Finì, comunque, che Diesel e Poomerang non arrivarono mai alla CRB perché all’incrocio tra la Settima Strada e il Boulevard Bourdon si trovarono davanti agli occhi, in mezzo al marciapiede, il tacco a spillo di una scarpa nera, rotolato lì da chissà dove, ma immobile come un minuscolo scoglio nel torrente in piena della gente lanciata verso la pausa pranzo. - Diavolo -, disse Diesel. - E quello cos’è? -, nondisse Poomerang. - Guarda -, disse Diesel. - Diavolo -, nondisse Poomerang. Fissavano quel tacco nero, a spillo, e fu un niente vedere - un attimo dopo l’inevitabile flash di una caviglia in nylon scuro - vedere il passo che l’aveva perso, esattamente il passo, inteso come ritmo e danza, compasso femmina smaltato nylon scuro. Lo videro da prima nel pendolo danzante di due gambe sottili, e poi nello scarto morbido che il seno, sotto la camicetta, raccoglieva rimandandolo ai capelli - corti neri, pensò Diesel - corti biondi, pensò Poomerang - lisci e sottili abbastanza da danzare a quel ritmo, che nei loro occhi era ormai diventato corpo femminile, e umanità e storia quando improvvisamente si increspò sul minuscolo controtempo di un tacco che si mise a oscillare, a un passo, e si piegò, al passo successivo, staccandosi dalla scarpa e da quel ritmo tutto - di femmina umanità e storia - costringendolo a una cadenza - non proprio a una caduta - dove ritrovare l’equilibrio di una immobilità - il silenzio. C’era un gran casino intorno a loro, ma nulla sembrava poterli schiodare da lì, Diesel ancora più curvo del normale, gli occhi fissi a terra, Poomerang con la mano sinistra a lisciarsi avanti e indietro il cranio rapato: la destra appesa alla tasca dei pantaloni di Diesel, come sempre. Guardavano un tacco a spillo nero, ma stavano vedendo in realtà quella donna scomporsi e rallentare, la videro girarsi per un attimo dicendo - Merda senza neppure per un istante pensare di fermarsi, come avrebbe fatto una donna normale - fermarsi, tornare indietro, recuperare il tacco, provare a riappiccicarlo tenendosi con una mano a un segnale stradale, senso vietato - neanche pensando di fare una cosa così ragionevole, ma continuando invece a camminare, giusto col vezzo di dire - Merda nel momento stesso in cui, escludendo di stropicciare la propria bellezza nel controtempo di una zoppia obbligata, si sfila la scarpa ferita, con un gesto leggero, senza smettere di camminare, e diventa poi definitivamente leggenda, per loro due, sfilandosi anche l’altra - compasso scalzo cromato nylon scuro - prende le scarpe, le butta in un cassonetto blu mentre già guarda intorno per cercare quel che subito trova, una vettura gialla che risale il viale lentamente: alza un braccio, dal polso scivola giù qualcosa d’oro, la vettura gialla mette la freccia, si ferma, lei sale, detta un indirizzo mentre raccoglie la gamba sottile - piede scalzo - sul sedile facendo salire la gonna e per un attimo balenare la tiepida prospettiva di un pizzo da autoreggente che scompare per qualche centimetro di coscia - bianca - e poi riappare nell’orlo di uno slip, poco più di un lampo che però si infila negli occhi di un signore in abito scuro che non smette di camminare ma si trascina dietro, appiccicato sulla retina, il tiepido lampo, che gli arroventa la coscienza e si abbatte sulla recinzione della sua narcosi da uomo stancamente sposato, con gran rumore di lamiere e lamenti. Quel che successe fu che Diesel e Poomerang rimasero impastoiati nell’uomo in scuro, in verità, risucchiati dalla composta scia del suo turbamento, che li commuoveva, per così dire, e che li spinse lontano, fino a vedere il colore del suo scendiletto marrone e sentire il puzzo della sua cucina. Arrivarono a sedersi a tavola con lui, e notarono che la moglie rideva troppo alle battute che sbrodolavano dalla tivù accesa, mentre lui, il signore in abito scuro, le versava la birra nel bicchiere, tenendo per sé la bottiglia di acqua minerale, tiepida e non gasata, a cui lo costringeva da anni il ricordo di quattro remote coliche renali. Trovarono nel secondo cassetto del suo scrittoio settantadue pagine di un romanzo, incompiuto, che si intitolava L’ultima scommessa, e un biglietto da visita - Dr. Mortensen - con stampate sul retro due labbra di rossetto viola. La radiosveglia era sintonizzata su I02.4 Radio Nostalgia, e sull’abat-jour del comodino, per schermare la luce, c’era un opuscolo dei Bambini di Dio che teorizzava l’immoralità di caccia e pesca: il titolo, un po’ bruciacchiato dalla lampadina, recitava: Vi farò pescatori di uomini. Stavano rovistando tra la biancheria intima della signora Mortensen quando, per banale e volgare associazione di idee, gli risalì nel sangue il ricordo del compasso femmina smaltato nylon scuro scossa feroce che li costrinse a precipitarsi indietro fino al taxi giallo, e a farli rimanere lì, sul bordo della strada, un po’ inebetiti dalla rovinosa scoperta rovinosa scomparsa del taxi giallo nelle viscere della città tutto il viale pieno di macchine, ma vuoto di taxi gialli e leggende accomodate sul sedile posteriore. - Cristo, - disse Diesel. - Sparita, - nondisse Poomerang. - Sulla superficie curva del tacco a spillo nero fissarono un’intera città, migliaia di strade, centinaia di auto gialle, cieche. - Persa, - disse Diesel. - Forse, nondisse Poomerang. - Come cercare un ago in un pagliaio. - Cercare, ma non l’auto. - Ce n’è a migliaia. - Non l’auto gialla. - Troppe auto. - Non l’auto, le scarpe. - Dove esattamente può andare un’auto gialla, - Scarpe. Un negozio di scarpe. - Dove lei ha detto che voleva andare. - Un negozio di scarpe. Il più vicino negozio di scarpe. - Ha guardato il taxista e ha detto... - Il più vicino negozio di scarpe. Scarpe con tacco a spillo nere. - ... il più bel negozio di scarpe, qui vicino. - Toxon’s, Quarta Strada, secondo piano, scarpe femminili. - Toxon s, pergiuda. La ritrovarono davanti a uno specchio, scarpe nere ai piedi, tacco a spillo, e un commesso che diceva - Perfette. Allora non la persero più. Per un numero imprecisabile di ore catalogarono i suoi gesti e gli oggetti intorno a lei, come se testassero dei profumi. Era qualcosa che ormai avevano respirato, quando, dopo una cena interminabile, la seguirono fin nel letto di un uomo che sapeva di acqua di colonia, e con il telecomando non la smetteva più di far ripartire il Bolero di Ravel. Davanti al letto c’era un acquario, con un pesce viola, e molte stupide bollicine. Lui faceva l’amore in religioso silenzio: aveva appoggiato la vera d’oro sul comodino, di fianco a una confezione da cinque di profilattici di marca. Lei gli premeva le unghie sulla schiena, abbastanza forte da fargliele sentire, abbastanza dolcemente da non lasciare segni. Al settimo Bolero, disse - Scusa scivolò via dal letto, si rivestì, si infilò le scarpe nere, tacco a spillo, e se ne uscì, senza dire nulla. L’ultima cosa che videro di lei, fu una porta chiusa, dolcemente. Pioggia. Asfalto a specchio tutt’intorno al tacco a spillo nero, lucido occhio lì a guardarli. - Pioggia -, disse Diesel. Alzarono lo sguardo, luce diversa, grigia, poca gente, rumore di pneumatici e pozzanghere. Scarpe marce, acqua giù nel collo. Sugli orologi, un’ora inservibile. - Andiamo -, disse Diesel. - Andiamo -, non disse Poomerang. Camminava difficile, Diesel, e lento, strascicando il piede sinistro, scarpa ridicola, immane, appesa a una gamba che cambiava idea sotto il ginocchio, e curvava malamente, sghembando ogni passo in danze cubiste. E respirava difficile, come un ciclista in salita, un respiro che era ritmo sporco e pena. Poomerang conosceva quel passo e quel respiro a memoria. Ci rimaneva attaccato e li ballava elegante, sfoggiando una stanchezza da maratona di tango. L’uno e l’altro, vicini, e poi pezzi marci di città sulla strada di casa, luci liquide di semafori, auto in terza a far rumore di sciacquone, un tacco per terra, sempre più lontano, occhio bagnato, senza più palpebre, senza ciglia, occhio finito. |
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Dietro alla casa di Gould c’era un campo da pallone. Ci giocavano solo ragazzini, i grandi stavano in panchina a urlare, o sulla piccola tribuna in legno, a mangiare e urlare. C’era l’erba dappertutto, anche davanti alle porte e a centrocampo. Era un bel campo da pallone. Gould, Diesel e Poomerang stavano ore a guardare, dalla finestra della camera da letto. Guardavano le partite, gli allenamenti, tutto quello che c’era da guardare. [...] Diesel guardava perché gli piacevano i colpi di testa. Provava un piacere tutto particolare a sentire l’impatto del cranio contro il pallone, e ogni volta che accadeva diceva Pazzesco, tutte le sante volte, con un sorriso buono sulla faccia. Pazzesco. Una volta un ragazzino, là sotto, colpì di testa, la palla finì sulla traversa, rimbalzò indietro, il ragazzino la ricolpì di testa, centrò il palo, si tuffò in avanti e andò a raccogliere la palla di testa prima che toccasse terra, sfiorandola appena e mettendola in rete. Allora Diesel disse Davvero pazzesco. Le altre volte, invece, diceva solo Pazzesco. Poomerang guardava perché cercava un’azione che aveva visto anni prima, alla tivù. A suo parere era stata così bella che non poteva essere sparita per sempre, doveva certamente vagolare per tutti i campi del mondo, e lui la stava aspettando, lì, su quel campo di ragazzini. Si era informato sul numero di campi da pallone che esistono al mondo - unmilioneottocentoquattro - ed era perfettamente consapevole che le possibilità di vederla transitare proprio da lì erano minime. Ma in base a un calcolo effettuato da Gould, non erano comunque molto minori di quelle che ci sono a nascere muti. Dunque, Poomerang la aspettava. Di preciso, l’azione era la seguente: rinvio lungo del portiere, il centravanti salta sulla tre quarti e allunga il pallone di testa, il portiere avversario esce dall’area e calcia al volo, il pallone vola indietro oltre centrocampo, salta tutti i giocatori, rimbalza ai margini dell’area, scavalca il portiere stupefatto e si insacca a fil di palo. Da un punto di vista squisitamente calcistico, si trattava di una bizzarria deplorevole. Ma Poomerang sosteneva che sotto il profilo puramente estetico aveva visto poche volte qualcosa di più armonioso ed elegante. “Era come se tutto fosse finito in un acquario - nondiceva, cercando di spiegare -, come se tutto si muovesse a mollo nell’acqua, senza spigoli e lentamente, col pallone a nuotare nell’aria, senza fretta, e i giocatori tramutati in pesci, a guardare in su a bocca aperta, ruotando tutti insieme la testa a destra e sinistra, svagolati e dispersi, col portiere a branchie spalancate mentre il pallone lo scavalcava, e alla fine la rete di un pescatore furbo, a raccogliere il pesce palla e gli occhi di tutti, pesca miracolosa nel silenzio più assoluto da abisso marino su una distesa di alghe verdi rigate in bianco da un palombaro geometra.” Era il sedicesimo del secondo tempo. La partita finì due a zero. |
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Il sabato Shatzy li invitò tutti fuori a cena, così loro il pomeriggio passarono da Wizwondk, il barbiere, a farsi tagliare i capelli. Era pieno di gente, c’era la coda fuori dalla porta. Il sabato tutti si tagliavano i capelli. - Il sabato a casa mia tutti fanno il bagno -, disse Diesel. Quello sdraiato e insaponato fin nelle narici continuava a scatarrarsi la gola, ma in quella posizione certo non poteva sputare, e quindi incamerava. C’era da morire a pensare quello che avrebbe scaracchiato, al momento buono. Pale a girare dal soffitto mulinando peli capelli vecchie pubblicità di brillantina e profumo di acqua di colonia. Muri gialli, specchi con Brigitte Bardot mai invecchiata nel cuore di Wizwondk, qualcuno dice di lui che era prete, a casa sua, poi una storia di bambine, qualcosa del genere, Wizwondk il barbiere: il giovedì tagliava capelli gratis, “lo so io perché, e non ve lo dirò mai”. Poomerang se li faceva rapare a zero, Gould “li tagli meno che può, per favore”. Diesel non stava nelle sedie, così rimaneva in piedi, appoggiato al lavabo, e Wizwondk saliva su uno sgabello, saliva e scendeva, e tagliava, sfumatura alta, riga in centro. Per ora, comunque, tutti in coda, nel caldo di fuori, ad aspettare. |
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A casa di Gould erano arrivati quelli della tivù. Volevano fare un servizio per lo special del venerdì sera. Titolo: “Ritratto di un genio bambino”. Avevano piazzato la telecamera in salotto. Quel che avevano in mente era un’intervista di una mezz’ora. Contavano di tirarci fuori la storia tristissima di un ragazzino condannato dalla sua intelligenza alla solitudine e al successo. La genialità stava nell’aver trovato qualcuno la cui vita era una tragedia non perché era sfigato ma, al contrario, perché era un figo della madonna. Se non era proprio una genialità era sembrata almeno una buona idea. Gould si sedette sul sofà, davanti alla telecamera. Poomerang si mise di fianco, seduto anche lui. Diesel non ci stava, sul sofà, così si sistemò per terra, anche se la cosa gli prese un po’ di tempo. E poi non era chiaro chi l’avrebbe mai tirato su da lì. Comunque. Sistemarono i microfoni e accesero gli spot. L’intervistatrice si stirò un po’ la gonna sulle gambe accavallate. - Tutto bene, Gould? -, disse. - Sì. - Dovremmo solo provare i microfoni. - Sì. - Hai voglia di dirci qualcosa dentro, qualsiasi cosa? - No, non ho voglia di dire qualcosa dentro questi microfoni, non lo farò mai neanche se mi pagate un birillione di... - Va bene così, tutto a posto, okay, allora possiamo partire. Sei pronto? - Sì. - Guarda verso di me, okay? Lascia perdere la telecamera. - D’accordo. - Allora andiamo. - Sì. - Signor Gould... o posso chiamarti semplicemente Gould? - ... - Facciamo semplicemente Gould, va bene. Senti Gould, quando ti sei accorto che non eri un bambino qualunque, voglio dire, che eri un genio? poomerang (nondicendo) - Dipende. Lei, ad esempio, quando si è accorta di essere cretina?, è successo tutto d’un colpo, o l’ha scoperto a poco a poco, dapprima confrontando i suoi voti con quelli dei compagni, poi notando che alle feste nessuno voleva giocare in squadra con lei quando si faceva “Indovina il film”? - Gould? - Sì? - Volevo sapere... se ti ricordi, quando eri piccolo, di un aneddoto, qualcosa, per cui d’improvviso ti sentisti diverso dagli altri, diverso dagli altri bambini... diesel - Sì, mi ricordo benissimo. Vede, si andava ai giardini, con gli altri, tutti bambini del quartiere... c’era l’altalena, lo scivolo, quelle cose lì... era un bel giardino, e si andava lì, al pomeriggio, se c’era il sole. Be’, io non lo sapevo, allora, che ero... diverso, diciamo, insomma, ero già grande ma... non lo può sapere un bambino se è diverso o cosa... io ero il più grande, tutto lì, e così un giorno salii la scala dello scivolo, era la prima volta, non te lo lasciavano fare se eri troppo piccolo, ma quel giorno nessuno mi vide, nessuno sapeva nemmeno bene quanti anni avevo, così io mi misi a salire quella scala, e quel che successe è che arrivato in cima mi sedetti nello scivolo e non funzionò, non ci stavo, col culo, nello scivolo, non ci stavo, ha presente?, ce la mettevo tutta ma quel bastardo di sedere non ne voleva saper di entrare... era idiota ma non c’era nulla da fare, non ci stava, il culo, nello scivolo. Così alla fine dovetti tornare indietro. Scesi dallo scivolo, ma dalla parte della scala. Lei lo sa cosa vuol dire scendere da uno scivolo dalla parte della scala? Ha mai provato? Con tutti che la guardano? Ha mai provato che sensazione è? Facile che l’ha provato, vero? C’è un sacco di gente, in giro, che scende dallo scivolo dalla parte della scala. Ha notato? C’è un sacco di gente a cui è girata storta, questa è la verità. - Gould? - Sì? - Tutto bene? - Sì. - Okay, okay. Allora, senti... vuoi dirci come sono i tuoi rapporti con gli altri ragazzini, hai degli amici?, giochi, fai degli sport, cose così? poomerang (nondicendo) - A me piace andare sott’acqua. Là sotto è diverso. Non c’è rumore, non puoi far rumore, anche se vuoi, non puoi farlo, è senza rumore, là sotto. Ti muovi lento, non è che puoi fare dei gesti bruschi, o che so, dei gesti veloci, devi muoverti lento, tutti sono costretti a muoversi lenti. Non ti puoi far male, non ti possono dare quelle stupide pacche sulle spalle, o cose del genere, è un bel posto. Soprattutto, è il posto ideale per parlare, lo sa? quello mi piace davvero, parlare là sotto, è il posto ideale, puoi parlare e... puoi parlare, ecco, tutti possono parlare, chiunque, se vuole, può parlare, è fantastico come si parla là sotto. Peccato solo che non c’è mai... non c’è quasi mai nessuno, questo è il vero difetto della faccenda, che lì sotto non c’è nessuno, a parte te, voglio dire, sarebbe un posto fantastico, ma non c’è quasi mai nessuno, a cui parlare, di solito, non ci trovi mai nessuno. È un peccato, non crede? - Vuoi che facciamo una pausa, Gould? Possiamo smettere e ricominciare quando vuoi. - No, va bene così, grazie. - Sicuro? - Sì. - C’è qualcosa di cui vuoi parlare? - No, preferisco se mi fa delle domande, è più semplice. - Davvero? - Sì. - Okay... senti... - … - Senti... il fatto di essere un ragazzino... speciale, diciamo così... speciale... voglio dire, con gli altri ragazzini va tutto bene? - Funziona? diesel - Sa una cosa? È un problema loro. Ci ho pensato tante volte, e ho capito che le cose stanno così, è un problema loro. Io non ho problemi a stare con loro, posso prenderli per mano, parlargli, posso giocarci insieme, io non è che mi ricordi proprio sempre di essere fatto così, me lo dimentico, io, sono loro che non se lo dimenticano mai. Mai. Alle volte si vede che magari gli piacerebbe anche venirmi vicino, o che ne so, ma è come se avessero un po’ paura di farsi del male, o una cosa del genere. Non sanno prenderla per il verso giusto. Sono capaci magari di farsi un sacco di storie in testa, su quello che io posso fare e non fare, si immaginano chissà che, stanno sempre lì a pensare cosa può darmi fastidio, che so, cosa mi potrebbe offendere, o far incazzare, e così va tutto in malora, non devono fare così. Nessuno gli ha spiegato che quelli un po’ speciali, come dice lei, alla fine sono normali, hanno le stesse voglie degli altri, le stesse paure, mica è diverso, Si può essere speciali in una cosa e normali in tutto il resto, qualcuno dovrebbe spiegarglielo. Loro la fanno troppo complicata e così finisce che si stancano, poi lasciano perdere, li si può anche capire, se ne stanno alla larga, sei un problema per loro, capisce?, un problema. Nessuno va al cinema con un problema, creda a me. Voglio dire: se solo hai uno straccio di amico con cui andarci, al cinema, neanche ti sogni di andarci con un problema. Neanche si sognano di andarci con me. È così che va. - Preferisci che parliamo della tua famiglia, Gould? - Se vuole. - Dimmi di tuo padre. - Cosa vuole sapere? - Non so... ti piace stare con tuo padre? - Sì. Lui lavora nell’esercito. - Sei fiero di lui? - Fiero? - Sì, voglio dire, sei... fiero... fiero di lui? - ... - E tua madre? - ... - Vuoi raccontarci di tua madre? - ... - ... - ... - Preferisci che parliamo della scuola? Ti piace essere quello che sei? - In che senso? - Voglio dire, tu sei famoso, la gente ti conosce, i tuoi compagni, i professori, tutti sanno chi sei. È una cosa che ti piace? poomerang (nondicendo) - Senta, le racconto ’sta storia. Un giorno arriva uno, nel mio quartiere, uno di fuori, mi incrocia per strada e mi ferma. Voleva sapere se conoscevo Poomerang. Se sapevo dove poteva trovarlo. Io non dissi niente, così lui cominciò a spiegarmi, mi disse è uno senza capelli, alto più o meno come te, e non parla mai, lo conoscerai, no?, quello che non parla mai, lo conoscono tutti. Io continuai a stare zitto. Lui iniziò a scaldarsi, dai, disse, ne han parlato anche i giornali, quello che ha scaricato un camion di merda davanti alla CRB, per via di quella storia di Mami Jane, dai, uno sempre vestito di nero, lo conoscono tutti, va quasi sempre in giro con una specie di gigante, un suo amico. Sapeva tutto. Cercava Poomerang. E io ero lì. Vestito di nero. Zitto. Alla fine si incazzò. Urlava che se non mi andava di parlare potevo andare al diavolo, che modi sono, non si può nemmeno chiedere qualcosa a qualcuno, che mondo è. Urlava. E io ero lì. Riesce a capire? Le riesce di capire che è una domanda idiota chiedermi se mi piace o no? Ehi, dico a lei, ce la fa a capire? - Non ti va di parlare, Gould? - Perché? - Possiamo smettere, se vuoi. - No, no, per me va benissimo. - Be’, non è proprio che mi stai semplificando le cose. - Mi spiace. - Non importa. Succede. - Mi spiace. - Non so, cosa vuoi che ti chieda? - … - Non so, hai dei sogni, ad esempio... c’è qualcosa che ti sogni, per quando sarai grande, qualcosa che... un sogno, ecco. diesel - Vorrei vedere il mondo. Sa qual è il problema? Nelle macchine non ci entro e sui pullman non mi fanno salire, son troppo grande, non ce l’hanno i sedili per me, è un po’ come la storia dello scivolo, è sempre la stessa faccenda, non c’è soluzione. È idiota, vero? Però intanto io vorrei vedere il mondo, e non c’è un sistema, me ne devo stare qua, e guardare le foto sui giornali, o sull’atlante. Anche i treni, è solo un casino, ci ho provato, era un casino. Non c’è soluzione. Io vorrei solo starmene lì e vedere il mondo passare dietro ai vetri di qualcosa abbastanza grande da portarmi via, tutto lì, sembra una cosa da nulla, e invece. Se proprio lo vuole sapere, è l’unica cosa che davvero mi manca, voglio dire, io sono contento di esser così come sono, non avrei voluto essere uno qualunque, come tanti altri, mi sta bene di essere così. L’unica cosa è quella lì. Mi sa che son troppo grande per riuscire a vedere il mondo, da grande. Solo quello. Veramente, solo quello mi fa incazzare. - Credo che possa bastare, Gould. |
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Nel settembre I988, otto mesi dopo la morte di Mami Jane, la CRB decise di sospendere la pubblicazione delle avventure di Ballon Mac, il supereroe dentista. Le vendite erano continuate a calare con sorprendente regolarità, e anche la decisione di introdurre un personaggio femminile che sovente mostrava le tette si era dimostrata inefficace. Nell’ultimo numero, Ballon Mac partiva per un pianeta lontano promettendo a sé e ai lettori che “un giorno luminoso di un domani migliore” sarebbe tornato. “Amen”, aveva commentato, con soddisfazione, Franz Forte, direttore finanziario della crb. Diesel e Poomerang comprarono centoundici copie di quell’ultimo numero. Con metodo, e nonostante la dubbia qualità della carta, si dedicarono per mesi al compito di pulirsi il sedere, ogni volta che ciò si rendeva necessario, con una pagina del giornalino. La piegavano poi in quattro, con grande cura, e la spedivano a Franz Forte, Direzione Finanziaria, crb. Dato che usavano buste sottratte ad alberghi, uffici pubblici, club sportivi, si rivelò impossibile per la segretaria di Franz Forte identificarle prima che finissero sulla scrivania del principale. Il quale si rassegnò ad aprire la cartella della posta, ogni giorno, con una certa circospezione. Gould compì quattordici anni. Shatzy offrì a tutti una cena in un ristorante cinese. Nel tavolo di fianco al loro c’era una famigliola: padre, madre e una figlia, piccola. La figlia si chiamava Melania. Il padre si era messo in testa di insegnarle a usare le bacchette. Parlava con un accento un po’ nasale. - Prendi la bacchetta con la manina... così... prima solo una, tesoro, prendila bene, vedi?, la devi stringere così tra il pollice e il medio, non così, guarda... Melania, guarda papà, la devi tenere così, ecco, brava, adesso stringi un po’, no, non così tanto, devi solo prenderla... Melania, guarda papà, tra il pollice e il medio, vedi, così, no, qual è il medio Melania?, è questo il medio, tesoro... - Perché non la lasci in pace? -, disse a quel punto la moglie. Lo disse senza alzare gli occhi da una zuppa di abalone e germogli di soia. Aveva i capelli tinti di rosso e una camicetta gialla con i rinforzi di gommapiuma sulle spalle. Il marito continuò come se nessuno avesse detto niente. - Melania, guardami, guarda papà, siediti bene, e prendi la bacchetta, dai, così... ecco, vedi che è semplice, ci sono milioni di bambini in Cina e non crederai mica che facciano tutte queste storie... adesso prendi l’altra, melania, siediti dritta, avanti, guarda come fa papà, una bacchetta e poi l’altra, con la manina, dài... - E lasciala in pace. - Le sto insegnando... - Non lo vedi che ha fame? - Mangerà quando avrà imparato. - Sarà tutto freddo quando avrà imparato. - per la miseria, sono suo padre, posso... - Non gridare. - Sono suo padre e ho tutti i diritti di insegnarle qualcosa visto che sua madre evidentemente ha di meglio da fare che educare la sua unica figlia che... - Mangia con la forchetta, Melania. - non se ne parla nemmeno, Melania, tesoro, ascolta papà, adesso facciamo vedere alla mamma che possiamo mangiare come una piccola, splendida bambina cinese... Melania incominciò a piangere. - L’hai fatta piangere. - non l’ho fatta piangere. - E cosa sta facendo allora? - Melania, non c’è bisogno di piangere, sei una bambina grande, non devi piangere, prendi questa bacchetta, avanti, dammi la manina, dammi quella mano, ecco, brava, morbida, la devi tenere morbida, Melania, ci stanno guardando tutti, smettila di piangere e prendi questo cristo di bacchetta... - Non dire parolacce. - non ho detto parolacce. Melania si mise a piangere più forte. - melania, Melania ti stai per prendere una sberla, sai che papà ha pazienza ma a tutto c’è un limite, melania, prendi questa bacchetta o ci alziamo da qui e torniamo immediatamente a casa, e sai che non scherzo, avanti, prima una bacchetta e poi l’altra, forza, tra il pollice e l’indice, non l’indice, IL MEDIO, stringi adesso, così, brava, vedi che sei brava, su, adesso prendi l’altra, l’altra bacchetta tesoro, con l’altra mano, porca... la prendi con l’altra mano e la metti in questa mano, hai capito?, non è difficile, e smettila di piangere, cosa c’è da piangere?, vuoi diventare grande o no?, vuoi proprio rimanere una sciocca bambinetta di.... Allora Diesel si alzò. Era una fatica per lui, sempre, ma lo fece. Si avvicinò al tavolo della famigliola, prese con una mano le due bacchette della bambina, e stringendo la mano le sbriciolò, proprio sopra il piatto di anatra laccata del padre. Melania smise di piangere. Il ristorante era piombato in un silenzio che sapeva di fritto e di soia. Diesel parlò piano, ma potevano sentirlo anche in cucina. Si limitò a fare una domanda. - Perché fate figli? -, disse. - Perché? Il padre se ne stava immobile guardando davanti a sé senza osare voltarsi. La moglie aveva il cucchiaio a metà strada tra la bocca e la scodella. Guardava Diesel con stupefatto rimpianto: sembrava la concorrente di un quiz che conosceva la risposta ma non se la ricordava più. Diesel si chinò sulla bambina. La guardò negli occhi. - Piccola, splendida bambina cinese. Disse. - Mangia con la forchetta, o ti ammazzo. Poi si voltò e tornò al suo tavolo. - Mi passi il riso cantonese? - nondisse Poomerang. - A modo suo, fu un bel compleanno. |
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- Grazie, professore -, disse.
Grazie, pensò.
Poi uscì. Scese i sei piani di scale, attraversò il grande salone di ingresso dove vendevano i giornali e i malati in pigiama telefonavano a casa. La porta per uscire era a vetri e si apriva da sola quando ti avvicinavi. Fuori c’era il sole. Poomerang e Diesel lo stavano aspettando appoggiati a un cassonetto della spazzatura.
Se ne andarono insieme, risalendo il viale alberato che portava verso il centro. Ballavano tutti e tre il passo sbilenco di Diesel, ma con arte, e un’eleganza da professionisti.
Solo dopo un po’, quando erano ormai arrivati all’incrocio con la Settima, Poomerang si passò una mano sul cranio rapato e nondisse:
- I due capitani si consultano, poi le due squadre ricominciano a giocare. E non smettono di farlo fino alla fine dell’eternità.
Gould aveva un vecchio chewingum attaccato sul fondo della tasca, nel cappotto. Lo andò a prendere, lo staccò dalla stoffa e poi se lo mise in bocca. Era freddo e un po’ duro, come un compagno di scuola delle elementari che non vedevi da anni e un giorno lo incontri per strada.
La campagna contro l’abuso del bancomat
Va detto che, con le banche, Poomerang “aveva un conto in sospeso” (la frase era di Shatzy, lei la trovava geniale). Le detestava, anche se non era chiaro il perché. Per un certo periodo si era impegnato in una campagna educativa contro l’abuso del Bancomat. Insieme a Diesel e Gould masticava chewingum in continuazione e poi li attaccava, ancora caldi, sulla pulsantiera degli sportelli automatici. Di solito li attaccava sul pulsante del 5. La gente arrivava, poi al momento di comporre il codice segreto si accorgeva del chewingum. Se non aveva il 5 andava avanti, guardando bene dove metteva le dita. Se aveva il 5 finiva nel panico. Lo spasmodico bisogno di denaro doveva vedersela con lo schifo che faceva quella gomma masticata. Alcuni cercavano di staccare la roba appiccicaticcia con oggetti di tutti i tipi. Di solito finivano per impiastricciare l’intera tastiera. Una minoranza rinunciava e se ne andava. È triste dirlo, ma i più deglutivano forte e poi schiacciavano col dito sul chewingum. Una volta Diesel vide una signora non molto fortunata che aveva nel suo codice segreto tre 5 di fila. Schiacciò il primo con grande dignità e il secondo facendo una strana smorfia con la bocca. Al terzo si mise a vomitare.
Epilogo
- Tutto bene, Gould?
- Da dio.
- Stai buono, eh?
- A domani.
Uscì dal supermercato. Era buio e tirava un vento gelido. Ma l’aria era pulita, di vetro pulito. Si tirò su il bavero del cappotto e attraversò la strada. Diesel e Poomerang lo stavano aspettando, appoggiati a un cassonetto della spazzatura.
- Com’era la merda?
- Abbondante.