dialoghi

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I dialoghi


Questa casa fa schifo
Il questionario
A scuola di Gould
Il fast food
Cosa succede nella testa di un pazzo
La roulotte
L'acquisto della roulotte
La telefonata del rettore
Tu vai a Couverney
I geni vanno alle università
Il padre di Gould arrivò di sera tardi

Patchwork

Questa casa fa schifo

- Questa casa fa schifo, - disse Shatzy.

- Sì, disse Gould.

- È una casa che fa schifo, credimi.

Tecnicamente parlando, Gould era un genio. A stabilirlo era stata una commissione di cinque professori che l'aveva esaminato, all'età di sei anni, sottoponendolo a tre giorni di test. In base ai parametri Stocken, risultò appartenere alla fascia delta: a quei livelli l'intelligenza è una macchina ipertrofica di cui è difficile intuire i limiti. Provvisoriamente gli assegnarono un QI di 108, cifra abbastanza mostruosa. L'avevano portato via dalla scuola elementare dove per sei giorni aveva cercato di sembrare normale, e l'avevano affidato a un'équipe di ricercatori universitari. A undici anni si era laureato in fisica teorica, con un lavoro sulla soluzione del modello di Hubbard in due dimensioni

- Cosa ci fanno le scarpe nel frigo?

- Batteri.

- Sarebbe?

- Studio dei batteri. Dentro le scarpe ci sono dei vetrini. Batteri grampositivi.

- Anche il pollo con la muffa è una faccenda di batteri?

- Pollo?

La casa di Gould era su due piani. Aveva otto stanze e altre cose tipo un garage e una cantina. In salotto c'era una moquette che imitava delle piastrelle di cotto toscano ma dato che era alta quattro centimetri la cosa non le riusciva un granché bene. Nella stanza d'angolo, al primo piano, c'era un calciobalilla. Il bagno era tutto rosso, sanitari compresi. L'impressione generale era quella di una casa signorile dove l'FBI era passata a cercare un microfilm con le scopate del Presidente in un bordello del Nevada.

- Come fai a vivere qui dentro?

- Non è proprio che ci vivo.

- È casa tua, no?

- Più o meno. Io ho due stanze al college, giù all'università. C'è anche la mensa, lì.

- Un bambino non dovrebbe

vivere

in un college. Un bambino non dovrebbe nemmeno studiarci, in un posto del genere.

- Cosa dovrebbe fare, un bambino?

- Che ne so, giocare col suo cane, falsificare le firme dei genitori, avere sempre il sangue dal naso, cose così. Certo non vivere in un college.

- Falsificare cosa?

- Lascia perdere.

- Falsificare?

- Almeno una governante, ti potrebbero almeno prendere una governante, non ci ha mai pensato tuo padre?

- Io ho una governante.

- Veramente?

- In un certo senso.

- In quale senso, Gould?

- Il padre di Gould era convinto che Gould una governante ce l'avesse, e che si chiamasse Lucy. Ogni venerdì, alle sette e un quarto, le telefonava per sapere se tutto era okay. Allora Gould gli passava al telefono Poomerang. Poomerang imitava benissimo la voce di Lucy.

- Ma Poomerang non è muto?

- Appunto. Anche Lucy è muta.

- Tu hai una governante muta?

- Non esattamente. Mio padre crede che io abbia una governante, la paga ogni mese con un vaglia postale, e io gli ho detto che è molto brava ma è muta.

- E lui per sapere come vanno le cose

le telefona

?

- Si.

- Geniale.

- Funziona. Poomerang è bravissimo. Sai, non è la stessa cosa sentire uno star zitto o sentir tacere un muto. È un silenzio diverso. Mio padre non ci cascherebbe.

- Dev'essere un uomo intelligente tuo padre.

- Lavora nell'esercito.

- Già.

[...]
- Tu ce l'hai un lavoro, Shatzy?

- No, Gould.

- Vuoi fare la mia governante?


Il questionario

Dato che non poteva venire a fare i colloqui di selezione, il padre di Gould faceva compilare alle candidate un questionario che lui stesso aveva redatto e che si faceva mandare per posta, riservandosi di scegliere la nuova governante di Gould in base alle risposte ottenute. Le domande erano 37, ma era molto raro che le candidate arrivassero alla fine. In genere si fermavano intorno alla quindicesima (15. Ketchup o maionese?). Molto spesso si alzavano e se ne andavano dopo aver letto la prima (1. Può la candidata ricostruire la serie di fallimenti che l'hanno portata oggi, alla sua età, e in stato di disoccupazione, a concorrere per un posto scarsamente retribuito e non privo di incognite?). Shatzy Shell sistemò sul tavolo le foto di Eva Braun e di Walt Disney, infilò un foglio nella macchina da scrivere, e batté la cifra 22.

- Leggimi un po' la 22, Gould.

- Veramente dovresti iniziare dalla prima.

- Chi l'ha detto?

- Ha il numero 1, Si inizia sempre dal numero 1.

- Gould?

- Sì.

- Guardami bene negli occhi.

- Sì.

Tu credi veramente che quando le cose hanno un numero, e una cosa in particolare ha il numero 1, allora quel che noi dobbiamo fare, che tu devi fare, e io, e tutti, è incominciare proprio da lei, per la precisa ragione che quella è la cosa numero 1?

- No.

- Splendido.

- Quale volevi?

- La 22.

- 22. È in grado la candidata di ricordare la cosa più bella che le è occorso di fare quando era bambina?

Shatzy rimase per un attimo a scuotere la testa e a mormorare incredula "le è occorso di fare". Poi si mise a scrivere.
[...]

Shatzy si voltò verso Gould, che non aveva perso una riga.

- Com'è?

- Mio padre non è colonnello.

- No?

- Generale.

- Va be', generale. E il resto?

- Se vai avanti a questo ritmo finirai quando non avrò più bisogno di una governante.

- Questo è vero. Fammi un po' vedere...

- Gould le porse la lista delle domande. Shatzy ci diede un'occhiata, poi si fermò su una domanda del secondo foglio.

- Questa è veloce. Leggi un po'...

- 31. Può la candidata esporre per sommi capi qual è il sogno della sua vita?

- Posso. Il mio sogno è fare un western. Ho incominciato a farlo quando avevo sei anni e conto di non schiattare prima di averlo finito.

- Voilà.



A scuola di Gould


- Ti accompagno.

- Perché?

- Voglio vedere questa benedetta scuola -, disse Shatzy.

- Così uscirono, tutt'e due, si poteva andare con il pullman, oppure a piedi, Facciamo un pezzo a piedi poi magari prendiamo il pullman. Okay, ma copriti.

- Cos'hai detto?

- Non so, Gould, cos'ho detto?

- Copriti.

- Ma va'.

- Giuro.

- Te lo sei sognato.

- Hai detto copriti, come se fossi mia madre.

- Dai, andiamo.

- L'avevi detto.

- Finiscila.

- Giuro.

- E copriti.

La strada era un po' in discesa, e c'erano per terra tutte le foglie cadute dagli alberi, perciò Gould camminava strascicando i piedi, come se avesse due talpe al posto delle scarpe, talpe che scavavano tunnel tra le foglie, facendo un rumore da sigaro che si accende, ma moltiplicato per mille. Rumore giallo, e rosso.

- Mio padre fuma il sigaro.

- Davvero?

- Gli piaceresti.

- Io gli piaccio, Gould.

- Come lo sai?

- Si capisce, dalla voce.

- Veramente?

- Si capiscono un sacco di cose, dalla voce.

- Ad esempio?

- Ad esempio, se senti uno con una voce bella, ma molto bella, una bella voce da uomo, no?

- Eh.

- Allora puoi giurarci, è brutto.

- Brutto.

- Peggio che brutto, molto brutto, tutto unto, che so, è alto così, o ha le mani grassocce, che gli sudano sempre, sempre un po' umide, hai presente?

- Boh.

- Come boh?

- Non so, non mi piace stringere le mani, non ho una grande esperienza in fatto di mani.

- Non ti piace stringere le mani.

- No. È idiota.

- Ah sì?

- Gli adulti hanno sempre mani troppo grandi, non ha senso che le facciano stringere proprio a me, è idiota anche solo pensare di farlo, non può uscirne altro che un pasticcio.

- Una volta ho visto alla tivù che consegnavano i Premi Nobel. Be', uno saliva, tutto vestito elegante, e poi non faceva che stringere mani, dall’inizio alla fine.

- Quella è un'altra storia.

- Quella è una storia che mi interessa. Raccontamela, Gould.

- In che senso?

- Il Nobel.

- E allora?

- Com'è che hanno deciso di fartelo vincere?

- Non hanno deciso di farmelo vincere.

- L'hai vinto, e basta?

- Non danno il Premio Nobel ai bambini.

- Potrebbero fare un'eccezione.

- Smettila.

- Okay.

- ...

- ...

- ...

- Va be', e allora com'è andata, Gould?

- Niente, è una sciocchezza, così, credo che sia un modo di dire.

- Strano modo di dire.

- Non ti piace, eh?

- Non è che non mi piaccia.

- Non ti piace.

- Lo trovo un po' strano, ecco. Come fai a dire a un bambino che lui vincerà il Nobel, può essere intelligente e tutto quello che vuoi, ma non puoi saperlo, magari lui non è così intelligente, magari non vuole vincere il Nobel, e comunque, anche se fosse, perché dirglielo?, è meglio lasciarlo in pace, lui fa quello che deve fare e poi una mattina si sveglierà e gli diranno l'hai sentita la notizia?, hai vinto il Nobel, fine.

- Guarda che nessuno mi ha detto...

- È come dire a uno quando morirà.

- ...

- ...

- ...

- Era solo un esempio, Gould.

- ...

- E dai, Gould, era solo un esempio... Gould, guardami.

- Che c'è?

- Era solo un esempio.

- Va bene.

- Gould si fermò, e si voltò indietro. C'erano le due strisce scavate dai piedi in mezzo alle foglie, belle lunghe, fino a lontano.

Potevi immaginare che qualcuno, magari ore dopo, ci avrebbe camminato mettendo i piedi nelle due corsie, lentamente, divertendosi a tenerli sempre nelle due corsie. Gould fece un salto di fianco e si allontanò camminando piano, cercando di non lasciare tracce. Guardò indietro le due strisce che si interrompevano, di colpo. Le avventure dell'uomo invisibile, pensò.

- Il pullman, Gould. Lo prendiamo?

- Sì.

Faceva tutto il viale e poi girava nel corso dove la strada risaliva, costeggiando il parco e passando davanti all'ospedale degli animali. Era un pullman rosso. A un certo punto arrivava alla scuola.

- Ehi, è bella -, disse Shatzy.

- Sì.

- È veramente bella, non l'avrei mai detto.

- Da qui non si vede, ma continua dietro, ci sono tutti i campi sportivi e poi va avanti ancora, per un sacco di tempo.

- Bella.

Se ne stettero lì, uno di fianco all'altra, a guardare. C'erano ragazzi che entravano e uscivano, e un grande prato, prima della scalinata, con dei sentierini e un paio di alberi enormi, un po' storti.

- Sai il campo, sotto casa, dove giocano a pallone? -, disse

- Gould.

- Sì.

- Ci sono quei ragazzini, che giocano a pallone.

- Sì.

La cosa strana è che anche quando non c'è nessun pallone, in giro, loro ci giocano. Ogni tanto li vedi che tirano, nell'aria, o fanno finta di palleggiare. Magari ci danno di testa, ma non c'è nessun pallone, stanno solo corricchiando mentre aspettano che arrivi l'allenatore, o inizi la partita. Delle volte non sono nemmeno vestiti da calcio, hanno ancora la borsa in mano, e il cappotto addosso, ma intanto passano all'ala, o dribblano una sedia, cose così.

- ...

- ...

- ...

- Per me è uguale.

- ...

- La scuola, voglio dire, per me è quella cosa lì.

- ...

- Anche se non c'è nessun libro aperto, o professore, o scuola, niente, io... è la stessa cosa... non smetto mai di... non smetto mai.

- Hai capito?

- Forse.

- È una cosa che mi piace. Non smetto mai di pensarci.

- Buffo.

- Capisci?

- Sì.

- Non c'entra il Nobel, capisci?

Il bello è che neanche si guardavano, erano ancora lì, in piedi, con gli occhi a girovagare sulla scuola, il prato, gli alberi e tutto.

- Non parlavo sul serio, Gould.

- Veramente?

- Certo, dicevo così per dire, non mi devi stare ad ascoltare, sono l'ultima persona che devi ascoltare se l'argomento è la scuola. Credimi.

- Va bene.

- Non è il mio forte, la scuola, tutto qui.

- ...

- Scusa, Gould.

- Niente.

- Okay.

- Sono contento che ti piace.

- Cosa?

- Qui.

- Sì.

- È bello, qui.

- Sì. Però torna a casa, poi, okay?

- Certo che torno.

- Fa' così: torna.

- Sì.

- Okay.

Allora si guardarono. Prima no. Si guardarono un po'. Gould aveva un cappello di lana, un po' storto, che un orecchio era sotto il cappello e l'altro no. A vederlo così bisognava avere un occhio della madonna per capire che era un genio. Shatzy gli tirò giù il cappello sull'orecchio scoperto. - Ciao, - disse. Gould attraversò il cancello e iniziò a risalire il viale centrale, in mezzo al grande prato, senza mai voltarsi. Sembrava piccolissimo, in mezzo a tutta quella scuola, e Shatzy pensò che non aveva mai visto, in tutta la sua vita, qualcosa di più piccolo di quel ragazzino e la sua cartella, che risalivano il viale diventando, a ogni passo, più piccoli. Pensò che era uno scandalo permettere a un bambino di essere così solo, e che minimo minimo avrebbero dovuto mettergli alle calcagna un drappello di ussari, o qualcosa del genere, per scortarlo lungo quel viale e poi dentro, nelle aule, una ventina di ussari, anche qualcuno di più. Ma così, era tremendo.

- Così è tremendo -, disse a due ragazzotti che stavano uscendo, con i libri sotto il braccio e certe scarpe che sembravano scarpe a fumetti.

- Qualcosa che non va?

- C'è tutto che non va.

- Ah sì?

- I ragazzotti sghignazzavano.

- Lo conoscete uno che si chiama Gould?

- Gould?

- Sì, Gould.

- Il ragazzino?

- Sghignazzavano.

- Sì, il ragazzino.

- Certo che lo conosciamo.

- Cosa c'è da sghignazzare?

- Il signor Nobel, chi non lo conosce?

- Cosa c'è da sghignazzare?

- Ehi, sta' calma, sorella.

- Allora, lo conoscete o no?

- Sì che lo conosciamo.

- Siete suoi compagni?

- Chi, noi?

- Voi.

- Sghignazzavano.

- Quello non è compagno di nessuno.

- Cosa vuol dire?

- Non è compagno di nessuno, ecco cosa vuol dire.

- Non viene a scuola con voi?

- Lui ci vive, a scuola.

- E allora?

- E allora niente.

- Andrà a lezione come tutti gli altri, no?

- Ma che ti frega a te?, cosa sei, una giornalista?

- Non sono una giornalista.

- È la sua mammina.

- Sghignazzavano.

- Non sono la sua mammina. Lui ce l'ha una mamma.

- E chi è, Marie Curie?

- Fottiti.

- Ehi, sorella, prendila calma.

- Prendila calma tu.

- Tu sei fuori di testa.

- Fottiti.

- Ehi.

- Lasciala stare, è matta quella.

- Ma che cazzo vuole...

- Dai, lascia perdere...

- È matta.

- Vieni via, dai.

- Non sghignazzavano più.

- NON FARETE TANTO I FURBI QUANDO ARRIVERANNO GLI USSARI -, gli gridò dietro Shatzy.

- Ma senti quella.

- Lascia perdere, dai.

- LI APPENDONO PER LE PALLE, QUELLI COME VOI, E POI CI FANNO IL TIRO A SEGNO.

- È matta.

- Incredibile.

Shatzy tornò a voltarsi verso la scuola. - Vi appendono per le palle, - mormorò piano. Poi tirò su col naso. Faceva un freddo niente male. Guardò il grande prato, e gli alberi un po' storti. Li aveva già visti, degli alberi così, ma non si ricordava più dove. Davanti a qualche museo, forse. Faceva un freddo niente male. Tirò fuori i guanti e se li mise. Porco mondo, pensò. Guardò l'ora. C'erano ragazzi che uscivano e ragazzi che entravano. La scuola era bianca. Il prato era ingiallito. Porco mondo, pensò.

Poi si mise a correre.

Imboccò il viale e lo fece tutto di corsa, fino alla scalinata, salì due gradini per volta ed entrò nella scuola. Si fece tutto un lungo corridoio, poi salì al secondo piano, entrò in una specie di mensa, uscì dall'altra parte, ridiscese di un piano, aprì tutte le porte che trovò, finì di nuovo fuori dalla scuola, attraversò un campo sportivo e un giardino, entrò in un edificio giallo, a tre piani, salì la scala, guardò in biblioteca e nei gabinetti, entrò negli uffici, prese un ascensore, seguì una freccia che diceva FONDAZIONE GRABENHAUER, tornò indietro, infilò un corridoio dipinto di verde, aprì la prima porta, guardò dentro l'aula, vide un signore in piedi dietro alla cattedra e nei banchi nessuno, tranne un ragazzino, seduto in terza fila, con una lattina di Coca in mano

- Shatzy.

- Ciao Gould.

- Che ci fai qui?

- Niente, volevo solo sapere se andava tutto bene.

- Va tutto bene, Shatzy.

- Tutto a posto?

- Sì.

- Bene. Come si fa a uscire da qui?

- Scendi giù e poi segui le frecce.

- Le frecce.

- Sì.

- Okay.

- Ci vediamo.

- Ci vediamo.


Il fast food

- Ciao.

- Ciao -, disse Shatzy.

- Cosa prendete?

- Due cheeseburger e due succhi d’arancia.

- Patatine?

- No, grazie.

- Se prendete le patate costa uguale.

- Non importa, grazie.

- Cheeseburger, drink e patate, è la combinazione n. 3 -, disse indicando una foto alle sue spalle.

- Bella foto, ma non ci piacciono le patate.

- Potete prendere un doppio cheeseburger, combinazione n. 5, non ci sono le patate e costa uguale.

- Uguale a cosa?

- A un cheeseburger e succo d’arancia.

- Un doppio cheeseburger costa come un cheeseburger singolo?

- Sì, se scegliete la combinazione n. 5.

- Incredibile.

- Combinazione n. 5?

- No. Vogliamo un solo cheeseburger. Uno a testa. Niente doppi cheeseburger.

- Come volete. Ma buttate via dei soldi.

- Non importa, grazie.

- Due cheeseburger e due succhi d’arancia, allora.

- Perfetto.

- Dessert?

- Vuoi la torta, Gould?

- Sì.

- Allora aggiungi una torta, grazie.

- Questa settimana per ogni dessert ordinato ce n’è un altro in regalo.

- Splendido.

- Cosa prendi?

- Niente, grazie.

- Ma

devi

 prenderlo, è in regalo.

- Non mi piacciono i dessert, non li voglio.

- Ma io

devo

 dartelo.

- In che senso?

- È l’offerta della settimana.

- L’ho capito.

- Quindi

devo

 dartelo.

- Come sarebbe a dire

devi

 darmelo, io non lo voglio, non mi piace, non voglio diventare grassa come Tina Tumer, non voglio infilarmi mutande XXL, cosa devo fare, aspettare la prossima settimana per mangiare un cheeseburger e basta?

- Puoi sempre non mangiarlo. Prendere il dessert in regalo e non mangiarlo.

- E cosa lo prendo a fare?

- Puoi buttarlo.

- Buttarlo?, io non butto niente, buttalo tu, ecco, fai così, lo prendi e lo butti, okay?

- Non posso, mi licenzierebbero.

- Cristo...

- Sono molto severi, qui.

- Va bene, okay, lasciamo stare, dammi ‘sta torta.

- Sciroppo?

- Niente sciroppo.

- È gratis.

- lo so che e gratis ma non lo voglio, okay?

- Come vuoi.

- Niente sciroppo.

- Panna?

- Panna?

- C’è la panna, se vuoi.

- Io non voglio nemmeno

la torta

, come diavolo fai a pensare che voglia la panna?

- Non so.

- Lo so io: niente panna.

- Neanche per il ragazzino?

- Neanche per il ragazzino.

- Va bene. Due cheeseburger, due succhi d’arancia, una torta senza niente. Questo è per voi -, aggiunse, allungando verso Shatzy due cose avviluppate in carta trasparente.

- Cosa diavolo è?

- Chewingum, è in regalo, dentro c’è una pallina di zucchero, se la pallina è rossa vinci altri dieci chewingum, se è blu vinci una combinazione n. 6, gratis. Se la pallina è bianca, te la mangi e finisce lì. Comunque il regolamento è stampato sulla carta.

- Scusa un attimo.

- Sì?

- Scusa, eh...

- Sì.

- Mettiamo che per assurdo io prenda questo cavolo di chewingum, no?

- Sì.

- Mettiamo ancora più per assurdo che io me lo stia a masticare per un quarto d’ora e poi ci trovi dentro una pallina blu.

- Sì

- Allora dovrei portartela, tutta insalivata, e posartela qui, e tu mi daresti una grassa, fritta e caldiccia combinazione n. 6?

- Gratis.

- E secondo te, quando me la mangerei?

- Subito, credo.

- Io voglio un cheeseburger e un succo d’arancia, l’hai capito questo? Non so cosa farmene di tre pezzi di pollo fritto più una patatina media più una pannocchia imburrata più una Coca media. non so cosa diavolo farmene.

- Di solito li mangiano.

- Chi?, chi li mangia? Marlon Brando, Elvis Presley, King Kong?

- La gente.

- La gente?

- Sì, la gente.

- Senti, me lo fai un favore?

- Certo.

- Riprenditi ’sti chewingum.

- Non posso.

- Li tieni da parte per il prossimo obeso di passaggio, eh?

- Non posso, davvero.

- Cristo...

- Mi spiace.

- Ti spiace.

- Davvero.

- Dammi ’sti chewingum.

- Non sono male, sono al gusto papaia.

- Papaia?

- Il frutto esotico.

- Papaia.

- È la moda di quest’anno.

- Okay, okay.

- Basta così?

- Sì, tesoro, basta così.

Pagarono e andarono al tavolo. Appeso al soffitto c’era un monitor acceso sul canale

 FoodTV

. Faceva delle domande. Se avevi la risposta giusta la scrivevi nell’apposito spazio sulla tovaglietta di carta e la consegnavi alla cassa. Vincevi una combinazione n. 2 In quel momento la domanda era: chi segnò il primo goal nella finale dei Campionati del Mondo I966?

I. Jeoffrey Hurst

2. Bobby Charlton

3. Helmut Haller

- Tre -, mormorò Gould.

- Non provarci nemmeno -, gli sibilò Shatzy, e aprì la confezione del cheeseburger. All’interno del coperchio le apparve una pecetta rosso fiammante. Sopra c’era scritto congratulazioni!!! hai vinto un altro hamburger! E più piccolo: Porta subito questo tagliando alla cassa, riceverai un hamburger gratis e un drink a metà prezzo! C’era anche un’altra frase, scritta di sbieco, ma Shatzy non la lesse. Richiuse con calma la confezione di plastica, lasciandoci il cheeseburger dentro.

- Andiamo -, disse.

- Ma non ho ancora nemmeno iniziato... -, disse Gould.

- Iniziamo un’altra volta.

Si alzarono, lasciando tutto lì, e andarono verso la porta. Li intercettò uno vestito da clown, solo che in testa aveva il cappellino del fast food.

- Un palloncino in omaggio, signora.

- Prendi il palloncino, Gould.

- Sul palloncino c’era scritto io mangio hamburger.

- Se lo attaccate alla porta di casa potete partecipare al concorso domeniburger.

- Attaccalo alla porta, Gould.

- Ogni domenica viene estratta una casa con il palloncino esposto e un camioncino provvede a scaricargli davanti alla porta 500 cheesebaconburger.

- Ricordati di liberare il vialetto davanti alla porta, Gould.

- C’è anche un congelatore da 300 litri in offerta speciale. Per conservare i cheesebaconburger.

- Si capisce.

- Se prende quello da 500 litri le regalano anche un microonde.

- Splendido.

- Se ce l’ha già può prendere un phon professionale a quattro velocità.

- Nel caso dovessi fare lo shampoo ai cheesebaconburger?

- Prego?

- O farmi lo shampoo col ketchup.

- Scusi?

- Dicono che dia lucentezza ai capelli.

- Cosa, il ketchup?

- Sì, non hai mai provato?

- No.

- Prova. Anche la salsa bearnese non è male.

- Sul serio?

- Toglie la forfora.

- La forfora non ce l’ho, grazie a dio.

- Ti verrà sicuramente se continui a mangiare salsa bearnese.

- Ma io non la mangio mai.

- Sì, ma ti ci lavi i capelli.

- Io?

- Certo, si vede dal phon.

- Quale phon?

- Quello che hai attaccato alla porta.

- Ma io non ce l’ho attaccato alla porta.

- Pensaci bene, ce l’hai messo quando ti è volato via il microonde a quattro velocità.

- Volato via da dove?

- Dal congelatore.

- Dal congelatore?

- Domenica, non ti ricordi?

- Scherzi?

- Ho la faccia di una che scherza?

- No.

- Risposta esatta. Lei ha vinto 500 litri di palloncini, le saranno consegnati in cheeseburger, ci vediamo, ciao.

- Non capisco.

- Non importa. Ci vediamo, eh?

- Il palloncino.

- Prendi il palloncino Gould.

- Lo vuoi rosso o blu?

- Il bambino è cieco.

- Oh, scusi.

- Non importa. Succede.

- Il palloncino lo prende lei?

- No, lo prende il bambino. È cieco, mica scemo.

- Glielo do rosso o blu?

- Non ce l’ha color vomito?

- No.

- Strano.

- Solo rossi o blu.

- Vada per il rosso.

- Ecco.

- Prendi il palloncino rosso, Gould.

- Ecco, tieni.

- Ringrazia, Gould.

- Grazie.

- Prego.

- Abbiamo altro da dirci?

- Scusi?

- Pare di no. Arrivederci.

- In bocca al lupo per domenica!

- Crepi.

Uscirono dal fast food. C’era un’aria fredda e tersa, da inverno pulito.

- Pianeta di merda -, disse piano Shatzy.

Gould se ne stava lì, in mezzo al marciapiedi, fermo, con in mano un palloncino rosso. Sopra c’era scritto io mangio hamburger.

- Ho fame -, disse.


Cosa succede nella testa di un pazzo


Gould stava seduto per terra, sulla moquette alta quattro centimetri. Guardava una televisione. Quando tornò Shatzy erano le dieci passate. A lei piaceva andare a far la spesa di sera, sosteneva che la roba era stanca e così si lasciava comprare senza fare resistenza. Aprì la porta e Gould le disse ciao, senza togliere gli occhi dalla televisione. Shatzy lo guardò.

- Non aspettarti un granché, ma comunque se la accendi migliora. - Gould disse che non funzionava. Premeva tutti i tasti del telecomando ma non succedeva niente. Shatzy posò la spesa sul tavolo della cucina. Gettò uno sguardo verso il televisore spento. Era in finto legno, a meno che non fosse legno vero.

- Dove l'hai preso?

- Cosa?

- Dove l'hai preso il televisore?

Gould disse che l'aveva rubato Poomerang a un giapponese che vendeva piatti giapponesi fatti di cera. Disse che erano piatti nel senso delle cose da mangiare, tipo pollo e sedano, pesci crudi, cose così, da non crederci quanto erano perfetti, facevi fatica a capire che erano finti. Riuscivano a fare anche le minestre. Disse che non doveva essere facile fare una minestra di cera, bisognava saperci fare, non era una cosa che potevi improvvisare, così, su due piedi.

- Come sarebbe a dire

rubato

?

- Gliel'ha portato via.

- È diventato matto?

- Il giapponese gli doveva dei soldi.

Disse che Poomerang gli lavava la vetrina tutte le mattine e il giapponese aveva sempre una scusa buona per non pagare, così Poomerang gli aveva nondetto che era stufo di aspettare, aveva preso il televisore di finto legno e se l'era portato via. Disse che magari era anche legno vero, ma se stai in un negozio di roba da mangiare fatta di cera, perfettamente uguale a quella vera, finisci per aspettarti che tutto sia falso, lì dentro, non ti riesce più di fare distinzioni precise. Allora Shatzy disse che in effetti doveva essere così, e aggiunse che a lei succedeva quando leggeva i giornali. Gould premette un tasto rosso sul telecomando, ma non successe niente.

- Tu conosci qualcuno che è pazzo, Shatzy?

- Pazzo pazzo?

- Uno che i medici dicono che è pazzo.

- Un pazzo vero.

- Sì.

Shatzy disse che credeva di averne visti alcuni, sì. Non era un bel vedere, all'inizio. È che fumano tutto il tempo, e non hanno il senso del pudore. Facile che ti vengono vicino e intanto si tengono il pisello in mano, disse. Non lo fanno per cattiveria, è che gli manca il senso del pudore. Probabilmente c'entra col fatto che non hanno più niente da perdere. Il che è una grande fortuna, aggiunse. Dopo un po' comunque ti abitui e allora può essere perfino una cosa molto gradevole, anche se gradevole non è la parola giusta. Emozionante. Disse che poteva essere una cosa emozionante.

- Tu lo sai cosa succede nella testa a uno che diventa pazzo? -, chiese Gould.

Shatzy disse che dipendeva da che razza di pazzo era. - Uno qualunque, - disse Gould. - Non so, - disse Shatzy. Credo che gli si rompa qualcosa dentro, per cui hanno dei pezzi che non rispondono più agli ordini. Loro danno degli ordini ma quelli si perdono per strada, non arrivano, o arrivano molto tardi e poi non tornano più indietro, continuano a ordinare la stessa cosa, ossessivamente, e non c'è verso di annullarli. Così va tutto in malora, è una specie di anarchia organizzata, tu apri il rubinetto e si accende la luce, il telefono squilla quando accendi la radio, il frullatore parte quando vuole lui, apri la porta del bagno e ti trovi in cucina, cerchi la porta per uscire e non la trovi più. Facile che non ci sia proprio più. Sparita. Chiuso lì dentro per sempre.

Shatzy si avvicinò al televisore. Voleva toccare il finto legno.

Disse che se non puoi uscirci, da una casa così, devi pur trovare un modo di viverci. Loro lo fanno. Da fuori non ci si capisce niente, ma per loro è tutto molto logico. Disse che un pazzo era uno che per farsi lo shampoo infilava la testa nel forno.

- Ha l'aria di essere divertente -, disse Gould.

- No. Non credo che sia molto divertente.

Poi disse che secondo lei era legno vero.

Gould era seduto per terra, sulla moquette alta quattro centimetri. Continuava a guardare la televisione. Shatzy disse che a casa sua avevano un tavolo di plastica verde, ma se ti avvicinavi e guardavi bene scoprivi che era legno, il che è insensato, se ci pensi, ma allora c'era quella mania della plastica, tutto doveva essere di plastica. Allora Gould disse che sua madre era impazzita. Era successo un giorno. Adesso sta in un ospedale psichiatrico, disse. Shatzy non disse nulla, ma si chinò sul televisore dove c'era un'ammaccatura, una specie di ammaccatura, e con l'unghia tirò via un pezzo di roba dura, scura. Poi disse che doveva essergli caduto, quel televisore, non c'era da stupirsi se non funzionava. Un televisore caduto è un televisore morto, disse.

- Sono venuti a prenderla un giorno e io non l'ho mai più vista. Mio padre non vuole che io la veda così. Dice che non devo vederla così.

- Gould...

- Sì?

- Tua madre se n'è andata quattro anni fa a vivere con un professore che studia i pesci.

Gould riprovò a schiacciare qualche tasto sul telecomando ma non successe nulla. Shatzy andò in cucina e tornò con una lattina aperta di succo di pompelmo. La posò in bilico sul bordo del divano. Era un divano blu, e stava più o meno davanti al televisore. Gould si mise a grattarsi una gamba col telecomando, proprio sopra la caviglia. Se c'è una cosa capace di farti impazzire è l'elastico delle calze troppo stretto. Continuava a grattarsi con lo spigolo del telecomando. Shatzy riprese in mano la lattina, si guardò un po' attorno, poi la posò sul tavolo, di fianco al vaso di petunie. Sembrava una che fosse lì ad arredare l'appartamento. Si sentiva il rumore del frigorifero che dalla cucina fabbricava freddo, tremando come un vecchio ubriacone. Allora Gould disse che l'avevano portata via di mattino presto, così lui aveva sentito del trambusto ma aveva continuato a dormire, e quando si era svegliato suo padre era lì che camminava avanti e indietro, vestito in borghese, con la cravatta un po' allentata sul colletto aperto della camicia. Disse che una volta era andato a cercare quell'ospedale, ma non gli era riuscito di trovarlo perché nessuno ne sapeva niente, e non aveva incontrato nessuno che lo volesse aiutare. Disse che all'inizio aveva pensato di scriverle ogni giorno, ma suo padre sosteneva che lei doveva rimanere molto tranquilla ed evitare le emozioni, così lui si era chiesto se leggere una lettera poteva essere un'emozione e dopo averci pensato un po' aveva concluso che sì. Così non le aveva poi scritto. Disse che si era informato e gli avevano detto che a volte quelli che vanno in quegli ospedali poi tornano, ma non aveva mai osato chiedere a suo padre se lei sarebbe tornata. Suo padre non amava parlare di quella storia, e anzi adesso che erano passati degli anni proprio non ne parlava più, solo qualche volta diceva che la mamma stava bene, ma non aggiungeva altro. Disse che è strano ma se doveva ricordarsi di sua madre la ricordava sempre che rideva, gli venivano in mente delle specie di foto e lei era sempre lì che rideva, e questo nonostante il fatto che per quanto lui potesse ricordare non si poteva dire che lei ridesse spesso, ma questo era quello che gli succedeva, che se pensava a lei, pensava a lei che rideva. Disse anche che nell'armadio della camera da letto c'erano ancora tutti i suoi vestiti, e che lei sapeva imitare le voci dei cantanti, cantava con la voce di Marilyn Monroe che sembrava sputata lei.

- Marilyn Monroe?

- Sì.

- Marilyn Monroe.

- Sì.

- Marilyn Monroe.

Shatzy si mise a ripetere piano Marilyn Monroe, Marilyn Monroe, Marilyn Monroe, non la finiva più di ripeterlo, e a un certo punto prese la lattina in mano, di nuovo, e la svuotò nel vaso di petunie, Marilyn Monroe, Marilyn Monroe, fino all'ultima goccia, poi la posò di nuovo sul tavolino, e disse Marilyn Monroe ancora un sacco di volte andando in cucina, tornando indietro, cercando le chiavi, chiudendo la porta di casa, e poi andando verso la scala. Si tolse le scarpe. E un fermaglio con cui si teneva su i capelli. Il fermaglio se lo mise in tasca. Le scarpe le lasciò lì.

- Io vado a dormire, Gould.

...

- Scusami.

...

- Scusami, ma devo andare a dormire.

Gould rimase seduto, a guardare la televisione.

Pensò che doveva dire a Poomerang di riportarla indietro.

Il giapponese aveva una bella radio, un modello vecchio, poteva prendere quella. Aveva tutti i nomi di città, sul vetro davanti, e se giravi la manopola potevi spostare una piccola asta arancione, e viaggiare da tutte le parti del mondo.

Pensò che certe cose, con una televisione, non le potevi fare.

Poi non pensò più niente.


La roulotte


Andava tutto vagamente storto, quella sera, pensò. Poi si tirò su la cerniera, spense la luce e andò a dormire.

Passò del tempo.

Pezzi di notte.

A un certo punto si svegliò. C'era Shatzy seduta per terra, di fianco al suo letto. Aveva la camicia da notte con sopra una felpa rossa. Stava masticando il sedere di una biro blu.

- Ciao Shatzy.

- Ciao.

La porta era semiaperta, e veniva della luce, dal corridoio

Gould richiuse gli occhi.

- Mi è venuta in mente una cosa -, disse Shatzy.

- ...

- Mi senti?

- Sì.

- Mi è venuta in mente una cosa.

Se ne rimase un po' zitta. Forse cercava le parole. Mordicchiava la biro, si sentiva il rumore della plastica, e un rumore come di cannuccia. Poi si rimise a parlare.

- Ho pensato questa cosa. Sai le roulotte?, quelle che si attaccano alle macchine, le roulotte, hai presente?

- Sì.

- Mi hanno sempre messo una tristezza bestiale, non so perché, ma quando le sorpassi in autostrada ti viene una tristezza bestiale, vanno sempre lentissime, con il padre nella macchina che guarda fisso davanti, e tutti che lo sorpassano, e lui con la sua roulotte attaccata, e la macchina un po' bassa dietro, chinata, come una specie di vecchietta con un sacco della spesa enorme, che cammina chinata, così piano che tutti la sorpassano. È una cosa tristissima. Però, anche, è una cosa che non riesci a non guardare, voglio dire, mentre sei lì che la sorpassi, ci getti sempre un'occhiata, la devi guardare, anche se lo sai che è solo una tristezza, giurato che ti volti a guardarla, tutte le volte. E se ci pensi bene, la verità è che c'è qualcosa che ti attrae in quella roba lì, nella roulotte, se scavi e scavi, sotto tutti quegli strati di mestizia, alla fine arrivi a intuire che c'è qualcosa, là in fondo, che ti attira, qualcosa che si è andato a nascondere fin laggiù, un po' come se avesse voluto diventare più prezioso, in quel modo, qualcosa che solo a scoprirlo ti piacerebbe, ma ti piacerebbe sul serio. Capisci?

- Più o meno.

- È anni che ci sto dietro, a questa storia.

Gould si tirò un po' su le coperte, faceva una specie di freddo.

Shatzy si avviluppò i piedi nudi in un maglione.

- Sai cosa? È un po' come con le ostriche. Mi piacerebbe un sacco mangiarle, è bellissimo vederle mangiare, ma mi han sempre fatto schifo, non c'è mai stato niente da fare, mi ricordano il catarro, hai presente?

- Sì.

- Come fai a mangiarle se ti ricordano il catarro?

- Non puoi.

- Appunto, non puoi. La roulotte, è la stessa cosa.

- Ti ricorda il catarro?

- Che c'entra, non mi ricorda il catarro, ma mi fa tristezza, capisci?, non sono mai riuscita a trovare una ragione, uno schifo ragione per pensare di come sarebbe bello avere una roulotte.

- Già.

- Per anni ci ho pensato e non ho mai trovato uno straccio ragione buona.

- Silenzio.

- Silenzio.

- Sai una cosa, Gould?

- No.

- Ieri l'ho trovata.

- Una ragione buona?

- Ho trovato una ragione. Buona.

- Gould aprì gli occhi.

- Veramente?

- Sì.

Shatzy si girò verso Gould, appoggiò i gomiti sul letto e si chinò su di lui fino a guardarlo negli occhi, proprio da vicino. Poi disse:

- Diesel.

- Diesel?

- Già. Diesel.

- Sarebbe?

- Sai quella storia che mi hai detto tu? Quella storia che lui vorrebbe vedere il mondo ma non lo fanno salire sui treni, sugli autobus, non lo fanno salire, e in macchina non ci sta, quella storia lì. Me l'hai detta tu.

- Sì.

- Una roulotte, Gould. Una roulotte.

- Gould si tirò un po' su, sul letto.

- Cosa vuoi dire, Shatzy?

- Voglio dire che ce ne andiamo a vedere il mondo, Gould.

- Gould sorrise.

- Tu sei matta.

- No. Io no, Gould.

Gould tornò a infilarsi un po' giù, sotto le coperte. Se ne stette un po' lì a pensare, in silenzio.

- Credi che ci starebbe, Diesel, nella roulotte?

- Garantito. Se ne sta seduto là dietro, se vuole si sdraia, e noi lo portiamo in giro. Avrebbe la sua casa, e sarebbe dove vuole.

- Gli piacerebbe.

- Certo che gli piacerebbe.

- È un'idea che gli piacerebbe.

Faceva una specie di freddo. C'era la luce che veniva dalla porta, e nient'altro. Ogni tanto passava una macchina, giù in strada. Se volevi la potevi sentire: chiederti dove andava, a quell'ora, e ricamarci su un sacco di storie. Shatzy guardò Gould.

- Avremmo la nostra casa, e saremmo dove vogliamo.

Gould chiuse gli occhi. Pensava a una roulotte che aveva visto in un cartone animato, andava come una matta su una strada tutta a strapiombo sul nulla, andava come una pazza sbandando da tutte le parti, sembrava sempre che stesse per cadere, ma non cadeva mai, e intanto, dentro, tutti stavano a mangiare, ed erano a casa loro, la roulotte era piccola ma li teneva come una mano che tenesse un animaletto, senza schiacciarlo, e se lo portasse in giro.

Si erano anche dimenticati di lasciare uno a guidare la macchina, così se ne stavano tutti lì a mangiare, e avevano addosso qualcosa come una felicità, ma era qualcosa di più, come una splendida idiota felicità. Riaprì gli occhi.

- Chi guida?

- Io.

- E chi la compra la roulotte?

- Io.

- Tu?

- Io, certo. Ho dei soldi, io.

- Molti?

- Dei soldi.

- Costerà cara una roulotte.

- Vuoi scherzare? Dovrebbero pagarti, per comprare una roulotte.

- Non credo che loro la pensino così.

- Be', dovrebbero farlo.

- Non lo faranno.

- E allora pagheremo.

- Anch'io ho dei soldi.

- Vedi? Non è un problema.

- Ne avranno una che costa poco, no?, in mezzo alle altre.

- Certo che ce l'avranno. Vuoi che in tutto questo dannato paese non ci sia una roulotte che costa esattamente i soldi che noi abbiamo in tasca?

- Sarebbe idiota.

- Sarebbe da non crederci.

- Veramente.

Avevano tutt'e due, negli occhi, strade, e strade, e strade.

- Ce ne andiamo a vedere il mondo, Gould. Basta con queste pippe.

Lo disse con una voce allegra, e poi si alzò. Le si era ingarbugliato il maglione tra i piedi. Se ne liberò in qualche modo e rimase lì, in piedi, accanto al letto. Gould la guardava. Allora quel che lei fece fu chinarsi su di lui, avvicinarsi piano, posare le labbra sulle sue, poi staccarsi appena, e rimanere lì a guardarlo da così vicino. Lui tirò fuori una mano da sotto le coperte, la mise nei capelli di Shatzy, si alzò un po', la baciò sull'angolo della bocca e poi proprio sulle labbra, prima piano, e poi premendo forte, con gli occhi chiusi.

L'acquisto della roulotte


 [...]

Gould aveva ritagliato l’annuncio e l’aveva appeso in mezzo agli altri, sul frigorifero. Era Shatzy, poi, che sceglieva. Prediligeva i cattolici e gli intellettuali: di solito si vergognavano di parlare di denaro. Il prof. Bandini era un intellettuale cattolico.
Così un giorno, mentre stava facendo lezione davanti a un centinaio di studenti, nell’aula ii, vide aprirsi la porta ed entrare quella ragazza.
- È lei il prof. Michael Bandini?
- Sì, perché?
Shatzy sventolò il ritaglio del giornale.
- È lei che vende una roulotte usata, modello Pagode, del ’7I, discrete condizioni, prezzo trattabile, no permuta?
- Senza capire bene perché, il prof. Bandini si vergognò come se gli stessero riportando un ombrello dimenticato in un cinema porno.
- Sì, sono io.
- Si può vedere?, la roulotte, dico, si può vedere?
- Sto facendo lezione, signorina.
Shatzy sembrò accorgersi solo in quel momento degli studenti che riempivano l’aula.
- Oh.
- Le spiace tornare più tardi?
- Certo, mi scusi, posso aspettare un po’, magari mi siedo qua, le spiace?, capace che imparo anche qualcosa di buono.
- Prego.
- Grazie.
Il prof. Bandini pensò che il mondo era pieno di pazzi. Poi continuò da dove aveva interrotto.
[...]

Shatzy si avvicinò alla cattedra. Gli studenti se ne stavano uscendo e il prof. Bandini era in piedi, che sistemava le sue cose nella cartella.
- Niente male la sua lezione.
- Grazie.
- Dico sul serio. C’era un sacco di roba interessante.
- La ringrazio.
- Sa cosa mi ha fatto venire in mente?
- No.
- Ecco, ho pensato, guarda te, quel professore ha maledettamente ragione, voglio dire, le cose vanno proprio così, gli uomini hanno delle case, ma in realtà sono delle verande, non so se mi spiego, hanno delle case, però loro sono...
- Come ha detto?
- Quando?
- Adesso, quella storia delle case.
- Non so, cosa ho detto?
- Ha detto quella frase.
[...]

- Shatzy si voltò e ridiscese il sentierino di pietra. Poco prima di arrivare davanti al garage, si richiuse il bottone, quello sulle tette. Quando si fermò davanti a Gould aveva una faccia molto seria.

- La moglie lo ha lasciato per una. Una donna.

- Splendido.

- Potevi dirmelo.

- Non lo sapevo.

- Non è un tuo professore?

- Non insegna mica storia del suo matrimonio.

- No?

- No.

- Ah.

- Si voltò. Il professore era ancora là. La salutò con la mano. Lei gli rispose.

- È un brav'uomo.

- Già.

- Non si meritava una roulotte gialla. Alle volte la gente si punisce per cose che nemmeno conosce, così, per il gusto di punirsi... decide di punirsi...

- Shatzy...

- Sì?

- VUOI PER FAVORE DIRE SE GLIEL'HAI SCUCITA 'STA CAVOLO DI ROULOTTE O NO?

- Gould?

- Sì.

- Non urlare.

- Okay.

- Vuoi sapere se sono riuscita a comprare una roulotte

Pagode

 del '71 color giallo pagandola una miseria?

- Sì.

PORCO DI UN MONDO BASTARDO VIGLIACCO, CERTO CHE SI'!

Gridò così forte che le si aprì il bottone sulle tette. Gould, Diesel e Poomerang rimasero esterrefatti, con gli occhi che sembravano uova in gelatina. Non per il bottone, per la roulotte.

Non gli era mai passato per la testa che sarebbe successo veramente. Guardavano Shatzy come se fosse la reincarnazione di Mami Jane, tornata a tagliare le palle a Franz Forte, direttore finanziario della CRB. Porco di un mondo bastardo vigliacco, ce l'aveva fatta.

 

Due giorni dopo un carro attrezzi portò la roulotte a casa di Gould. La sistemarono nel giardino. La lavarono per bene, anche le ruote, i vetri e tutto. Era molto gialla. Sembrava una casa giocattolo, qualcosa fatta apposta per i bambini. I vicini ci passavano davanti e si fermavano, a guardarla. Una volta uno disse a Shatzy che non ci sarebbe stata male una veranda, sul davanti, una veranda di plastica, come quelle che vendevano al supermercato. Ce n'erano anche di gialle.

Niente veranda, disse Shatzy.


La telefonata del rettore

- L'hai sentito l'ubriaco, stanotte? - disse Gould la mattina dopo, mentre facevano colazione.

- No, dormivo.

Poi suonò il telefono. Andò Shatzy, e ci mise un bel po' prima di tornare. Disse che era il rettore Bolder. Voleva sapere se Gould stava bene. Gould chiese se era ancora in linea.

- No. Ha detto che non voleva disturbarti, voleva solo sapere se stavi bene. Poi ha detto qualcosa su un seminario, o qualcosa del genere. Un seminario sulle particole?

- Sulle particelle.

- Dice che hanno dovuto rimandarlo.

Gould disse qualcosa che non si capì bene. Shatzy si alzò e andò a metter la tazza di latte nel microonde.

- È uno grasso il rettore Bolder?, voglio dire, è un signore grasso, o cosa? -, chiese Shatzy.

- Perché?

- Ha la voce grassa.

- Gould chiuse la scatola dei biscotti poi guardò Shatzy.

- Cos'ha detto esattamente?

- Dice che sono ventidue giorni che non ti vedono, all'università, e così voleva sapere se stavi bene. E poi ha detto quella cosa del seminario.

- Volevi altri biscotti?

- No, grazie.

- Se arrivi a duecento scatole vinci un viaggio a Miami.

- Splendido.

- E ci ha messo tutto quel tempo solo per dirti quelle due cose?

- Be', poi gli ho suggerito qualche trucco per dimagrire, la gente di solito non sa che bastano un paio di trucchi per risparmiarsi un sacco di chili, si tratta solo di mangiare con un po' di intelligenza. Gliel'ho detto.

- E lui cos'ha detto?

- Non so. Sembrava un po' a disagio. Diceva delle frasi senza senso.

- È molto magro. Avrà una settantina d'anni, ed è molto magro.

- Ah.

- Shatzy iniziò a sparecchiare. Gould andò di sopra, poi ricomparve con il giubbotto addosso. Cercava le scarpe.

- Gould...

- Sì?

- Mi chiedevo... immagina un ragazzino che è un genio, no?, e che da quando è nato va all'università ogni santo giorno che dio manda in terra, no?, be' a un certo punto succede che per ventidue giorni di seguito esce di casa ma non va alla sua benedetta università, non ci va neanche una volta, mai, allora mi chiedevo, hai idea di dove potrà mai andare un ragazzino così, tutti i santi giorni?

- In giro.

- In giro?

- In giro.

- È possibile. Sì, è possibile. Facile che se ne vada in giro.

- Ciao Shatzy.

- Ciao.

Quella mattina finì alla scuola Renemport

Tu vai a Couverney

Shatzy era seduta sul gradino più alto della scala. Gli dava la schiena e non si voltò neppure quando iniziò a parlare. Non si voltò nemmeno una volta, fino alla fine.

- Okay Gould, facciamola breve così nessuno si annoia, tu vai a Couverney, io non lo sapevo, adesso lo so, e non importa come ho fatto a saperlo, comunque me l'ha detto il professor Kilroy, lui sì che in un certo senso è una brava persona, chiacchiera giusto un po' troppo, gli piace chiacchierare, ma non devi avercela con lui, tanto prima o poi sarei venuta a saperlo lo stesso, magari mi avresti mandato un telegramma, o qualcosa del genere, sono sicura che ti sarebbe venuto in mente, diciamo a Natale, o dopo un numero ragionevole di settimane, so che mi avresti avvertita, giusto il tempo di ambientarti, si capisce, non deve essere facile arrivare come paracadutato in una zona di guerra presidiata da cervelli nevrotici e potenzialmente impotenti, circondato da compagni che pagano per studiare dove tu sei pagato per studiare, per quanto uno cerchi di rendersi piacevole è prevedibile una certa riluttanza a trovare intorno grandi sorrisi e pacche sulle spalle, bisognerà tra l'altro spiegare anche questa roba che tu non giochi nella squadra di pallone, non vai al coro, non vai al ballo di fine anno, non vai in chiesa, sei agghiacciato da qualsiasi cosa che sia o sembri un'associazione o un club o qualsiasi cosa che preveda delle riunioni, e inoltre non ti interessa fumare, non fai collezioni di nessun tipo, non ti frega niente di baciare una ragazza, non ti piacciono le automobili, finiranno per chiederti cosa cazzo fai nel tuo tempo libero, al che non sarà facile spiegargli che vai in giro con un gigante e un muto ad attaccare chewingum sui Bancomat, voglio dire non sarà facile che se la bevano, puoi sempre provare a dirgli che vai a vedere le partite di pallone perché il muto ha perso un'azione vista anni fa e deve ritrovarla, questa è vagamente più ragionevole, potrebbero anche fartela passare, io sarei comunque per tenersi sulle generali, un'ottima risposta potrebbe essere Io non ho tempo libero, fa un po' genio odioso, ma tanto è quello che sempre vorranno pensare di te, che sei un genio odioso, potresti essere Oliver Hardy e penserebbero comunque di te che sei odioso, loro hanno bisogno di pensarlo, li tranquillizza, e presuntuoso, soprattutto questo, tu per loro sarai sempre presuntuoso, anche se andassi in giro a dire Scusatemi, tutto il tempo, scusatemi scusatemi scusatemi, per loro sarai sempre presuntuoso, è il loro modo di far tornare le cose, i mediocri non sanno di essere mediocri, questo è il fatto, proprio in quanto mediocri gli manca la fantasia per immaginare che qualcuno possa essere meglio di loro, e dunque chi di fatto lo è deve averci qualcosa che non va, deve aver barato da qualche parte, o in definitiva deve essere un matto che si immagina di essere migliore di loro, e cioè un presuntuoso, come certamente ti faranno capire molto presto e con sistemi neanche troppo piacevoli, perfino con crudeltà, alle volte, questo è tipico dei mediocri, essere crudeli, la crudeltà è la virtù per eccellenza dei mediocri, hanno bisogno di esercitare la crudeltà, esercizio per cui non è necessaria la minima intelligenza, cosa che li facilita, ovviamente, che gli rende agevole l'operazione, li fa eccellere, per così dire, in quella operazione che è l'essere crudeli, ogni volta che possono, e quindi spesso, più spesso di quanto tu ti possa aspettare, tanto che ti sorprenderanno, questo è inevitabile, la loro crudeltà ti prenderà alle spalle, facilmente accadrà proprio così, che ti prenderà alle spalle e allora non sarà affatto facile, è meglio che tu lo sappia fin da adesso, se ancora non l'hai capito, ti prenderanno alle spalle, io non sono mai propriamente sopravvissuta a niente che mi abbia preso alle spalle, e so che non c'è modo, in definitiva, di difenderti da ciò che ti colpisce alle spalle, è una cosa contro cui non c'è niente da fare, solo continuare per la propria strada, cercando di non cadere, di non fermarsi, tanto nessuno è così idiota da pensare che si possa arrivare, veramente, da qualche parte in un modo diverso che vacillando, e collezionando ferite da tutte le parti, e in particolare alle spalle, sarà così anche per te, e soprattutto per te, volendo, visto che non vuoi toglierti dalla testa questa curiosa idea, questa idea del cazzo, di camminare davanti agli altri, per una strada, oltretutto, che io non voglio dire ma, la scuola e tutto quanto, il Nobel, quella faccenda lì, non puoi pretendere che io veramente la capisca, fosse per me ti legherei alla tazza del cesso fino a quando non ti passa, ma d'altra parte non sono la persona più adatta a capire, non ce l'ho mai avuta questa cosa di camminare davanti agli altri, non so, e poi con la scuola è stato un fallimento, proprio sempre, senza scampo, quindi è naturale che io non ci capisca niente, anche se mi sforzo, mi viene solo in mente quella storia dei fiumi, se proprio voglio trovare qualcosa che mi faccia digerire tutta questa faccenda, finisco per pensare ai fiumi, e al fatto che si son messi lì a studiarli perché giustamente non gli tornava 'sta storia che un fiume, dovendo arrivare al mare, ci metta tutto quel tempo, cioè scelga, deliberatamente, di fare un sacco di curve, invece di puntare diritto allo scopo, devi ammettere che c'è qualcosa di assurdo, ed è esattamente quello che pensarono anche loro, c'è qualcosa di assurdo in tutte quelle curve, e così si sono messi a studiare la faccenda e quello che hanno scoperto alla fine, c'è da non crederci, è che qualsiasi fiume, non importa dove sia o quanto sia lungo, qualsiasi fiume, proprio qualsiasi fiume, prima di arrivare al mare fa esattamente una strada tre volte più lunga di quella che farebbe se andasse diritto, sbalorditivo, se ci pensi, ci mette tre volte tanto quello che sarebbe necessario, e tutto a furia di curve, appunto, solo con questo stratagemma delle curve, e non questo fiume o quello, ma tutti i fiumi, come se fosse una cosa obbligatoria, una specie di regola uguale per tutti, che è una cosa da non credere, veramente, pazzesca, ma è quello che hanno scoperto con scientifica sicurezza a forza di studiare i fiumi, tutti i fiumi, hanno scoperto che non sono matti, è la loro natura di fiumi che li obbliga a quel girovagare continuo, e perfino esatto, tanto che tutti, dico tutti, alla fine, navigano per una strada tre volte più lunga del necessario, anzi, per essere esatti, tre volte virgola quattordici, giuro, il famoso pi greco, non ci volevo credere, in effetti, ma pare che sia proprio così, devi prendere la loro distanza dal mare, moltiplicarla per pi greco e hai la lunghezza della strada che effettivamente fanno, il che, ho pensato, è una gran figata, perché, ho pensato, c'è una regola per loro vuoi che non ci sia per noi, voglio dire, il meno che ti puoi aspettare è che anche per noi sia più o meno lo stesso, e che tutto questo sbandare da una parte e dall'altra, come se fossimo matti, o peggio smarriti, in realtà è il nostro modo di andare diritti, modo scientificamente esatto, e per così dire già preordinato, benché indubbiamente simile a una sequenza disordinata di errori, o ripensamenti, ma solo in apparenza perché in realtà è semplicemente il nostro modo di andare dove dobbiamo andare, il modo che è specificatamente nostro, la nostra natura, per così dire, cosa volevo dire?, quella storia dei fiumi, sì, è una storia che se ci pensi è rassicurante, io la trovo molto rassicurante, che ci sia una regola oggettiva dietro a tutte le nostre stupidate, è una cosa rassicurante, tanto che ho deciso di crederci, e allora, ecco, quel che volevo dire è che mi fa male vederti navigare curve da schifo come quella di Couverney, ma dovessi anche andare ogni volta a guardare un fiume, ogni volta, per ricordarmelo, io sempre penserò che è giusto così, e che fai bene ad andare, per quanto solo a dirlo mi venga da spaccarti la testa, ma voglio che tu vada, e sono felice che tu vada, sei un fiume forte, non ti perderai, non importa se io da quella parte non ci sarei andata neanche morta, è solo che siamo fiumi diversi, evidentemente, io devo essere un fiume di un altro modello, anzi se ci penso mi sa che più che un fiume, voglio dire, facile che io sia un lago, non so se capisci, forse alcuni sono fiumi e altri laghi, io sono un lago, non so, qualcosa di simile a un lago, una volta ho fatto il bagno in un lago, era molto strano perché vedi che vai avanti, voglio dire, è tutto così piatto che quando nuoti ti accorgi che vai avanti, è una sensazione strana, e poi c'erano un sacco di insetti e se mettevi i piedi giù, vicino a riva, dove toccavi, se mettevi i piedi giù faceva uno schifo bestiale, come della sabbia unta, da sopra non l'avresti mai detto, ma una specie di sabbia unta, del petrolio, una cosa così, abbastanza schifosa davvero, comunque volevo solo dire due cose, la prima è che se si azzardano a farti del male io vengo lì e li stendo a un filo dell'alta tensione, ce li appendo per le palle, esattamente per le palle, e la seconda è che mi mancherai, cioè, mi mancherà la tua forza, non importa se non lo capisci, adesso, magari poi lo capirai, mi mancherà la tua forza, Gould, piccolo ragazzino strano, la tua forza, porca puttana di quella eva.

Pausa.

- Sai che diavolo di ora è?

- Non so. È buio.

- Vai a dormire, Gould. È tardi, vai a dormire.

I geni vanno alle università

- Qualcosa che non va, professore?

- Mi stavo chiedendo...

- Dica professore.

- Di preciso, cosa sto lavando?

- Una roulotte.

- Voglio dire: di preciso, qual è il ruolo di questo oggetto giallo nel vostro ecosistema?

- Per adesso la funzione di questo oggetto giallo nel nostro ecosistema è di aspettare una macchina.

- Una macchina?

- Le roulotte non vanno da nessuna parte senza una macchina.

- Questo è vero.

- Lei ha una macchina, professore?

- L’avevo.

- Peccato.

- Per essere precisi, l’aveva mio fratello.

- Capita.

- Di avere un fratello?

- Anche.

- In effetti a me è capitato tre volte. A lei?

- No, non mi è mai capitato.

- Mi spiace.

- Perché?

- Mi passa la spugna, per favore?

Parlavano. Gli piaceva.

Una volta Gould, Diesel e Poomerang mollarono lì a un certo punto perché avevano una partita da vedere, giù al campo.

Rimasero il prof. Mondrian Kilroy e Shatzy. Lavarono tutto per bene e poi si sedettero sugli scalini dell’ingresso, a guardare la roulotte gialla.

Si dissero delle cose.

A un certo punto il prof. Mondrian Kilroy disse che era strano ma quel ragazzino gli sarebbe maledettamente mancato. Intendeva dire che Gould gli sarebbe maledettamente mancato. Allora Shatzy disse che se voleva potevano portare anche lui via con loro, la roulotte era piccola ma un sistema l’avrebbero trovato. Il prof. Mondrian Kilroy si voltò a guardarla e poi chiese se avevano veramente intenzione di andare fino a Couverney con la roulotte, e di andarci tutti quanti. Al che Shatzy disse

- Couverney?

- Couverney.

- Cosa c’entra Couverney?

- Come cosa c’entra?

- Di cosa stiamo parlando, professore?

- Di Gould.

- E allora che c’entra Couverney?

- È l’università di Gould, no? La nuova università di Gould. Un posto agghiacciante, per inciso.

- Gli hanno chiesto di andare a couverney, gliel’hanno solo chiesto.

- Gliel’hanno chiesto e lui ci va.

- Che io sappia, non lo sa.

- Che io sappia, lo sa benissimo.

- E da quando?

- Me l’ha detto lui. Ha deciso di andarci. Inizia a settembre.

- Quando gliel’ha detto?

Il prof. Mondrian Kilroy se ne stette un po’ a pensare.

- Non lo so. Qualche settimana fa, credo. Non so mai bene quando succedono le cose. A lei non capita mai?

- ...

- Signorina...

- ...

- Lei sa sempre quando succedono le cose?

- ...

- Così, glielo chiedo per curiosità.

- Gould le ha detto veramente che va a Couverney, professore?

- Sì, di questo sono sicuro, l’ha detto anche al rettore Bolder, sa lui vorrebbe fare una festa d’addio, o qualcosa del genere, e Gould preferirebbe evitare, dice che sarebbe...

- Come cazzo sarebbe a dire una festa d’addio?

- È solo un’idea, un’idea del rettore Bolder, lui è un uomo apparentemente duro e inflessibile, ma dentro nasconde un animo sensibile, vorrei quasi dire...

- Ma vi siete tutti bevuti il cervello?

- ... vorrei quasi dire...

- Cristo, quel ragazzino ha quindici anni, professore, Couverney è un posto da grandi, uno non è grande quando ha quindici anni, lo è quando ha vent’anni, se uno ha vent’anni è grande e allora eventualmente, se proprio vuole buttare nel cesso la sua vita, può prendere in esame la curiosa eventualità di andarsi a seppellire in un covo di...

- Signorina, desidero ricordarle che quel ragazzino è un genio, non è un...

- Ma chi cazzo l’ha detto?, si può sapere chi l’ha detto?, potrei sapere com’è che avete tutti deciso di punto in bianco che un ragazzino come quello è un genio, un ragazzino che non ha mai visto nient’altro che le vostre maledette aule e la strada per arrivarci, un genio che si piscia addosso quando dorme, e si spaventa se per strada gli chiedono che ora è, e non vede sua madre da anni e suo padre lo sente il venerdì sera al telefono, e non riuscirà mai ad avvicinarsi a una ragazza nemmeno a pregarlo in arabo, che punteggio dà tutto questo? Immagino che dia un punteggio bestiale nell’apposita classifica dei geni, peccato che non balbetti, questo lo renderebbe pressoché irraggiungibile...

- Signorina, non è il caso di...

- Certo che è il caso, se tutti i professori come lei si ostinano a tenere il cervello nella salamoia del loro...

- ... non è affatto il caso di...

- ... del loro amor proprio, convinti di aver trovato la gallina dalle uova d’oro e quindi completamente...

- ... signorina la invito a....

- ...completamente instupiditi da questa storia del Nobel, perché parliamoci chiaro, è lì che volete andare a parare, lei e...

- vuole chiudere quella sua boccaccia di merda?

- Prego?

- Le ho chiesto se vuole per caso chiudere quella sua boccaccia di merda.

- Sì.

- Grazie.

- Prego.

- ...

- ...

    - ...

    - …

- Signorina, è una circostanza sfortunata, ne convengo, ma quel ragazzino è un genio. Mi creda.

- ...

- Desidero aggiungere un’altra cosa. Gli uccelli volano. I geni vanno alle università. Per quanto possa sembrare banale, è così. Ho finito.

Mesi dopo, il giorno prima di partire, Shatzy passò a salutare il professor Mondrian Kilroy. Gould se n’era già andato da un po’. il professore girava in pantofole e continuava a vomitare. Si vedeva che gli spiaceva veder tutti partire, ma non era il tipo da far pesare le cose. Aveva una formidabile capacità di ammettere la necessità degli avvenimenti, quando accadeva loro di avvenire. Disse a Shatzy un mucchio di sciocchezze, e alcune facevano anche ridere. Poi alla fine andò a prendere qualcosa in un cassetto, e lo diede a Shatzy. Era il dépliant con i prezzi della “sala contact”. Sul retro c’era il Saggio sull’onestà intellettuale.

- Mi piacerebbe che lo tenesse lei, signorina.

C’erano le sei tesi, una scritta sotto l’altra, in stampatello, un po’ di sbieco, ma con ordine. Sotto l’ultima, c’era una nota, scritta con un’altra biro, e in corsivo. Non aveva un numero, prima, niente. Diceva così:

 

Un’altra vita, saremo onesti. Saremo capaci di tacere.

 

Era il passaggio che faceva letteralmente sbiellare Poomerang.

Era la cosa che lo faceva impazzire. Non la smetteva mai di ripeterla. La nondiceva a tutti, come se fosse il suo nome.

Shatzy prese il dépliant. Lo piegò in due e se lo infilò in tasca.

Poi abbracciò il professore e tutt’e due fecero un po’ di quei gesti che messi insieme prendono il nome, esatto, di addio. Un addio.

Per anni, poi, Shatzy si portò dietro quel foglio giallo, piegato in quattro, se lo portava sempre dietro, nella borsa, quella con su scritto Salva il pianeta terra dalle unghie dei piedi laccate. Ogni tanto si rileggeva le sei tesi, e anche la postilla, e sentiva la voce del prof. Mondrian Kilroy che spiegava e si commuoveva, e chiedeva altra pizza. Ogni tanto le veniva voglia di far leggere quella roba a qualcuno, ma in verità non incontrò mai nessuno che fosse ancora così ingenuo da poterci capire qualcosa. Alle volte erano anche intelligenti, e tutto, gente in gamba. Ma si vedeva che era troppo tardi per riportarli indietro, per chiedergli di tornare, anche solo un attimo, a casa.

Alla fine il dépliant giallo e tutto il Saggio sull’onestà intellettuale finì per perderlo, una volta che le si rovesciò la borsa a casa di un medico, di mattino presto, mentre cercava di svignarsela e non trovava più le autoreggenti nere. Fece un sacco di casino e mentre rimetteva la roba dentro la borsa lui si svegliò così lei dovette dire qualche frase idiota, e si distrasse, e andò come doveva andare, il dépliant giallo rimase lì.

Fu un peccato. Davvero.

Sull’altra facciata, dove c’era stampato il tariffario della “sala contact”, c’era tutta una lista di servizi, e l’ultimo, quello più caro, si chiamava “Crossing contact”.

Rimase una delle cose che Shatzy non capì mai: cosa diavolo poteva essere un “Crossing contact”.

Il padre di Gould arrivò di sera tardi

Il padre di Gould arrivò di sera tardi, quando era già buio. Si guardò un po' intorno.

- Tutto cambiato, qui.

Non era in divisa. Aveva qualcosa, in faccia, da ragazzino. Tipo il sorriso. E aveva delle scarpe allacciate, marroni, abbastanza eleganti. Era difficile immaginare che ci si potesse fare una guerra, con scarpe del genere. Sembravano più adatte a farci una pace, qualcosa come una noiosa, rassicurante pace.

Shatzy guardò fuori dalla finestra perché si aspettava soldati, guardie del corpo, o cose del genere. Ma non c'era nessuno.

Pensò che era strano. Non se l'era mai immaginato solo, quell'uomo. E adesso era lì. Solo. Va' a capire.

Il padre di Gould disse che si chiamava Halley. Disse che gli sarebbe piaciuto se Shatzy lo chiamava semplicemente Halley. E non: generale.

Disse anche che, a voler essere precisi, lui non era proprio un generale.

- Ah no?

- Be', è una storia noiosa. Lei mi chiami Halley, d'accordo?

Shatzy disse che era d'accordo. Aveva preparato la pizza, così si misero a mangiare, sul tavolo della cucina, con la radio accesa, e tutto. Il padre di Gould disse che era una buona pizza. Poi chiese di Gould.

- Se n'è andato, generale.

- Vuole spiegarmi esattamente cosa significa?

Shatzy glielo spiegò. Disse che Gould era partito, ma non era andato a Couverney, aveva preso un treno per un posto che lei non conosceva, e da lì le aveva telefonato.

- Le ha telefonato?

- Sì. Voleva dirmi che non sarebbe tornato, e...

- Vuole dirmi precisamente le parole che ha usato?

- Non so, ha detto solo che non sarebbe tornato e che per favore non lo cercassimo, e lo lasciassimo andare, ha detto esattamente così, lasciatemi andare, va tutto bene, e poi mi ha detto adesso ti spiego come fare per i soldi. E me l'ha spiegato.

- Quali soldi?

- Dei soldi, semplicemente, dei soldi, mi ha detto se potevo mandargli dei soldi, per le prime settimane, che poi si sarebbe arrangiato.

- Dei soldi.

- Sì.

- E lei non gli ha detto nulla?

- Io?

- Lei.

- Non so, credo di no, non gli ho detto molto. Stavo ascoltando. Stavo cercando di capire dalla voce se era... non so, cercavo di capire se aveva paura, una cosa del genere, se aveva paura o... o se era tranquillo. Capisce? Credo che fosse tranquillo. Mi ricordo di aver pensato che aveva una voce calma, e che sembrava perfino allegro, ecco, adesso può sembrarle strano, ma era la voce di un ragazzino allegro.

- Non le ha detto dov'era?

- No.

- E lei non gliel'ha chiesto, vero?

- No, credo di no.

- Ci sarà senz'altro un sistema per individuare la chiamata controllando i tabulati dei telefoni. Non dovrebbe essere difficile.

- Non si azzardi a farlo, generale.

- Come sarebbe a dire?

- Se vuole bene a Gould, non lo faccia.

- Signorina, quello è un ragazzino, non può andarsene in giro per il mondo così, senza nessuno, è pericoloso andarsene in giro per il mondo, non lascerò certo che...

- Lo so che è pericoloso, ma...

- È solo un ragazzino...

- Sì, ma non ha paura, questo è il punto, lui non ha paura, ne sono sicura. E allora non dobbiamo averla noi. Credo che sia una questione di coraggio, capisce?

- No.

- Credo che dovremmo avere il coraggio di lasciarlo andare.

- Dice sul serio?

- Sì.

Diceva sul serio. Era convinta che Gould stesse facendo esattamente quello che aveva deciso di fare, e quando è così non c'è molta scelta, tutto ciò che puoi fare se sei uno che sta lì intorno è non disturbare, solo questo, disturbare il meno possibile.

Il padre di Gould disse che lei era matta.

Allora Shatzy disse - Questo non c'entra niente - e poi gli raccontò la storia dei fiumi, quella faccenda che se un fiume deve arrivare al mare lo fa a furia di girare a destra e sinistra, quando indubbiamente sarebbe più veloce, più pratico, andare dritti allo scopo invece di complicarsi la vita con tutte quelle curve, ottenendo solo di allungare il cammino di tre volte tre virgola quattordici volte, ad essere precisi come hanno appurato gli scienziati con scientifica precisione, e bella.

- È come se fossero obbligati a girare, capisce?, sembra un'assurdità, se ci pensa non può evitare di prenderla per un'assurdità, ma il fatto è che loro devono andare avanti in quel modo, mettendo in fila una curva dopo l'altra, e non è un modo assurdo o logico, non è né giusto né sbagliato, è il loro modo, semplicemente, il loro modo, e basta.

Il padre di Gould se ne stette un po' zitto, a pensare. Poi disse:

- Dove ha detto di mandarglieli, quei soldi?

- Non glielo dirò nemmeno se mi lega su una testata nucleare e mi sgancia su un'isola giapponese.

Allora non parlarono più per un bel po'. Shatzy si mise a togliere la roba dal tavolo, mentre il padre di Gould camminava avanti e indietro, fermandosi ogni tanto davanti alle finestre, e gettando un'occhiata fuori. A un certo punto salì al primo piano.

Shatzy poteva sentire i suoi passi sul soffitto. Lo immaginò che guardava la stanza di Gould, e toccava gli oggetti, apriva gli armadi, prendeva le foto in mano, cose così. A un certo punto lo sentì entrare in bagno. Sentì anche la vaschetta scrosciare e così le venne in mente Larry "Lawyer" Gorman, e si accorse che le mancava, accidenti come le mancava. Il padre di Gould tornò giù. Andò a sedersi sul sofà. Aveva una delle scarpe marroni slacciata, ma o non se n'era accorto o non gliene importava un accidente.

Shatzy spense la luce in cucina. Lasciò la radio accesa, ma spense la luce, e andò a sedersi per terra, appoggiata con la schiena al sofà. L'altro sofà, quello verde. Il padre di Gould era seduto su quello blu. Alla radio davano le informazioni sul traffico. C'era un incidente sull'autostrada. Nessun morto, per quel che se ne sapeva. Ma chi può mai dire.

- Mia moglie era una donna molto bella, lo sa signorina? Quando la sposai era davvero bella. Ed era divertente. Non stava mai ferma un attimo, e le piaceva qualsiasi cosa, era una di quelle persone che danno un senso anche alle cretinate più insignificanti, si aspettano qualcosa anche da quelle, aveva fiducia nella vita, capisce?, era fatta così. L'ho sposata che nemmeno la conoscevo bene, ci eravamo incontrati tre mesi prima, non di più, non era da me fare una cosa del genere, ma lei mi chiese di sposarla, e io lo feci, e quel che penso è che è la cosa migliore che ho fatto, in tutta la mia vita, sul serio. Eravamo molto felici, la prego di credermi. Anche il bambino, quando lei scoprì che aspettava un bambino, non pensai di spaventarmi, fu una cosa allegra, semplicemente, pensammo tutt'e due che sarebbe stato bello, che era una cosa giusta. Cambiavamo città ogni anno, l'esercito è così, ti porta in giro, e lei veniva con me, e dovunque andassimo lei sembrava nata lì, sembrava la sua città. Riusciva a farsi amici dappertutto. Quando arrivò Gould eravamo alla Base di Almenderas.

Radar e ricognizioni, cose del genere. E arrivò Gould. Io lavoravo molto, quello che riesco a ricordarmi è che lei sembrava felice, mi ricordo che ridevamo, ed era come prima, era una bella vita. Non so quando ha iniziato tutto a complicarsi. Vede, Gould non è mai stato un bambino semplice, voglio dire, non era un bambino normale, ammesso che ci siano bambini normali, era un bambino che non sembrava un bambino, per così dire. Sembrava una persona grande. Che io mi ricordi, noi non facevamo niente di speciale, con lui, lo trattavamo come veniva, non pensavamo che ci fosse da fare qualcosa di speciale, per lui. Forse ci sbagliavamo. Quando andò a scuola, allora venne fuori quella faccenda del genio. Gli fecero dei test, delle prove scientifiche, e alla fine ci dissero che tutto lasciava intendere che quel bambino era un genio. Usarono proprio quella parola. Genio. Risultò che il suo cervello stava ai margini alti della fascia delta. Ha idea di cosa voglia dire?

- No.

- Sono i parametri Stocken.

- Ah.

Un genio. Io non ero contento né triste, e anche mia moglie, non sapeva cosa pensare, per noi era uguale, capisce? Si chiama Ruth, mia moglie. Ruth. Iniziò a stare male quando eravamo a Topeka. Le prendevano come dei momenti di vuoto, non si ricordava più chi era, e dopo tornava normale, ma era come se avesse fatto qualcosa di enormemente faticoso, era per così dire sfinita. È strano cosa può accadere dentro un cervello. Nel suo andò tutto un po' sottosopra. Si vedeva che cercava di ritrovare la forza, e anche l'interesse per la vita, ma ogni volta doveva ricominciare da capo, non era una cosa semplice, sembrava che dovesse rimettere a posto tutti i pezzi di qualcosa che si era spaccato. Dissero che era la fatica, solo una questione di affaticamento, poi a un certo punto iniziarono a farle tutta una serie di esami. Lì mi ricordo che non eravamo più felici. Ci amavamo ancora, ci amavamo molto, ma era difficile con quel suo dolore in mezzo, era tutto un po' diverso. In quel periodo lei e Gould stavano molto insieme. Io non ero sicuro che per Gould fosse l'ideale, e adesso, a ripensarci, capisco che anche per lei, stare con quel bambino, non doveva essere la cura migliore. Era un bambino che ti complicava le cose, in testa. Lei non aveva bisogno di complicarsi le cose. Ma sembrava che stessero bene, insieme. Sa, la gente di solito ha un po' paura delle persone come Ruth, non sta volentieri con chi ha, diciamo, dei problemi psichici, problemi veri, voglio dire. Gould invece, lui non aveva paura. Si capivano, ridevano, avevano tutte delle storie loro. Sembrava un gioco, ma non so, non credo che tutto quello facesse bene, a Ruth, o a lui.

Si direbbe di no, da com'è andata a finire. Da un certo punto in poi Ruth si mise a peggiorare molto velocemente e a un certo punto mi dissero che aveva bisogno di tagliare con tutto, e che per quanto fosse sgradevole, bisognava convincersi che aveva bisogno di una clinica, e di cure costanti, non era più in grado di vivere in un posto normale. Fu un brutto colpo. Sa, io ho lavorato sempre nell'esercito, non sono stato allenato a capire, lì impari ad eseguire dei compiti, non a capire. Feci quello che mi dicevano. La portai in una clinica. Lavoravo molto, poi appena avevo tempo andavo da lei. Stavo lì, volevo che lei continuasse a stare con me, e io con lei. La notte tornavo qui a casa, spesso era troppo tardi per trovare ancora Gould sveglio. Mi ricordo che gli scrivevo dei bigliettini. Ma non sapevo mai bene cosa scrivere. Ogni tanto mi sforzavo di tornare un po' più presto, e allora giocavamo a qualcosa, io e Gould, o sentivamo gli incontri di boxe alla radio, perché non abbiamo mai avuto la televisione, Ruth la odiava, e io ero appassionato di boxe, ho anche fatto qualche incontro, da giovane, mi è sempre piaciuta. Insomma, stavamo lì e ascoltavamo. Parlare, parlavamo poco. Sa, non è una cosa che puoi improvvisare, quella di parlare con tuo figlio.

O hai iniziato molto presto, o è un pasticcio, mi creda. Nel mio caso era innegabilmente un pasticcio. Alla fine tutto andò a pezzi, definitivamente, quando l'esercito mi trasferì a Port Larenque. Migliaia di chilometri da qui. Ci pensai un bel po', e alla fine presi una decisione. Lo so che potrà sembrarle assurdo, e perfino cattivo, ma decisi che io volevo stare con Ruth, rivolevo la mia vita con lei, bella come all'inizio, e avrei fatto qualunque cosa perché questo accadesse. Trovai una clinica non lontana dalla base militare e portai Ruth con me. Ma Gould, lo lasciai qui. Ero sicuro che era meglio se lo lasciavo qui. Lo so che lei mi giudicherà male, ma non ho bisogno di giustificarmi o di spiegare. Vorrei solo dire che Gould era un mondo, quel bambino è un mondo, e io e Ruth un altro. E pensai che avevo il diritto di vivere nel mio mondo. Andò così. Giusto o sbagliato che fosse, andò così. Mi sono sempre preoccupato che a Gould non mancasse niente, e che potesse crescere studiando, perché quella era la sua strada. Ho cercato di fare il mio dovere. Quello che restava del mio dovere. E mi è sempre sembrato che la cosa bene o male funzionasse. Mi sa che mi sbagliavo. Ruth però sta meglio, adesso la lasciano uscire per lunghi periodi, lei torna a casa e ogni tanto sembra davvero quella di una volta. Ridiamo e la gente riesce a stare con noi, non ha più molta paura. Lei, ogni tanto, è molto bella. Una volta, che sembrava davvero a posto, tranquilla, le ho chiesto se per caso voleva vedere Gould, che potevamo farlo venire li, qualche giorno. Lei mi rispose di no. Non ne abbiamo mai più parlato.

Lì fu come se qualcuno gli avesse improvvisamente spento la voce. Qualcuno gliel'aveva accesa, e adesso aveva deciso di spegnergliela. Disse

- Scusi

ma in verità non si sentì nulla. Shatzy capì che aveva detto

- Scusi

ma poi chissà: non si può mai dire.

Si era fatto tardi, tra una cosa e l'altra, e Shatzy si chiese cosa doveva ancora succedere. Cercò di ricordarsi se aveva qualcosa da dire. O da fare. Era tutto un po' complicato da quell'uomo che se ne stava immobile, seduto sul sofà, a fissarsi le mani deglutendo, ogni tanto, con fatica. Le venne in mente di chiedergli cos'era quella storia che lui era generale ma non lo era proprio completamente, insomma quella faccenda lì. Poi pensò che non era una buona idea. Si ricordò anche che sarebbe stato meglio affrontare l'argomento dei soldi. In qualche modo bisognava mandarli, a Gould, quei soldi. Stava pensando da che parte attaccare la questione quando udì il padre di Gould dire:

- Com'è, adesso, Gould?

L'aveva detto con una voce che sembrava nuova, sembrava che gliel'avessero restituita in quel momento, lavata e stirata. Come se l'avesse mandata in tintoria.

- Com'è, adesso, Gould?

- Cresciuto.

- A parte questo, voglio dire.

- Cresciuto bene, credo.

- Ride, qualche volta?

- Certo che ride, perché?

- Non so. Non rideva tanto, una volta.

- Ci siamo fatti delle grandi risate, se è questo che la preoccupa.

- Bene.

- Da crepare, veramente.

- Bene.

- Ha le mani come le sue.

- Sì?

- Sì, ha le dita uguali.

- Buffo.

- Perché?, è suo figlio, no?

- Sì, naturalmente, volevo dire che è buffo che ci sia un ragazzino, da qualche parte del mondo, che porta in giro le tue mani, delle mani come le tue. È una cosa strana. A lei piacerebbe?

- Sì.

- Le succederà. Quando avrà dei figli.

- Già.

- Dovrebbe fare dei figli, invece che dei western, lei.

- Dice?

- O dei figli insieme a dei western, almeno.

- Magari è un'idea.

- Ci pensi.

- Già.

- Ha degli amici?

- Io?

- No, volevo dire... Gould.

- Gould? Be'...

- Avrebbe bisogno di qualche amico.

- Be'... ha Diesel e Poomerang.

- Intendo dire degli amici veri.

- Loro gli vogliono molto bene, davvero.

- Sì, ma non sono veri, signorina.

- Fa differenza?

- Certo che fa differenza.

- A me sono molto simpatici.

- Lo diceva anche Ruth.

- Lo vede?

- Sì, ma non esistono, signorina. Se li è inventati lui.

- D'accordo, ma...

- Non è una cosa normale, no?

- È una cosa un po' strana, ma non c'è niente di male, a lui fanno del bene.

- Lei non li trova spaventosi?

- Io? No.

- Lei non trova spaventoso che un bambino giri tutto il tempo con due amici che non esistono?

- No, perché?

- A me spaventava, mi ricordo che era una delle cose di Gould che mi spaventava. Diesel e Poomerang. Mi facevano paura.

- Scherza?, non farebbero male a una mosca, e fanno morire dal ridere. Le giuro che mi mancano, a parte Gould, voglio dire, ma mi piaceva di più quando c'erano anche loro due, in giro.

- Vuole dire che sono scomparsi anche il gigante e il muto?

- Sì, sono andati via con lui.

- Il padre di Gould si mise a ridere piano, scuotendo la testa.

- Disse

- Roba da matti.

- E poi lo disse un'altra volta

- Roba da matti.

- Non si preoccupi, generale, Gould se la caverà.

- Lo spero.

- Bisogna solo avere fiducia in lui.

- Certo.

- Ma se la caverà. È forte, quel ragazzino. Non sembra, ma è - forte.

- Lo pensa davvero?

- Sì.

- Ha un sacco di possibilità, un sacco di talento, rischia di buttare tutto all'aria.

- Sta semplicemente facendo quello che vuole fare. E non è cretino.

- Gli è sempre piaciuto studiare, a Couverney lo pagavano per farlo, non c'era ragione per scappare. Non le sembra una cosa un po' strana sparirsene proprio adesso?

- Non so.

- Possibile che non le abbia spiegato niente, al telefono?

- Non mi ha spiegato molto.

- Qualcosa le avrà pur detto.

- Quella cosa dei soldi.

- E nient'altro?

- Non so, si sentiva anche un po' male.

- Era una cabina, per la strada?

- A un certo punto ha detto qualcosa sul fatto che aveva dato un calcio a un pallone.

- Fantastico.

- Non ho capito bene, però.

- Non ha capito bene?

- No.

Il padre di Gould si mise di nuovo a sorridere, scuotendo la testa. Ma senza dire

- Roba da matti.

Questa volta disse

- Non mi aiuterà a cercarlo, vero?

- Lei non lo cercherà, generale.

- No?

- No.

- E lei come lo sa?

- Prima non ne ero sicura, adesso lo so.

- Davvero?

- Sì, adesso che l'ho vista ne sono sicura.

- ...

- Lei non lo cercherà.

Il padre di Gould si alzò, si mise a girare un po' per la stanza.

Si avvicinò al televisore. Sembrava di legno, ma poi chissà, poteva essere benissimo di una plastica che sembrava legno.

- L'avete comprato?

- No, l'ha rubato Poomerang a un giapponese.

- Ah.

Il padre di Gould prese il telecomando in mano e l'accese.

Non successe niente. Provò a schiacciare un po' di tasti, ma continuò a non succedere niente.

- Mi dice una cosa, sinceramente, signorina?

- Cosa?

- Non le ha mai fatto un po' paura vivere di fianco a un bambino come Gould?

- Solo una volta.

- Una volta quando?

- Una volta che si mise a raccontare di sua madre. Disse che sua madre era impazzita, e si mise a raccontare tutta la storia. Non era tanto quel che diceva, era la voce che faceva paura. Sembrava la voce di un vecchio. Di uno che sapeva tutto da sempre, e che sapeva anche come sarebbe andata a finire. Un vecchio.

- ...

Lui aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a essere piccolo.

- ...

- Non credeva che si potesse essere piccoli nella vita reale senza che qualcuno ne approfittasse e ti uccidesse, o qualcosa del genere.

- ...

- Pensava che era una fortuna essere un genio perché era un modo di salvarsi la vita.

- ...

- Un modo di non sembrare un bambino.

- ...

- Non so. Credo che fosse il suo sogno, essere un bambino.

- ...

- Voglio dire: credo che sia il suo sogno. Credo che adesso che è grande, potrà finalmente essere piccolo, per tutta la vita.

Poi andò che tirarono tardi, a parlare di guerre e western, o a stare zitti, con la radio sempre accesa che dava musica qualunque. Alla fine il padre di Gould disse che gli sarebbe piaciuto dormire lì, se a lei non dava fastidio. Shatzy gli disse che poteva fare quello che voleva, che quella era casa sua, e poi non le dava fastidio, anzi, era contenta se rimaneva. Gli disse che poteva preparargli il letto della stanza di Gould, ma lui fece un gesto vago nell'aria e disse che preferiva di no, avrebbe dormito sul sofà, non c'era problema, andava benissimo il sofà.

- Non è molto comodo.

- Andrà benissimo, mi creda.

Così dormì sul sofà. Quello blu. Shatzy dormì in camera sua.

Prima rimase seduta sul letto, con la luce accesa, per un bel po'.

Poi effettivamente andò a dormire.

La mattina dopo si misero d'accordo per quella faccenda dei soldi. Poi il padre di Gould chiese a Shatzy cosa pensava di fare.

Intendeva dire se voleva continuare a star lì, o cosa.

- Non so, penso che per un po' starei ancora qui.

- Io sarei più tranquillo se lo facesse.

- Sì.

- Se per caso venisse in mente a Gould di tornare, sarebbe meglio ci trovasse qualcuno, qui.

- Sì.

- Può telefonarmi quando vuole.

- D'accordo.

- Io le telefonerò.

- Sì.

- E se le viene in mente qualche buona idea, me lo dica subito, va bene?

- Certo.

Poi il padre di Gould le disse che era una ragazza in gamba. E la ringraziò, perché era una ragazza in gamba. Disse anche qualcos'altro. E poi alla fine le chiese se c'era qualcosa che poteva fare per lei.

Shatzy subito non disse niente. Ma dopo, quando lui stava già quasi sulla porta, disse che effettivamente c'era una cosa che poteva fare per lei. Gli chiese se un giorno poteva portarla a conoscere Ruth. Non spiegò perché, disse solo quello.

- Mi porta un giorno a conoscere Ruth?

Il padre di Gould rimase un attimo in silenzio. Poi disse sì.