarli, a farsi raccontare, a imparare strane cerimonie. Gli indiani lo rispettavano, gli avevano dato anche un nome dei loro, era diventato loro fratello. Indiani, poker e orologi: erano le tre cose per cui andava pazzo. A sentir lui, anzi, erano una sola cosa, le tre facce di una sola cosa. Chissà che voleva dire. Indiani, poker e orologi. Le donne le guardava appena, bere non beveva, e del denaro sembrava fregargli relativamente. Si sentiva il padre di tutto quello, l'inventore di tutto ciò che stava succedendo: questo gli bastava. Doveva essere un po' come sentirsi dio. Mica male come emozione.

Ogni tanto, dal deserto, arrivava qualche disperato, o qualche carro di coloni disperso. Arne Dolphin li accoglieva, gli raccontava dell'oro, gli spiegava le regole, e se sgarravano li ammazzava.

Di processi non si parlava nemmeno. Arne Dolphin non amministrava giustizia: lui era la giustizia. Ogni tanto qualcuno dei nuovi arrivati ci provava, a scappar via, a portare la notizia al mondo: partivano lui e suo fratello Mathias, e lo inseguivano. Tornavano qualche giorno dopo con legate alle selle le teste mozzate di quei poveracci. Gli bruciavano anche gli occhi, perché il messaggio fosse più chiaro. Era un uomo mite, allegro e feroce.

Non so se gli altri avessero paura di lui. Ma non ne avevano bisogno. Era l'uomo che si era inventato il mondo in cui stavano vivendo. Prima di temerlo, lo amavano. Gli dovevano tutto, e lui assomigliava maledettamente a ciò che ciascuno di loro avrebbe sognato essere. No, avevano solo fiducia cieca, in lui, addirittura fede, se vuoi. Per dire: tutto l'oro che trovavano lo consegnavano a lui. Dico sul serio. E lui lo nascondeva in un posto sicuro. Un posto che solo lui e suo fratello conoscevano. Era un buon sistema per evitare che a qualcuno venisse voglia di andarsene via prima del tempo, fregando tutti gli altri. Era un buon sistema per non farsi rubare tutto dai primi banditi di passaggio. Arne Dolphin, l'oro, lo faceva letteralmente sparire: ce n'era più a Closingtown che in tutte le banche di Boston, ma se arrivavi in città, e non lo sapevi, non ne trovavi un grammo, una pagliuzza, niente.

Erano tutti d'accordo che se lo sarebbero divisi alla fine dei cinque anni. Nessuno voleva sapere dov'era, prima di quel momento. Lo sapevano Arne Dolphin e suo fratello Mathias. Tanto bastava. Closingtown non era una città: era una cassaforte.

Dopo tre anni, tre anni e mezzo, il fiume smise di portare pagliuzze d'oro. Per un po' aspettarono, ma non successe niente.

Allora Arne Dolphin mandò suo fratello con qualche indiano a risalire il corso del fiume. Pensavano di trovare sui monti un filone o qualcosa del genere. Tornarono dopo un mese. Non avevano trovato niente. Quella notte, a casa loro, successe il pasticcio.

Una discussione tra i due fratelli, forse qualcosa di più. Il mattino dopo Arne era sparito. Mathias andò a vedere dove tenevano l'oro, e trovò il deposito vuoto. La gente non ci voleva credere. Mathias prese con sé cinque uomini e senza dire una parola partì con loro al galoppo verso il deserto. Qualche giorno dopo videro tornare i loro cavalli, al passo. Legate alle selle, c'erano le loro teste, con gli occhi bruciati. L'ultimo cavallo era quello di Mathias.

L'ultima testa era la sua. Fine della storia, ragazzo. Se chiedi in giro ne sentirai di tutti i colori, ognuno c'ha la sua teoria su come abbia fatto Arne Dolphin a portarsi via tutto quell'oro. Ma la verità è che nessuno lo sa. È che quell'uomo era un genio, a modo suo. Nessuno l'ha mai più visto. E più niente è successo, dal giorno in cui se ne è andato. Questa è una città di fantasmi. È morta quel giorno. Amen.

Phil Wittacher lascia passare qualche istante.

Silenzio.

- Quando è successo? -, chiede.

- Trentaquattro anni, due mesi e venti giorni fa.

- Phil Wittacher tace. Pensa.

- Perché non andarono a cercarlo?

- Lo fecero. Pagarono il miglior cacciatore di taglie che trovarono, e glielo mandarono dietro.

- Risultato?

- L'ho inseguito per vent'anni, l'ho sfiorato mille volte, e non sono mai riuscito nemmeno a vederlo in faccia.

- Lei?

- Io.

- Ma lei è un giudice.

- I giudici sono poliziotti stanchi.

- Stando qui non lo prenderà mai.

- Sbagliato, ragazzo. Se perdi un cavallo puoi fare due cose: corrergli dietro, o fermarti dove c'è l'acqua e aspettare che abbia sete. Alla mia età si corre male ma si aspetta da dio.

- Aspettarlo qui? Perché mai dovrebbe tornare?

- Sete, ragazzo.

- Sete?

- Conosco quell'uomo meglio del mio uccello. Tornerà.

- Magari è morto, magari sta sotto terra da anni.

Il giudice scuote la testa e sorride. Fa un cenno verso i giornali, chili di carta che impregnano la stanza di parole.

Indiani, poker e orologi. Cambia nome, cambia città, cambia faccia, ma non è difficile riconoscerlo. Anche lo stile è sempre quello. Megalomane, mite, allegro e feroce. Non è uno a cui piace nascondersi. Fuggire sì, in quello è un maestro, ma quanto a nascondersi... non sarebbe da lui. Basta saper leggere bene i giornali, ed è come stare attaccati alle palle del suo cavallo.

Phil Wittacher guarda il giudice. Ha le mani che esplodono di grasso, e le unghie lunghe e sporche. Le dita nere di inchiostro.

Ha occhi belli, di un blu ragazzo. Vagolano a caso, a fissare nell'aria anime ballerine. Phil Wittacher li sta a guardare fino a che loro non se ne accorgono, si girano verso di lui e lo fissano, aspettando. Allora dice

- Grazie.

Si alza. Rimette la sedia dove l'aveva presa. Va verso la porta.

Sulla parete vede la foto incorniciata di una ragazza che fa finta di leggere un libro. Ha i capelli raccolti sulla nuca, e il collo sottile, perfetto. C'è anche qualcosa scritto, a mano, inchiostro blu.

Cerca di leggere, ma è in una lingua che non conosce. Pensa a Bird, e a quella storia di lui che per anni impara a memoria i dizionari di francese, dalla A alla Z. Mica scemo, pensa guardando quel collo sottile e perfetto. Ha la mano sulla maniglia della porta quando si ferma, e si volta verso il giudice.

- E l'orologio?

- Quale orologio?

- Il Vecchio.

- Il giudice solleva le spalle.

- Tipico di Arne Dolphin. Voleva costruire il più grande orologio del West. E lo fece. Mise sotto gli indiani a lavorare, e lo fece.

- Il giudice si sporge per sputare. Poi ricade sdraiato.

- Se vuoi sapere la verità, io non l'ho mai visto funzionare.

- Già.

- L'hai capito cos'ha di rotto là dentro?

- Non è rotto. È fermo.

- Fa differenza?

- Phil Wittacher gira la maniglia, sente lo scatto della serratura.

- Sì -,dice.

Apre la porta ed esce nella luce che aggrappata alla polvere frulla l'aria festiva del mezzogiorno, portando i pensieri a volteggiare come trapezisti innamorati nella terra bruciata da quel sole senza requie, diceva Shatzy, anzi quasi lo cantava, come se fosse stata una ballata e ridendo, questo me lo ricordo bene rideva.

L'orologiaio guarda negli occhi l'avversario

Non per farvi fretta, mister Wittacher, ma credete di essere sulla buona strada per capire cosa non funziona nel Vecchio? - dice Julie Dolphin.

- Funziona tutto.

- Ci prendi per il culo?

- Non è rotto. È fermo.

- Fa differenza?

Prende il suo cappello in mano, Phil Wittacher.

- Sì - dice a se stesso.

   

Tutto quel giorno di caldo e vento Phil Wittacher lo passa chiuso dentro il Vecchio. Un orologio idraulico, dice a se stesso mentre apre le condotte della cisterna e lascia scendere l'acqua seguendola a ogni svolta giù per il meccanismo della ricarica. Ripete l'operazione per decine di volte. Non riesce a capire. Si siede. Stanco. Pensa. Si alza. Segue un filo che solo lui conosce e che lo porta in giro dentro il Vecchio, da un ingranaggio all'altro, fino al quadrante smaltato, con le sue belle tredici carte di quadri. Le guarda. A lungo.

Ore.

Poi capisce.

Alla fine capisce.

- Figlio di puttana.

Dice.

- Geniale figlio di puttana.

Scende dal Vecchio con la testa svuotata dalla fatica. Nel vuoto ronzano domande una dopo l'altra. Tutte iniziano con: Perché?

Non torna nella sua camera, punta diritto alla casa delle sorelle Dolphin. Odore di legno e verdura. Due fucili appesi sopra alla stufa.

- Cosa successe quella notte fra Arne e Mathias?

Le sorelle stanno sedute in silenzio.

Ho chiesto cosa successe.

Julie Dolphin si guarda le mani, appoggiate in grembo.

- Ebbero una discussione.

- Che discussione?

- Voi riparate orologi, sapere certe cose non può servirvi a niente.

- Quello è un orologio strano.

Julie Dolphin torna a guardarsi le mani, appoggiate in grembo.

- Che discussione? -, chiede Phil Wittacher.

Melissa Dolphin alza la testa.

Il fiume non dava più oro. Sulle montagne non avevano trovato niente. Mathias aveva un'idea. S'era messo d'accordo con altri cinque capifamiglia. L'idea era prendere tutto l'oro e andarsene, di notte.

- Scappare con l'oro?

- Sì.

- E poi?

- Mathias chiese ad Arne se ci stava.

- E lui?

- Arne disse che non voleva saperne. Disse a Mathias che era una carogna, e che lo erano gli altri cinque, e tutti, al mondo. Sembrava in buona fede, sapeva recitare bene quando voleva.

Disse che se quella doveva essere la fine di Closingtown lui non la voleva vedere. Disse che per lui tutto quanto finiva in quel momento. Mi ricordo che prese il suo orologio, un orologio da tasca d'argento, lo diede a Mathias e gli disse: la città è tua. Poi raccolse la sua roba e partì. Disse che non sarebbe mai più tornato.

Non è più tornato.

Phil Wittacher pensa.

- E Mathias?

- Era ubriaco. Si mise a spaccare tutto, poi uscì e rimase fuori per ore. Tornò al mattino. Andò dove tenevano l'oro. Non trovò più niente e capì che Arne si era portato via tutto. Prese con sé altri cinque e partirono al galoppo, sulle tracce di Arne.

- Sempre gli stessi cinque capifamiglia?

- Erano i suoi amici.

- E poi?

- Quattro giorni dopo tornarono i loro cavalli. E alle selle c'erano le loro teste mozzate, con gli occhi bruciati.

Phil Wittacher pensa.

- Che ora era quando arrivarono?

- Domanda stupida, da queste parti.

Phil Wittacher scuote la testa.

Okay. Cos'era, giorno, notte, cosa?

- Sera.

- Sera?

- Sì.

Phil Wittacher si alza. Va verso la finestra. Guarda la strada e la polvere che vola davanti ai vetri.

Fa un po' fatica, ma alla fine lo chiede:

- È stato Arne ad assassinare il tempo?

Le sorelle Dolphin tacciono.

- È stato lui?

Le sorelle Dolphin stanno là, con la testa china e le mani in grembo. Non si capisce nemmeno bene qual è, delle due, a dire

- Sì. Si è portato via tutto, quando se n'è andato.

Phil Wittacher prende il suo spolverino. E il cappello. Le sorelle Dolphin restano sedute. Sembra che aspettino una fotografia.

- Quell'orologio... l'orologio d'argento, l'avete mai più trovato?

- No.

- Non era attaccato alla sella, o tra la roba di Mathias?

- No.

Phil Wittacher dice piano: già.

Poi, forte:

- Buona notte.

Esce. Attraversa la città, rientra al saloon, sta per salire alla sua stanza quando vede il solito indiano, vecchio e ubriaco, seduto per terra, appoggiato al muro. Si ferma. Torna fin da lui, e gli si accovaccia di fronte.

Lo guarda e dice:

- Arne Dolphin, ti dice niente questo nome?

Gli occhi dell'indiano sono pietre umide incastonate in una maschera di rughe.

- Mi senti?... Arne Dolphin, il vostro amico Arne, il grande Arne Dolphin.

Gli occhi dell'indiano non si muovono.

- Dico a te... Arne Dolphin, quella immensa canaglia bastarda di Arne Dolphin, il grande figlio di puttana.

E poi, più a bassa voce:

- L'assassino del tempo.

Gli occhi dell'indiano non si muovono.

Phil Wittacher sorride.

- Te ne ricorderai, quando servirà.

Chiude e apre le palpebre, l'indiano.

 

 Phil Wittacher si alza, dà ancora uno sguardo al vecchio indiano e va verso lo scalone.

- È come spremere sangue da un sasso. Sono anni che non gli sento dire una parola -' dice Carver, mentre asciuga l'ennesimo bicchiere.

- Già.

- Whiskey?

- Forse è un'idea.

- Whiskey.

Phil Wittacher si appoggia al bancone.

Carver gli versa un bicchiere.

Phil Wittacher cerca di non pensare. Ma pensa.

- Carver.

- Sì.

- C'era qualcuno in questa dannata città che odiasse Arne Dolphin?

- Prima che se ne andasse?

- Adesso sono buoni tutti.

- Già.

- Ma prima?

Carver solleva le spalle.

- Chi non ha qualche nemico a questo mondo?

Phil Wittacher beve. Posa il bicchiere.

- Carver.

- Sì?

- Mathias, suo fratello Mathias, lo odiava?

Carver si ferma. Guarda Phil Wittacher.

- Hai mai avuto un fratello che era dio?

- No.

- Be', l'avresti odiato, ogni giorno della tua vita, in segreto e con tutta la forza del mondo.

L'organizzazione del duello

Phil Wittacher nel sole del mezzogiorno, in piedi appoggiato al muro del saloon, con il cappello calato sugli occhi e il fazzoletto alzato sulla bocca per difendersi dalla polvere. Guarda il quadrante del Vecchio, lancette e numeri da giocatore di poker.

Si mette a camminare. Gli piace camminare con il vento alle spalle. Non fa rumore, e guida lui.

Pensa che è una storia di vecchi e che lui non c'entra niente.

Si ripete con allegria che lui è solo un orologiaio. Dice a voce alta - Via da qui, è ora di andarsene, mi spiace ma non è un lavoro per me, saluti a tutti. - Pensa che non ha una sola ragione per rimanere e per far partire quell'orologio. Poi si ferma. Guarda davanti a sé. Vede Melissa Dolphin: spazza la strada davanti a casa, frullata dal fiume di polvere rotondo, con irragionevole cura, e inutile, spazza. Le volano i capelli bianchi via dall'ordine che con mani anziane, davanti allo specchio, avrà provato a dettargli quella mattina, come ogni mattina. Sembra un fantasma esile, paziente, invincibile e vinto.

Diceva Shatzy che precisamente a quel punto Phil Wittacher si voltò, sputò per terra, e dato che aveva il vento contro praticamente si sputò sui pantaloni. Poi mandò tutti a fare in culo.

Phil Wittacher entra nella casa del giudice. Penombra, puzza di merda e sigaro. Giornali dappertutto.

Prende una sedia e la avvicina al letto. Si siede.

- Sempre dell'idea che il cavallo verrà prima o poi a bere?

- Puoi scommetterci, ragazzo.

- Non sembra avere una gran sete.

- Gli verrà. Non ho fretta.

- Io sì.

- E allora?

- Se non ha sete gliela facciamo venire.

Phil Wittacher lo dice allungando al giudice un foglietto scritto a macchina. Il testo dice che domenica 8 giugno, alle ore 12 e 37, con grande solennità, Phil Wittacher, della Wittacher e Figlio, farà ripartire lo storico orologio di Closingtown, il più grande di tutto il West. Cibo, bevande e sorpresa finale.

Phil Wittacher fa un cenno verso le cataste di giornali.

Ho fatto uscire questa notizia in modo che lui la possa leggere. In fondo è trentaquattro anni che manda messaggi: era ora di rispondere.

Il giudice si solleva dai cuscini, mette giù le gambe dal letto, rilegge per bene il foglio.

- Non penserai che quel bastardo sia così matto da venire.

- Verrà.

- Stronzate.

- Mi credete se vi dico che verrà?

Il giudice lo guarda come se fosse un problema di algebra.

- E tu come lo sai, coglioncello?, sei nella testa di Arne Dolphin, per caso?

- Io so dov'è, cosa sta facendo, e cosa farà domani. Io so tutto di lui.

Il giudice si mette a ridere e molla una scorreggia micidiale.

Ride come un matto per minuti. Tutta una cosa di bronchi e catarro. Ma con dell'argento in mezzo. Ridiventa serio tutto d'un colpo.

- Va bene, orologiaio, che io sia dannato se ci capisco qualcosa, ma okay.

- Si sporge in avanti e avvicina il faccione a quello di Phil Wittacher.

- Non mi dirai che lo fai partire davvero, quell'orologio?

- Quello è affar mio, parliamo di quello che farà lei.

- Semplice. Appena il bastardo mette piede in città gli pianto un proiettile in mezzo agli occhi.

- Chiunque in questa città potrebbe farlo. Non si butti via. Per lei ho pensato a qualcosa di più raffinato.

- Sarebbe?

- Non piantargli un proiettile in mezzo agli occhi.

- Sei scemo?

- Quell'uomo, in questa città, è un uomo morto. A me serve vivo. Risolva lei il problema.

- Vivo in che senso?

- Giudice: io glielo porto qui. Lei trovi un modo per farlo sedere a un tavolo con me. Tempo di raccontarci un paio di storie. Poi ne faccia quello che vuole. Ma lo voglio a quel tavolo, senza testimoni, e senza proiettili in mezzo agli occhi.

- Non sarà semplice: quell'uomo è una bestia feroce. Se gli lasci il tempo, sei un uomo morto.

- Gliel'ho detto che era un lavoro degno di lei.

- Non sarà una passeggiata.

- No, quindi magari si trovi un altro paio di scarpe.

Il giudice si guarda i piedi.

- Va' a farti fottere, moccioso.

- Non ho tempo. Devo andare da Bird.

Così va da Bird.

- Bird, tu sai come sparava Arne Dolphin?

- Mai conosciuto.

- Lo so, ma sai cosa si dice di lui?

- Un po' lento a estrarre. Mira bestiale. Una dote di famiglia a quanto pare. Le sorelle ne avevano fatto uno spettacolino, ai tempi.

- Quella storia del fante di cuori?

- Già.

- Come diavolo facevano?

- Non so. Ma quando ci sono in mezzo le carte da gioco c'è sempre il trucco. Solo le pistole non mentono mai.

Phil Wittacher pensa che non è vero.

- Bird: un uomo contro sei, in campo aperto: ha qualche probabilità di uscirne vivo?

- Ci sono sei colpi in una Colt. Quindi sì.

- Lascia perdere la poesia, Bird. Ne esce vivo o no?

- Bird pensa.

- Sì, se i sei sono ciechi.

Phil Wittacher sorride.

- Siamo noi che siamo ciechi, Bird. Vediamo solo quello che ci aspettiamo di vedere.

- Lascia perdere la filosofia, ragazzo. Cosa cazzo sei venuto a chiedermi?

- Sempre dell'idea di morire?

- Sì, quindi sbrigati a far partire quell'orologio.

- Hai impegni per l'8 giugno?

- A parte pisciare sangue e tirare sassi ai cani?

- A parte quello.

- Lasciami pensare.

Pensa.

- Direi di no.

- Bene. Avrò bisogno di te, quel giorno.

- Di me o delle mie pistole?

- Lavorate ancora insieme?

- Solo nelle grandi occasioni.

- È una grande occasione.

- Nel senso?

- Facciamo ripartire quel fottuto orologio.

Bird strizza gli occhi per guardare bene in faccia Phil Wittacher.

- Prendi per il culo?

- Sono serissimo.

Com'è che quella pistola prima era nella fondina e adesso è puntata alla testa di Phil Wittacher?

- Prendi per il culo?

- Sono serissimo.

Com'è che quella pistola è di nuovo nella fondina?

- Conta su di me, ragazzo.

- Ci servono i tuoi occhi, Bird.

- Brutto affare.

- Come vanno?

- Dipende dalla luce.

- Che carta è questa?

- Bird strizza gli occhi su quella carta scivolata fuori dal polso di Phil Wittacher.

- Fiori?

Phil Wittacher la pizzica con due dita e poi la tira in aria.

Bird estrae e spara. Sei colpi. La carta rimbalza sui sei proiettili come su un tavolo di vetro invisibile. Poi cade come una foglia morta.

- Riusciresti a beccarla a una trentina di metri?

- No.

- E se fosse ferma?

- A una trentina di metri?

- Sì.

- Con un po' di culo potrei farcela.

- Ho bisogno che tu ce la faccia, Bird.

- Ci vuole un po' di culo.

- Non sarebbero meglio degli occhiali?

- Va' a farti fottere, orologiaio.

- Non ho tempo. Devo andare dalle sorelle Dolphin.

Così andò dalle sorelle Dolphin.

- Fra due domeniche, alle 12 e 37, farò ripartire il Vecchio.

Le sorelle Dolphin lo guardano senza muoversi. È incredibile, ma sembra a Phil Wittacher di vedere gli occhi di Melissa Dolphin brillare di qualcosa come fosse: lacrime.

- Sarà un gran casino, ma l'avete voluto voi.

Le sorelle Dolphin fanno cenno di sì col capo.

- Mi piacerebbe dirvi di stare chiuse in casa finché tutto non è finito, ma so che tanto non lo farete, quindi preferisco che veniate, e facciate la vostra parte. Però intendiamoci bene: niente improvvisazioni, e rispettare gli ordini.

Le sorelle Dolphin fanno di nuovo cenno di sì col capo.

- Okay. Quando sarà tempo, vi farò sapere. Buona notte, signore.

Spolverino, cappello.

- Mister Wittacher...

- Sì.

- Vorremmo che voi sapeste che...

- Sì?

- Insomma non è facile trovare le parole, ma ci corre l'obbligo di farvi sapere...

- Sì?

Melissa Dolphin non ha più lacrime negli occhi quando dice:

- Niente di personale, ma fra un po' ti esce l'uccello, ragazzo.

- Prego?

- Quel che vorremmo dire è che forse sarebbe più prudente se voleste abbottonarvi l'apposita apertura dei pantaloni proprio sotto la cintura, mister Wittacher.

Phil Wittacher si guarda. Si abbottona. Rialza lo sguardo sulle sorelle Dolphin.

- Ma cosa ho fatto di male, io?, - pensa.

L'arrivo dei dodici cavalieri a Closingtown

Soffia il vento sotto un sole giaguaro, e la strada di Closingtown fuma polvere come la canna di un camino dove stanno bruciando la Terra intera.

Ovunque, il deserto.

Venuto da fuori e penetrato in ogni singola vena della città.

Non un suono, non una voce, non un volto.

Una città abbandonata.

Volano rimasugli di niente, e cani muti vagolano cercando l'ombra dove parcheggiare costole e rimpianti.

Domenica 8 giugno, sole allo zenit.

Da est, dalla nube di polvere, dal passato, appaiono dodici cavalieri, uno di fianco all'altro, cappelli calati sugli occhi, fazzoletto tirato sulla bocca. Pistole alla cintura, e fucile sotto il braccio.

Vengono avanti piano, contro vento, tenendo i cavalli al passo.

Sono sagome ormai distinte quando arrivano alle prime case di Closingtown.

Undici hanno lo spolverino giallo. Uno: nero.

Vengono avanti, piano, una mano alle redini, l'altra al fucile.

Spiano ogni scheggia di città, intorno a loro. Vedono il nulla.

Non parlano, avanzano allineati, uno di fianco all'altro, coprendo la strada in tutta la sua larghezza. Un pettine. Un aratro.

Minuti.

Poi quello vestito di nero si ferma.

Tutti si fermano.

A destra c'è il saloon. A sinistra il Vecchio.

Lancette ferme sulle 12 e 37.

Silenzio.

Si apre la porta del saloon.

Ne esce una vecchia con una nube di capelli bianchi che sfilano via, appena incrociano il vento.

Undici fucili si alzano e la puntano.

Lei si protegge gli occhi dal sole con una mano, attraversa il portico del saloon, scende i tre scalini, si avvicina ai dodici e va a fermarsi davanti a quello vestito di nero. Le canne dei fucili non l'hanno persa di vista un attimo.

- Ciao, Arne -, dice Melissa Dolphin.

L'uomo non risponde.

- Io fossi nei tuoi uomini terrei le chiappe molto strette e non muoverei un muscolo. Hanno più fucili puntati addosso loro che anni spalmati addosso io. Li abbiamo contati: 138. Non gli anni: i fucili.

L'uomo solleva lo sguardo. Canne di fucile, sbucate da tutte le feritoie pensabili, lo stanno guardando.

- Sai, non è che tu abbia lasciato un gran bel ricordo, da queste parti.

Gli undici si guardano intorno nervosi, tenendo i fucili abbassati.

Melissa Dolphin si gira e ritorna lentamente verso il saloon, sale i gradini del portico, prova a rimettersi a posto i capelli, apre la porta e sparisce dentro il saloon.

Le 138 canne di fucile restano fisse sui dodici. Non sparano.

Non se ne vanno.

Silenzio.

L'orologiaio e l'uomo in nero (Mathias Dolphin)

L'uomo in nero fa un cenno agli altri. Scende da cavallo, lo tiene per le redini, lo porta al passo fino alla staccionata del saloon. Dà un giro di redini intorno alla trave di legno. Infila il fucile nella sella. Si tira giù il fazzoletto dal volto. Barba folta e bianca. Si gira a dare un'occhiata ai 138 fucili. Nessuno punta lui. Tutti dedicati ai suoi amici. Attraversa la veranda, avvicina una mano alla porta e l'altra alla fondina della pistola. Apre.

Entra.

La prima cosa che vede è un vecchio indiano, seduto per terra.

Una statua.

La seconda cosa che vede è un saloon vuoto.

La terza è un uomo seduto a un tavolo lontano, l'ultimo nell'angolo.

Attraversa il saloon e arriva davanti all'uomo. Si toglie il cappello. Lo posa sul tavolo. Si siede.

- Saresti tu l'orologiaio?

- Io -, dice Phil Wittacher.

- Con quella faccia da bambino?

- Già.

L'uomo in nero sputa per terra.

- Che ti frega di quell'orologio? -, dice.

- Non è un orologio. È una cassaforte.

L'uomo in nero sorride.

- Piena -, aggiunge Phil Wittacher.

L'uomo in nero fa uno schiocco con la lingua.

- Bingo - dice. - Geniale. Apri la cisterna, l'acqua scende, fa partire il meccanismo e il meccanismo fa partire le lancette. Solo che se provi non funziona. E sai perché?

- Dimmelo tu.

- Perché funziona al contrario. Tu fai girare le lancette, loro fanno partire il meccanismo, il meccanismo fa partire l'acqua, l'acqua sale, mette in azione tre pistoni che aprono una cella sotterranea e pompano da sotto terra altra acqua: zeppa d'oro e ferma lì da trentaquattro anni, tre mesi e undici giorni. Sembra un orologio. Ma è una cassaforte. Geniale.

- Congratulazioni. Sai un sacco di cose.

- Più di quante tu creda, Mathias.

Come una scossa elettrica. Per un istante l'uomo in nero è un uomo che sta per alzarsi, estrarre due pistole e sparare. L'istante dopo è un uomo che sente una voce urlare:

- Fermo!

Il terzo istante lo usa per fermarsi. Il quarto per risedersi. Il quinto per voltarsi lentamente, tenendo le mani sul tavolo.

Il giudice ha due stivali lucidi con stelle colorate, borchie e tutto. Si è pettinato col profumo, e ha perfino la barba rasata di fresco. Sta in piedi all'altro capo del saloon, con un fucile puntato sull'uomo in nero.

- La conversazione non è ancora finita - dice.

- L'uomo in nero torna a fissare Phil Wittacher.

- Cosa vuoi da me?

- Raccontarti una storia, Mathias.

- Sbrigati allora.

- Hai degli impegni?

- Ammazzare quel pancione là dietro e portare via la pelle da questo stupido paese.

- È un tipo paziente. Aspetterà.

- Sbrigati, ho detto.

- Okay. Trentaquattro anni, tre mesi e undici giorni fa. Notte. Tu proponi a tuo fratello Arne di scappare con altri cinque e tutto l'oro. Lui si rifiuta. Capisce che tutto è finito, e che il resto sarà una schifosa guerra per quell'oro. Fa una cosa che solo tu puoi comprendere: ti regala il suo orologio d'argento.

- Poi prende la sua roba e parte, in piena notte. Dev'essere intollerabile avere un fratello così giusto, vero Mathias? Mai un errore. Un dio. Com'è stato vivere nella sua ombra per anni, decine d'anni? È una di quelle cose che può farti impazzire, vero? Ma tu non sei impazzito. Anzi. Hai aspettato. E quella notte il tuo momento è arrivato. Mi sembra di vederti, Mathias.

Vai all'orologio, apri la cassaforte, la trovi piena, porti via tutto l'oro che puoi nascondere nella sella del tuo cavallo. La mattina esci correndo da casa, gridando che Arne se n'è scappato con tutto l'oro, prendi i tuoi cinque amici e lo insegui. Lo raggiungete che è ancora nel deserto. Arne è uno contro sei: non può farcela. Quanti riesce a farne secchi prima di morire, Mathias? Due, tre?

- ...

- Non importa. A quelli che rimangono ci pensi tu. Non potevano aspettarselo, erano i tuoi amici. Li colpisci alle spalle, magari mentre stanno decapitando tuo fratello, vero? Tagli la testa anche a loro, bruci gli occhi di tutti. Leghi le teste alle selle. E sulla sella del tuo cavallo leghi quella di tuo fratello Arne. Astuto. I cavalli arrivano a Closingtown che è sera. È quasi buio, le teste sono sfigurate, il cavallo è quello tuo. E soprattutto: la gente vede quello che si aspetta di vedere. Un fratello che perde per tutta la vita perché avrebbe dovuto vincere proprio quella volta? Aspettavano te morto e videro te morto. Dovesse accadere altre cento volte, per cento volte rivedrebbero la tua testa, attaccata a quella sella. Ma era di Arne, quella testa.

L'uomo in nero non muove un muscolo.

Phil Wittacher dà un'occhiata fuori dalla finestra. Ci sono undici cavalieri in spolverino giallo e 138 fucili puntati su di loro.

- Il resto è una vendetta lunga trentaquattro anni, tre mesi e undici giorni. Mezza vita a fingerti Arne Dolphin e a goderti ogni giorno il pensiero di una intera città che lo stava odiando, finalmente, quel dio che l'aveva tradita, il ladro, l'assassino del suo buon fratello Mathias, l'uomo che da sempre aveva il suo piano per fotterli tutti, il bastardo che se ne andava in giro a giocare a poker e collezionare orologi, mentre loro qui, a morire lentamente, nel vento. Geniale, Mathias. Hai dovuto rinunciare a tutto quell'oro, ma hai avuto la vendetta che cercavi. Fine della storia.

Mathias Dolphin parla piano, con una voce profonda.

- Chi la conosce oltre a te?

- Nessuno. Ma se vuoi provare ad ammazzarmi non farlo adesso. Il pancione, laggiù, ci sa fare. E cinquanta chili fa era un cacciatore di taglie: non ha grandi problemi a sparare alla schiena.

Mathias Dolphin stringe i pugni.

- Okay, cosa vuoi per il tuo silenzio?

- Il tuo orologio d'argento, Mathias.

Mathias Dolphin istintivamente abbassa lo sguardo sul proprio panciotto di cuoio, nero. Poi torna a mettere gli occhi in quelli di Phil Wittacher.

- Se sei così in gamba, orologiaio, come mai hai bisogno della combinazione per aprire quella cassaforte?

- Non mi interessa aprire la cassaforte. È il Vecchio che mi interessa. E per farlo partire senza romperlo ho bisogno di quella combinazione.

- Tu sei pazzo.

- No. Sono un orologiaio.

Mathias Dolphin scuote la testa. Riesce perfino a sorridere.

Scosta lentamente la falda dello spolverino, sfila via l'orologio dal taschino e con un gesto netto strappa la catena che lo tiene al panciotto. Posa l'orologio sul tavolo.

Phil Wittacher lo prende. Solleva il coperchietto.

- È fermo, Mathias.

- Non faccio l'orologiaio, io.

- Già.

Phil Wittacher avvicina agli occhi l'orologio. Legge qualcosa sul lato interno del coperchietto. Posa l'orologio, aperto, sul tavolo.

- Poker di donne e re di quadri -, dice.

- Adesso puoi far partire il Vecchio, se proprio ci tieni.

- Adesso sì.

- Mi sa che sarà una gran bella sorpresa per tutti, quando lo farai, e io non ci tengo a esserci. Quindi dì al pancione di tirar giù il fucile, adesso devo proprio andarmene.

Phil Wittacher fa un cenno al giudice. Il giudice abbassa il fucile. Lentamente, Mathias Dolphin si alza.

- Addio, orologiaio.

Dice. Si volta. Guarda negli occhi il giudice.

- Sbaglio o ci siamo già visti, noi due?

- Forse.

- Eri giovane e arrivavi sempre un attimo in ritardo. Eri quello lì?

- Forse.

- È curioso: la gente fa per tutta la vita lo stesso errore.

- Sarebbe?

- Tu arrivi sempre un attimo in ritardo.

Poi estrae e spara. Il giudice fa appena in tempo a sollevare il fucile. Un proiettile lo colpisce al petto e lo sbatte per terra contro la parete. Al rumore dello sparo fuori si scatena l'inferno.

Mathias si butta su Phil Wittacher e, sdraiato su di lui, per terra, gli punta la pistola alla testa.

- Okay, orologiaio, questa mano la gioco io.

Fuori è sparatoria infernale. Mathias si alza tirando su Phil Wittacher come uno straccio. Attraversa il saloon tenendoselo stretto e cercando di evitare di stare allo scoperto, davanti alle finestre. Passano davanti al giudice: accasciato per terra, con il petto sanguinante e il fucile ancora stretto in mano. Fatica a parlare, ma parla.

- Te l'avevo detto, ragazzo. Non bisognava lasciargli il tempo.

Mathias lo colpisce con un calcio in faccia, il giudice crolla disteso.

- Carogna - dice Phil Wittacher.

- Sta' zitto. Devi solo stare zitto. E camminare. Piano.

- Si avvicinano alla porta. Passano di fianco al vecchio indiano, seduto per terra. Mathias neanche lo guarda. Resta al riparo, dietro allo stipite della porta.

Sente la sparatoria morire, quasi di colpo, come ingoiata dal nulla.

Ancora qualche sparo isolato.

Poi silenzio.

Silenzio.

Il duello 

Mathias spinge avanti Phil Wittacher, tenendogli la canna della pistola puntata alla schiena.

- Apri la porta, orologiaio.

Phil Wittacher la apre.

La strada centrale di Closingtown è un cimitero di cavalli e spolverini gialli.

Solo vento, polvere e cadaveri. E decine di uomini, con le armi in mano, appostati sui tetti, ovunque. In silenzio.

A guardare.

- Okay, orologiaio, vediamo se ti vogliono bene, in questo paese.

Lo spinge fuori ed esce dietro di lui.

Luce, vento, polvere.

Tutti li guardano.

Mathias spinge Phil Wittacher fino ad attraversare il portico e a scendere nella strada. Vede il suo cavallo ancora legato al suo posto. È l'unico cavallo ancora in piedi. Si guarda intorno. Tutti lo stanno guardando. Tutti hanno il fucile abbassato.

- Che cazzo gli prende, orologiaio? Hanno finito la voglia di ammazzare?

- Credono che tu sia Arne.

- Che cazzo dici?

- Non ammazzerebbero mai Arne.

- Che cazzo dici?

- Vorrebbero, ma non ci riescono. Preferiscono che lo faccia lui per loro.

Phil Wittacher fa un cenno verso il centro della strada.

Mathias guarda. Cappello lucido nero, spolverino chiaro, fino a terra, stivali luccicanti, due pistole al cinturone, impugnature d'argento. Viene avanti tenendo le braccia incrociate e sfiorando con le mani le pistole. Sembra un prigioniero o un matto. Un uccello con le ali chiuse.

- Chi cazzo è?

- Uno che spara più veloce di te.

- Digli che se non si ferma ti faccio saltare le cervella.

- Lo farai comunque, Mathias.

- Diglielo!

Phil Wittacher pensa: - sei magnifico, Bird. Poi urla:

- BIRD!

Bird continua a camminare, lento. Dietro di lui il Vecchio guarda la scena coi suoi occhi fatti di carte da poker.

- BIRD, FERMATI. BIRD!

Bird non si ferma.

Mathias preme la canna della pistola sulla nuca di Phil Wittacher.

Ancora tre passi e sparo, ragazzo.

- BIRD!

Bird fa tre passi e poi si ferma. È a una ventina di metri dai due. Rimane immobile.

Phil Wittacher pensa: che storia. Poi dice, nel vento:

- Bird, lascia stare. Partita persa. Le carte buone le ha lui.

Pausa.

- Poker di donne e re.

Allora spalanca le ali, Bird. Ma girando su se stesso, lo spolverino che si apre nel vento.

Quattro colpi rapidissimi, sparati in faccia al Vecchio.

Donna.

Donna.

Donna.

Donna.

Mathias mira a Bird e spara.

Due colpi in mezzo alla schiena.

Bird cade, ma cadendo spara ancora.

Quinto colpo.

Re.

Il Vecchio fa: CLAC.

Da una finestra del saloon, Julie Dolphin allinea occhio, mirino, uomo, e dice Addio fratello, e preme il grilletto.

La testa di Mathias esplode di sangue e cervello.

L'indiano, nel saloon, canta piano e intanto apre un pugno e lascia scivolare tra le dita della terra d'oro.

L'orologio d'argento, là sul tavolo, inizia a ticchettare.

La lancetta del Vecchio trema e poi si muove.

12 e 38.

Phil Wittacher è in piedi, sporco di sangue. Che stanchezza, pensa.

Nel silenzio, il Vecchio si scuote e mormora qualcosa con una voce che sembra un tuono sparato dal centro della terra.

Tutta Closingtown lo guarda.

Forza Vecchio, dice Phil Wittacher.

Silenzio.

Poi come un'esplosione.

Il Vecchio si spalanca.

Un fiotto di acqua sale nel cielo.

Brilla nella luce del mezzogiorno e non la smette più, fiume luccicante sparato nell'aria.

Acqua e oro.

Tutta Closingtown col naso all'insù.

Phil Wittacher con gli occhi a terra. Si china, prende un pugno di polvere. Si rialza. Apre le dita.

Non c'è vento, qui, pensa.

Bird chiude gli occhi.

L'ultima cosa che dice è:

- Merci.



Bird lo seppellirono

Bird lo seppellirono con le braccia incrociate sul petto: le mani sfioravano le pistole, anche loro lì, nella bara, sfavillanti. In molti portarono la cassa fin sul colmo della collina, perché pensavano sarebbe stato un onore, anni dopo, dire: l'ho accompagnato io, Bird, quel giorno, all'altro mondo. Avevano scavato una bella fossa, larga e profonda, e messo una pietra, scura, col suo nome. Calarono la cassa nella buca e poi tutti si tolsero il cappello e si girarono verso il pastore. Il pastore disse che lui non aveva mai sepolto nessun pistolero, e che non era sicuro di sapere cosa dire. Chiese se quell'uomo avesse mai fatto qualcosa di buono, in vita sua. Chiese se qualcuno ne sapesse qualcosa. Allora il giudice, che aveva un proiettile dalle parti della spina dorsale ma non gliene fregava un cazzo, disse che Bird aveva colpito quattro donne e un re, da trenta metri, senza sprecare una pallottola. Chiese se poteva bastare. Il pastore disse che temeva di no. Allora si aprì un dibattito, e tutti provarono a scavare nella memoria per riuscire a ricordarsi una cosa buona, anche una sola, che Bird avesse fatto nella vita. Era buffo, ma gli tornavano in mente solo un sacco di carognate. Alla fine, tutto quello che riuscirono a trovare fu quella storia che lui aveva studiato il francese. Aveva l'aria di essere una cosa quanto meno gentile. Chiesero al pastore se poteva bastare. Il pastore disse che era come pescare trote in un bicchiere di whiskey. Allora il giudice gli puntò addosso una pistola e disse:

- Pesca.

Così il pastore disse un sacco di cose interessanti sulle possibilità di redimere una vita di peccati coltivando lo studio delle lingue. Non se la cavò male. Amen, dissero tutti alla fine, ed erano abbastanza convinti. Riempirono la fossa di terra, e se ne tornarono a casa.

Coi soldi trovati addosso a Bird fecero venire dalla città un mariachi. Lo portarono sulla collina e poi gli chiesero quante canzoni poteva suonare per quella cifra. Lui fece due calcoli poi disse: Milletrecentocinquanta. Gli diedero i soldi e gli dissero di cominciare, e che facesse pure con comodo, tanto Bird non aveva fretta. Lui prese la chitarra e iniziò. Cantava canzoni in cui tutto andava molto di sfiga, ma la gente, inspiegabilmente, era abbastanza felice. Andò avanti per sette ore. Poi arrivarono dalla città le prime fucilate. Lui capì l'antifona, salì sul suo mulo, e tagliò la corda. Però era un mariachi onesto, e non smise di cantare fino a quando non sparì all'orizzonte, e poi per giorni e mesi e anni.

Ecco perché, da quelle parti, quando la gente sente cantare un mariachi, alza il bicchiere e dice: Alla tua, Bird.

Finale

Non un alito di vento, e folate limpide di rosso tramonto sull'orizzonte di Closingtown. Phil Wittacher si preme il cappello sulla testa e sale a cavallo. Guarda lontano, davanti a sé. Poi si gira verso le sorelle Dolphin: immobili, in piedi, i capelli bianchi ben ordinati in una geometria senza errori.

Silenzio.

Il cavallo abbassa la testa un paio di volte, poi alza il muso, ad annusare l'aria.

Julie Dolphin ha gli occhi che luccicano di lacrime. Tiene le labbra strette. Fa un cenno con la mano, piccolo, ma a Phil Wittacher sembra bellissimo.

- Culo stretto e pistole cariche ragazzo - dice Melissa Dolphin. Il resto è poesia inutile.

Phil Wittacher sorride.

- Non è un duello, la vita - dice.

Melissa Dolphin spalanca gli occhi.

- Certo che lo è, idiota.

Musica.

-

THE END.