city reading project

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Il City reading project


Il City Reading Project è uno spettacolo teatrale, in scena al Teatro Valle di Roma dal 14 al 24 Novembre 2002, nell’ambito del Romaeuropa Festival. Il reading è articolato in tre serate dedicate a tre momenti narrativi: Tre storie western, Il lascito testamentario del Prof. Mondrian Kilroy, Ring

Il taglio è quello di una “lettura musicale” che ricerca la dimensione sonora della pagina letteraria avvalendosi di voci, musica, atmosfere. Le voci sono di Baricco, di Stefano Benni, di Michele Dall’Ongaro, di giovani attori di teatro. La musica è degli Air e di Giovanni Sollima. La scena è di Bernard Michel. Le luci sono di Dominique Borrini e i costumi di Beatrice Giannini.

Presentazione di BARICCO 
(cartella stampa del Romaeuropa Festival)


City è un libro. È uscito in Italia nel 1999. È stato tradotto in ventidue lingue.
Tutti i libri sono, anche, suono. City è molti suoni. Suonano nella mente di chi legge.
Principale obbiettivo del Project: cercare una voce che suoni quei suoni, toglierli dal luogo astratto e muto della mente, consegnarli a un luogo fisico e all’ascolto reale di un pubblico.
Leggere è innanzitutto far suonare il suono di un libro.
Principale obbiettivo del Project: leggere City.

Quando si fa uscire un testo letterario dalla suo spazio elettivo (la mente di chi legge) lo si libera, per così dire, in campo aperto. Lì il testo diventa suono fisico ma anche viene tentato dal diventare movimento nello spazio, luce, scena, gesto attoriale. Nei confronti di simili metamorfosi, che spingono ovviamente in direzione del teatro, il Project adotta una regola: non fare nulla di più di ciò che è necessario per far accadere il testo. Ma anche niente di meno. Bisogna aspettare che il testo accada, e lì fermarsi. Questa forma di esattezza è ciò che nel Project viene chiamata: lèggere.

(Va da sé che leggere non è recitare.)

(Va da sé che leggere in un teatro, davanti a un pubblico, non può essere un gesto anemico, penitenziale o cervellotico. È uno spettacolo. È il testo che diventa spettacolo. Bisogna usare tutta la forza data dal luogo-teatro, e tutta l’intensità generata dal rapporto live con il pubblico.)

City è un libro con una struttura piuttosto complessa, in cui le storie si intrecciano e si sovrappongono in modo praticamente inestricabile. City Reading Project non ne è una lettura integrale. Si articola in tre serate, dedicate a tre storie diverse contenute nel libro: la storia western, le lezioni del prof. Mondrian Kilroy, la carriera del pugile Larry Gorman. Ogni singola serata non ricostruisce l’intera storia così come è contenuta dal libro, ma si limita a mettere in sequenza tre spezzoni del testo, come tre movimenti di un’unica composizione musicale. Un programma di sala aiuterà il pubblico a ricostruire il profilo completo delle storie.
Va aggiunto che il testo è per lo più usato nella sua versione originale. Tagli e adattamenti vari sono stati apportati solo dove apparivano inevitabili.

Di volta in volta, le tecniche con cui si legge il testo cambiano. Si può dire che ogni singolo movimento realizzi una diversa idea di “Lettura”. In questa ricerca, l’uso di scene, luci, musica (registrata e live), movimenti scenici, costumi, ed effetti sonori rappresenta un’eventualità a cui si ricorre secondo necessità. Non c’è una regola, non c’è una formula buona per tutti i movimenti.
È un ricercare.

La stessa tecnica di lettura può variare tra estremi molto lontani: dal lettore non professionale che legge con il libro sotto agli occhi, all’attore che pronuncia il testo a memoria aiutandosi con dei movimenti scenici.
Tutte le voci sono amplificate.

La durata delle serate varia da 50 a 100 minuti

TRE STORIE WESTERN
14, 15, 16 novembre  

Caccia all’uomo 

per tre voci e live music

Bird 

per voce registrata e live music

La puttana di Closingtown 

per due voci e live music

IL LASCITO TESTAMENTARIO DEL PROF. MONDRIAN KILROY

18, 19, 20 novembre 

Saggio sull’onestà intellettuale 

per voce sola

RING

22, 23, 24 novembre

Wizwondk

per tre voci

Vram 

per voce registrata e live music

Radio KKJ

per due voci e live music

 
 

Ideazione Alessandro Baricco
Realizzazione Alessandro Baricco, Lorenza Codignola, Raffaella Giordano, Bernard Michel
Musica live Air (Nocolas Godin, Jean-Benôit Dunckel per Tre Storie Western), Giovanni Sollima (per Ring)
Costumi Beatrice Giannini

Interpreti Stefano Benni, Alessandra Casali, Antonio Conte, Michele Dall’Ongaro, Simone Gandolfo, Moira Grassi, Tatiana Lepore, Roberto Stocchi, Sara Valbusa

Produzione Romaeuropa Festival in collaborazione con Mondrian Kilroy Fund

 

IL MIO TEATRO È RACCONTO DI STORIE
di Alessandro Baricco

su  La Repubblica, 17 settembre 2002

Adesso gli amici mi incontrano e mi dicono “Cos’è questa storia che fai una regia teatrale?”. Ma in realtà non è proprio così. Cioè, non è affatto così. Provo a spiegare.
Intanto è un reading. Uso la parola inglese perché quel gesto lì (un autore che legge i propri libri in pubblico) continua a essere un gesto soprattutto anglosassone. Da noi usa meno. Dunque, un reading. E per la precisione un reading di alcune pagine di City. Mentre scrivevo quel libro pensavo spesso che leggerlo a voce alta sarebbe stato l’ideale. Così quando il Romaeuropa Festival mi ha offerto uno spazio per fare “ciò che volevo”, prima mi son venuti in mente un paio di progetti deliranti, poi ho pensato che era l’occasione buona per leggere a voce alta il western di City, e magari anche qualcosa della storia di boxe, e se me lo lasciavano fare un paio di lezioni del prof. Mondrian Kilroy. E lì la cosa ha cominciato a complicarsi.

Dopo cinque anni di Totem in giro per teatri italiani, io la mia idea di cosa debba essere leggere a voce alta e in pubblico me la son fatta. E la riassumerei così: non c’entra niente con il recitare un testo, ha molto a che fare con il raccontare una storia. E poi: non è teatro ma può usare alcune armi del teatro (luci, suoni, spazi, movimento). In un certo senso ho ereditato dall’esperienza di Totem un’idea allargata del concetto di reading: qualcosa che sta prima del teatro ma al di là del semplice aprire un libro e leggere. Non che io sappia esattamente di cosa sto parlando: è giusto l’intuizione di uno spazio che ho scoperto facendo Totem e che rimane ancora da esplorare. Il lavoro che farò per il festival Romaeuropa è per me proprio questo: andare a vedere cosa c’è laggiù. Magari non troverò niente. Magari verrà fuori qualcosa di emozionante. È una cosa un po’ a rischio. Per cui andava fatta.

In pratica, sul palcoscenico ci saliranno altre voci (la mia ci sale solo una sera), alcune di attori, altre di non-attori. A loro chiederò di leggere, e, per favore, di non recitare (si può chiedere a un attore di non fare l’attore? Vedremo). Tanto per facilitarmi le cose ho fatto un casting per trovare qualcuno che fosse abbastanza selvaggio o bravo da suonare la propria voce in un modo già un po’ vicino a quello che ho in mente io. E per fortuna mi sembra di averli trovati. È un po’ dura convincerli che un intero teatro può rimanere senza fiato davanti a uno che si limita a leggere: ma fanno finta di credermi. Per aiutarmi a lavorare con loro ho chiamato Lorenza Codignola, lei sì regista vera e propria. È abituata a lavorare con i cantanti d’Opera: di anomalie se ne intende.

Poi ho scelto la musica. Nel senso che porterò dei musicisti a suonare sul palco, insieme alle voci. Ho scelto gli Air perché sono andato a un loro concerto, a Milano, e son rimasto secco. C’era, dentro quella musica, un’idea di tempo che mi sembrava vicinissima al tempo, anomalo, della lettura ad alta voce. Tutto il resto c’entrava meno, a cominciare dal numero di decibel che mi stava aggredendo, ma se il tempo è lo stesso il più è fatto. E così verranno anche loro. E poi ho scelto Giovanni Sollima perché avevo ascoltato alcune cose sue in cui musica e voce recitante erano fuse insieme in un modo che mi sembrava geniale. E poi è uno che costruisce emozioni. Non sta lì a far arabeschi di intelligenza per scienziati dei suoni. Fa musica, nel senso più completo. Per cui sono felice che, nel gruppo, ci sia anche lui.

Poi c’è la faccenda del movimento. Va be’ che quelle voci sono soprattutto strumenti che suonano parole, ma alla fine sono anche persone fisicamente presenti lì sul palco, e pensarle impalate come statue non è bello. Per cui il problema è studiare un’idea di movimento, per loro. Dato che in quel genere di cose non ho il minimo talento, ho chiesto di lavorare con me a Raffaella Giordano, che è ballerina e coreografa. Con questo non voglio dire che quelle voci, là sopra, balleranno. Lo escludo. Ma cercheremo di individuare per loro un modo di essere fisicamente là sopra che c’entri qualcosa con il gesto che stanno facendo.

Dato che a tutto questo va aggiunto l’uso delle luci e la presenza di un impianto scenografico, la gente, giustamente, si chiederà che differenza c’è, allora, con il teatro vero e proprio. Ecco una domanda di cui conosco la risposta senza essere in grado di pronunciarla. Mi sa che in casi come questi le parole contano poco: meglio fare le cose e la gente capirà. O non capirà e allora hai sbagliato. Si vedrà. Non è una situazione diversa da quella che, ricordo, ha accompagnato la nascita di Totem: Vacis, Tarasco e io sapevamo cosa stavamo per fare, ma non riuscivamo bene a spiegarlo agli altri. Adesso posso dire che la gente ha capito. Non so perché, ma mi viene da pensare che anche questa volta succederà la stessa cosa.

 

Dall'intervista di Kay Rush 

Nosolomusica - Telecinco

Kay Rush conduce sulla televisione spagnola Telecinco, fino al settembre del 2004, il programma Nonsolomusica per il quale realizza un'intervista in cui Baricco ripercorre i passi della sua carriera artistica, dagli inizi fino al disco con gli Air, soffermandosi in particolare su City e sul City reading project.

 

...
Si capisce anche l'importanza che dai a  City  dal City Reading con gli Air. Come è nata questa collaborazione?

L'idea era quella di leggere dei pezzi di City a teatro: farli leggere da degli attori, perché a me piace il momento in cui una scrittura diventa suono, faccia, mani che si muovono. Mi piace molto, allora studio questa cosa. Ho fatto molte cose, io. Cerco di lavorare con gli altri, per fargliele fare in modi diversi . Una cosa che mi affascina. E lì avevo scelto City, perché City è come un grande frigorifero pieno di storie . Tu, quando hai fame, ne tiri fuori una e sei a posto. E allora lì se ne potevano sfilare via alcune anche senza avere letto il libro, e portarle a teatro. E così, ecco perché le tre storie western, che sono così, sono molto violente e molto tragiche, ma il western è sempre tragico.

Non così tanto.

Non tanto?... Noi siamo post western

Una cosa importante quando la scrittura diventa suono è l'uso della musica, usarla non usarla, che musica, per accompagnare oppure intrecciare, e anche lì sono molti anni che - è un hobby -  studio i rapporti tra la musica e la voce .

E una volta sono andato a un concerto degli Air che non conoscevo. Mi hanno portato, proprio.  E io son rimasto lì … A me non piace particolarmente la musica elettronica, d gli anni 70 non me ne frega niente, però sentivo questa musica, a Milano in un bellissimo posto, e c'era una forza pazzesca, e c'era una lentezza di fondo. Loro riuscivano a tenere questo arco molto lungo, ma senza perdere l'energia per strada. Questo veramente è uno dei problemi che abbiamo in tutte le cose che facciamo: di mantenere la forza in un arco lungo, perché su misure corte bene o male ce la caviamo tutti. E allora io ero lì, e non avevo sentito mai questa musica, e loro facevano questo. Allora dato che la lettura è lenta - leggere significa leggere lenti -  e ce l'hai quel problema, soprattutto se tu non sei bravissimo, a un certo punto la gente si perde per strada,  allora ho pensato che quella musica tiene su anche quando la voce, l'attore, non ce la farebbe e cascherebbe come un ciclista che quando va piano cade, uguale, allora lì… va piano… va piano… arriva la musica, e lo tiene su.

E in questo senso mi sembrava che fosse l'ideale; in più poi ho scoperto che a loro piaceva il western, andavano matti per Morricone, e allora ho detto:  lavoriamoci su. E loro hanno accettato di farlo, e mi sono trovato bene. Hanno fatto della bella musica e abbiamo fatto anche un disco insieme.  Molto divertente.
...

 
Il CD con gli Air

Nel marzo 2003, la parte del reading dedicata alle tre storie western è trasposta in un CD in cui le musiche degli Air accompagnano la lettura di Baricco. 

City Reading - Tre storie western, CD con gli Air, Virgin 2003

 
 
 

Dall'articolo/intervista di Laura Putti a Baricco e Air 

su Repubblica 22/06/2003  

...«A noi sembra un un film». Quando Baricco è arrivato a Parigi per proporre loro lo spettacolo, Godin e Dunckel non sapevano neanche chi fosse. E se "City" non vi fosse piaciuto? «Ci è piaciuto il suono della sua voce. Crediamo negli incontri di energia e lui era una persona vibrante». «Mi sono piaciuti perché non erano "soft"» dice lo scrittore «Di solito le letture si fanno con musiche sentimentali; la loro è molto diversa, ma ha per me caratteristiche ideali. Costruiscono la musica con una lentezza che non perde energia per strada, e questa è la stessa cosa della lettura. Poi hanno un tratto epico, e anche questo era quel che ci voleva».

...

 
 
Il libro illustrato 

Nel maggio 2003 esce, pubblicato da Rizzoli, il libro illustrato  dedicato al City reading project

City reading project. Sette storie scelte da City Lo spettacolo a Romaeuropa Festival

Editore: Rizzoli
Collana: Milano Libri
Data uscita: 13/05/2003
Pagine: 115
EAN: 9788817872188

 
City reading project. Sette storie scelte da City
Introduzioni ai brani 


Fateci  caso: uno non sa mai cosa sta facendo, mentre lo sta facendo. Poi, dopo, magari lo capisce. Ma mentre è lì, nel mezzo della faccenda, è diverso: sa esattamente cosa deve fare, eppure non sa cosa sta facendo, se capite quello che voglio dire. Io ho fatto questo City Reading Project al Teatro Valle, Per il Romaeuropa Festival, con un sacco di altre persone. C'era il palcoscenico, il sipario, tutte quelle cose lì. Era teatro? No, spero. E allora cos'era? Sapevamo esattamente quello che dovevamo fare, ma non sapevamo cosa stavamo facendo. L'idea era quella di leggere delle pagine di City, in pubblico, ad alta voce. Non io: degli attori. Detto così è una cosa da niente. E  invece è un gran casino. Il fatto è che gli attori, in genere, non leggono: recitano. E quello è un ottimo modo per ammazzare un testo. Allora l'idea era di lavorare con loro per togliere di mezzo la recitazione e recuperare quel gesto elementare che è dare voce alla scrittura. Farla diventare suono: e volto, corpo presente, mani che si muovono, occhi, e tutto. Sono nati per far quello, gli attori: Se solo la smettessero di recitare...

Insomma volevo cercare quella voce, quel modo di stare, quella bellezza, se capite cosa voglio dire. Ho scelto 9 attori e poi ho preso sette storie da City. City è una specie di grande frigo dove ho messo da parte un sacco di storie per quanto mi viene fame, la notte. Ha una struttura bizzarra, per cui non è difficile sfilare via le storie dal libro, senza che muoiano. Stanno su bene anche da sole. Tu apri il frigo e te le sfili via. Amen. Così ho fatto. Poi ho portato le storie dove c'erano gli attori. Li ho fatti incontrare, per così dire. Ci abbiamo lavorato su per un po' di tempo. Cercavamo quella bellezza, capite? Dovevo convincerli a raccontare...

Un'altra cosa. Facendo Totem avevo imparato quanto si può ottenere lavorando bene con la musica e con le luci, quando arrischi quello spettacolo minimo che è leggere in pubblico. Così anche per il City reading Project,  ho pensato di lavorare su quelle cose lì. Sono andato a cercarmi dei musicisti, e gente che sapesse mettere in scena, in qualche modo, quello spettacolo immobile che avevo in testa.

Alla fine mi sono trovato intorno due musicisti francesi, un compositore italiano, uno scenografo, una regista, una coreografa, un light designer. Un sacco di gente, vi dico. Un kolossal lo puoi fare anche da solo: ma quando hai in testa qualcosa di vertiginosamente essenziale, allora c'è bisogno di un sacco di gente per togliere di mezzo tutto quello che non vuoi.

È così, giuro. Il City reading Project è andato in scena al Teatro Valle, per nove sere, nel novembre del 2002. Pubblico ogni tanto contento, ogni tanto irritato, ogni tanto smarrito. Come gente che si cerca, in un bosco, e si trova, poi si perde di nuovo, poi ripiglia cercarsi. Una cosa così. Dato  che si chiamava Project, non poteva finire lì. E infatti mi sono ritrovato a fare un disco con i due musicisti francesi, e a pensare una tournée estiva con uno spettacolo abbastanza diverso, e a fare questo libro, che non è un libro, e allora cosa è?, questo è il bello, non si mai cosa si sta facendo, mentre lo si sta facendo.

Comunque qui si racconta quello spettacolo di Roma. Era fatto in tre serate, e troverete qui tre capitoli, uno per serata. Troverete i testi così come li ho sfilati via dal frigo di City, e così come li ho adattati perché reggessero il peso del palcoscenico (chi vuole, può andare a controllarsi gli originali, in City, e vedere cosa significa passare da scrittura).

Le foto raccontano un po' quello che è successo: il prima, il dopo, il durante. Volevano fare un film, su tutta l'avventura. Piuttosto delle foto, ho pensato. Eccole qua.

*

Uno dei personaggi di City si chiama Shatzy. Shatzy Shell. È una ragazza sui trenta anni, forse qualcosa di meno. Quando la gente le chiede cosa fa nella vita lei risponde: un western. Allora la gente le chiede se un film, un libro o cosa. Lei  risponde: è un western. Il fatto è che ognuno ha un suo sistema per tradire l'attesa, fra una disillusione e l'altra, e il suo sistema è passare il tempo immaginario western. Con cavalli, saloon, sparatorie e tutto quanto. Aveva tutto in mente. Ogni tanto, ma di rado, raccontava.

Così mi sono divertito, in City, ad andare dietro alle fantasticherie di Shatzy. E ho passato un bel po' di tempo nel west. Ne sono venute fuori un sacco di storie. Ne ho sfilate via dal frigo tre e le ho posate nella prima serata del City reading Project. La caccia all'uomo l'ho un po' accorciata e l'ho divisa per tre voci. All'inizio pensavo a tre amici, che se la raccontano in una sera senza fine. Poi non riuscivo a trovare tre attori giusti, e quel che è capitato è che, invece, ho trovato tre attrici.

Ho pensato a tre voci femminili che raccontavano una storia così tipicamente maschile. E ho scoperto che suonava benissimo. Così la storia alla fine l'hanno raccontata loro. Non è male ascoltare una ragazza molto bella che racconta di pistole, inseguimenti, sceriffi e deserto. Durante le prove, le tre ragazze continuavano a chiedermi chi erano: è una mania degli attori, ti chiedono sempre notizie sul personaggio che devono fare. In realtà li non dovevano fare nessun personaggio, e questo era il casino: dovevano essere giusto strumenti musicali, o voci se capite cosa voglio dire. Ma questo a un attore non lo puoi dire: rischia di scomparire nel nulla. Allora gli ho detto che erano tre sorelle, vivevano in una casa sopra un distributore di benzina, da qualche parte in America, negli anni 40. Gli ho detto che in famiglia non avevano più il becco di un quattrino, e che i vestiti che avevano addosso erano i vestiti della festa delle loro zie, vent'anni dopo. Allora immaginatevi: arrivano camionisti o fighetti su splendide macchine e per voi sono l'unica possibilità di scappare via da lì. Provate a immaginare che uno di quegli uomini si fermi il tempo di una storia. E raccontategliela. Provate a salvarvi la vita, raccontando una storia. Sherazade, in un certo senso. Non sia inventata mai niente.

Bird è la storia di un vecchio pistolero. Mi è venuto di scriverla corta, come se fosse una specie di ballata. L'ho sempre immaginata come una canzone. Adesso guarda te, è diventata effettivamente una canzone. Vi racconto com'è andata.

Per la musica del western mi erano venuti in mente gli Air. Loro sono francesi, fanno musica elettronica. Nei negozi di dischi stanno nel settore trendy. Roba di grido, insomma. Mi piacevano perché c'è qualcosa di epico nella loro musica, e c'è una lentezza che c'entra con la lentezza della lettura. Insomma gli ho chiesto se volevano fare la colonna sonora del Reading e loro hanno detto sì. La prima cosa a cui hanno lavorato è stato Bird. Mi hanno mandato la musica e ho capito che sarebbe stato una bellezza. Dato che non si poteva fare live, perché avrebbero dovuto portarsi dietro l'intera band, ho registrato il testo, leggendolo io, per una volta. Poi hanno mixato ed è venuta fuori la canzone. A teatro l'abbiamo mandata in audio, con tutta la sala al buio è solo una piccola lampadina accesa sul palco. C'era giusto da guardare quel punto e lasciarsi portar via dalla musica e dalle parole. Una cosa troppo difficile per quelli che a teatro ci vanno per vedere il teatro: la lampadina li ha fatti veramente incazzare.

Be', alla fine abbiamo fatto un disco, con gli Air: con Bird e le altre due storie. Un disco un po' matto. Io leggo, loro suonano. Ne abbiamo fatto delle canzoni, per così dire.

Quanto alla puttana di Closingtown è una storia d'amore, per cui a teatro l'hanno fatta in due, un ragazzo e una ragazza. Quella è una storia piuttosto dura, a dire il vero. Fino a quando è rimasta nel libro, nessuno mi ha mai detto niente. Ma quando l'ho portata a teatro mi sono trovato intorno un sacco di gente che veniva intollerabilmente aggredita, da quella storia, e me lo diceva, con la faccia di gente uscita illesa per un miracolo da un incidente d'auto. Vedi cosa succede a far diventare suono la scrittura: prima è come un fiume sotterraneo, poi è una corrente che esplode dalla terra e ti porta via.

Comunque mi spiace, ma il western è quella cosa lì: barbarie poetica, se capite cosa voglio dire.

 *

Se c'è un cuore, in City, un centro della faccenda, quello è Gould. Gould è un ragazzino di 13 anni. È un genio . tanto per dire, va già all'università. Dico sul serio.

Spesso  la gente mi chiede se il nome di Gould viene da Glenn Gould, il pianista. La verità è che non me lo ricordo.

Proprio per questo fatto singolare di andare all'università, Gould a un sacco di professori. Il che mi ha permesso di scrivere, in City, delle vere e proprie lezioni, che praticamente sono dei brevi saggetti, ma un po' lunari e bizzarri. Il lato epico della verità, avrebbe detto Benjamin. Mi immaginavo questi professori un po' strambi che iniziavano a riflettere molto seri su un certo tema e poi partivano per la tangente, portati via dalla loro passione e dalle loro spicciole follie. In realtà non ne ho mai incontrati, di professori così. Ma quando andavo a lezione mi aspettavo sempre che, da un momento all'altro, succedesse quella cosa, e i professori partissero per la tangente. Come quando guardavi tua madre, per anni, e in qualsiasi momento avrebbe potuto partirle l'esaurimento nervoso.

Alla fine, il professore che mi è venuto meglio e uno che si chiama Mondrian Kilroy. A lui sono veramente affezionato. Anche a Gould piaceva molto: a dirla tutta, era il suo professore preferito. Così è a lui che ho fatto scrivere il Saggio sull'onestà intellettuale. Quella era un'idea che mi frullava da tempo nella testa. Volevo dire qualcosa sulla evidente evidenza che il mondo degli intellettuali fa schifo. Non è una di quelle cose che puoi dire sul serio, in giro. Ho pensato che farla dire dal prof. Mondrian Kilroy fosse più appropriato. C'ho messo un mese, a scrivere quelle dieci pagine. Una fatica di inferno (si fa per dire, la miniera è un'altra cosa). Però alla fine mi è venuto fuori qualcosa che non è niente male. Buttate pure via City, se proprio volete, ma prima leggetevi quelle pagine. Ovviamente, quando si è trattato di fare il reading, figurati se lasciavo fuori proprio quelle pagine lì… C'era  solo da trovare la voce giusta. Così mi è venuto in mente Stefano Benni. Lui l'avevo sentito anni fa leggere Gadda in pubblico e mi era sembrato geniale. Poi  l'avevo invitato a leggere Novecento con me e altri, in un teatro, a Torino. E di nuovo mi aveva lasciato secco. Se si tratta di leggere, e non di recitare, uno scrittore e l'ideale: è come il falegname con il legno: sa cos'ha in mano. Se  poi lo scrittore sa anche stare davanti a un pubblico ed è quel briciolo puttana per volerlo sedurre, allora è fatta. Benni, lui, è così. L'ho visto salire sulla cattedra che gli avevamo preparato al Teatro Valle, sospeso in aria con quei capelli a nuvola impazzita, e ho visto il prof. Mondrian Kilroy.

Poi per una sera, il Saggio sull'onestà intellettuale l'ho letto io, lì al Teatro Valle. Ma non era la stessa cosa. Io, in pubblico, leggo volentieri qualsiasi cosa tranne i miei libri. Non so, Mi vergogno. Dico sul serio. C'è un sovrappiù di esibizionismo che mi dà fastidio. Per  cui credo che alla fine forse è molto meglio Benni. Non lo dico per modestia. Io odio la modestia. Comunque il giorno prima dello spettacolo, seduto in teatro con Benni, nel semibuio, ho passato un po' di tempo a parlare di questo Saggio. Mi spiegava come l'avrebbe letto. Non avevamo fatto prove, niente. Gli avevo detto: vieni e leggi come ti pare. Adesso lui era lì e mi stava giusto spiegando vagamente qual era l'idea che aveva in mente. Aveva l'idea di un vecchio professore che inizia abbastanza ragionevole e poi decolla per una tangente tutta sua, cominciando a dire stronzate miste a verità. Più stronzate che verità, mi sembrò di capire dalla faccia che aveva Benni. Accennò anche a quella storia del prete (c'è una storia su un prete, nel Saggio), come un esempio di stronzata. Il bello è che per me quella storia stava nella lista delle verità.

La sera, in scena, la parte sul prete era perfetta. Suonava perfetta. Era la stessa musica che conoscevo da quando l'avevo scritta. Non c'è niente, per pronunciare una verità, come la voce di uno che non ci crede.

 *

Una cosa che mi affascina è questa storia dei maestri. Quando nella vita hai un maestro. In sé è una cosa splendida, ma quel che succede, quasi sempre, è che tutto si ingarbuglia e dopo un po' non ne capisci più niente. Mai che fili via tutto liscio. Probabilmente è una questione molto semplice: deve andare così, e basta. Eppure a me accade di passare molto tempo a pensarci su e a cercare di capire: alle volte ti ferisci anche, in quelle vicende lì, o ferisci gli altri. Insomma sto sempre lì a ripensarci. Così, quando ho scritto City, ho deciso di dedicare una storia, a quell'argomento: e ho scelto la boxe.

La storia è abbastanza semplice: c'è un ragazzo, figlio di un avvocato, quindi ricco è bello, che entra in una palestra e decide di diventare campione del mondo. Lì per lì la cosa fa ridere tutti, ma il ragazzo ci sa fare è a poco a poco diventa effettivamente un pugile speciale. Il suo allenatore si chiama Mondini: un ex pugile, un uomo che della boxe sa tutto. Capisce che quel ragazzo è insopportabile ma è un gran talento, lo allena, lo sopporta, e a poco a poco lo porta in alto.

Poi, quando sono a un passo dal mondiale, lo molla. Il ragazzo si chiama Larry Gorman. Va avanti per conto suo, e diventa campione del mondo. Fine della storia. Nel libro, a raccontarla è Gould. Ogni tanto ne parla coi suoi due amici, Diesel e Poomerang. Ogni tanto se la racconta da solo. È il suo sistema di passare il tempo vuoto: tutti ne hanno uno.

Quando si è trattato di fare il reading, ho pensato che le parti sulla box potevano funzionare bene. E ne ho scelte tre. La prima è una scena da un barbiere: è abbastanza tipica di City, perché la storia della boxe si intreccia con un'altra che apparentemente c'entra poco. A me questo genere di accostamento piace molto. Ai lettori, meno. Preferirebbero che le storie non si confondessero. È strano. quando entrano in una cattedrale e si trovano in mezzo a centinaia di storie (statue, affreschi, vetrate e tutto), non fanno così i difficili. Gli piace. I libri non sono cattedrali, diranno. E perché no?

La seconda è una specie di monologo interiore (oh,yes). Larry corre, per allenarsi, e correndo pensa. Ho dato il testo un musicista che si chiama Giovanni Sollima e gli ho detto: mi piacerebbe farne una canzone. Non nel senso che qualcuno lo canta. Nel senso che il testo suona uno strumento e al resto dovresti pensarci tu. Lui ha capito, perché è uno che ha un talento bestiale. È venuto con una tape e con il suo violoncello. E ha fatto una cosa che a me è sembrata strepitosa. È un peccato che in un libro non la si possa far sentire. Dico sul serio. Prima o poi lo convinco e inciderla.

La terza scena e ciò che di più teatrale abbiamo fatto al reading. In effetti era già scritta, nel libro, come un pezzo di teatro, per cui si è trattato solo di trovare i due  attori giusti e lasciarli andare. Per essere esatti, uno dei due era effettivamente un attore, bravissimo, per inciso. Ma l'altro, quello che fa l'intervistatore radiofonico, è uno che semplicemente fa spesso l'intervistatore radiofonico, come mestiere. Si è seduto lì e ha fatto il suo mestiere. Altro che Actor's Studio...

Poi, l'ultima sera, alla fine, sono uscito anch'io sul palco e ho letto due paginette di City, una storia comica ambientata in un fast food. È che stare fuori, come fanno i registi, a guardare il tuo lavoro che passa attraverso il lavoro degli altri, è uno stress niente male. Mi andava di salire la sopra, cinque minuti, e buttare via la tensione. La gente ha riso e io anche. Lo dico perché il libro finisce con le immagini di quella specie di bis, e così adesso sapete che ci facevo lì.

Adesso, praticamente, sapete quasi tutto.

 
Rassegna stampa sul City reading project
 

Io Donna (Magazine femminile del Corriere della Sera)

09/11/2002

 

A Teatro con l'incantatore 

di Guia Soncini


Degli attori non si fida. Così sul palcoscenico lo scrittore Alessandro Baricco ha deciso di andarci anche lui. Per leggere uno dei suoi romanzi, ipnotizzare il pubblico e fare dispetto ai critici.

Ha l'aspetto di un centravanti di sfondamento, parla come un narratore di fiabe ed è schivo come Nanni Moretti prima dell'era dei girotondi. E' un prodotto perfetto: dategli carta bianca e un palcoscenico e poi rilassatevi e smettete di chiedervi come riempire un teatro. Alessandro Baricco è quello che si arrotolava le maniche e parlava di lirica e lo stavi ad ascoltare anche se non avevi mai sentito un'opera in vita tua perché, libretto a parte, il narratore era un incantatore di serpenti. Alessandro Baricco è quello che non dà interviste, perché quando scrive un romanzo dice:"Non credo ci sia altro da aggiungere".

E deve avere ragione lui: i suoi libri hanno la peculiarità di avere lettori, che è meglio che avere intervistatori. Meno c'è più si nota, non si arrotola neanche più le maniche in tivù eppure è l'unico a cui Roma Europa Festival e Cult Network Italia (canale di Stream) abbiano pensato di dare carta bianca per nove serate, a partire dal 14 novembre, al teatro Valle di Roma. Lui ha deciso di riempirle con una lettura parziale (tre selezioni a tema) di City, il suo penultimo romanzo. Dalla quarta sera ci      sarà in scena un gruppo di attori.

Le prime due, sul palcoscenico, a leggere City ci sarà Stefano Benni:"Benni è uno scrittore e quindi capisce molto bene la logica del testo, lo vede come un medico vede un corpo, lo fa diventare suono nel modo giusto, come solo gli scrittori possono fare, mai gli attori". Alessandro Baricco (maglione verde, maniche troppo strette per venire arrotolate, occhialini da vista, una faccia impagabile quando, alla prova costumi, un'attrice si presenta con un paio di pantaloni di pelle rossi in cui pare esplodere) è esattamente com'era in tivù: t'incanta senza alcuno sforzo palese, accattivante ma apparentemente spontaneo, colto ma comprensibile. Lo staresti a sentire anche se leggesse l'elenco del telefono; è un peccato che, delle nove sere, lui stia in scena solo la terza: "io posso raccontare, se ci fosse da raccontare una storia io lo farei, ma qui c'è da leggere, il che richiede più tecnica".
In poltrona con bibita e cannuccia

"Poi io non so andare a memoria. Potessi almeno leggere guardando in faccia il pubblico, ma devo sempre tenere gli occhi sul testo. Poi mi agiterei: la platea, il microfono che cade, questi qui sono pazzeschi, come il centrometrista, intorno c'è il terremoto ma loro vedono solo il traguardo e corrono, sono nati per fare quello". Gli attori, nati per correre e per recitare epperò, lamenta Baricco, "diseducati a leggere, a capire un testo. E' questa la scommessa: si può far fare a un attore una cosa che non è recitare?". C'è tutta la mancanza di falsa modestia di Baricco nel pretendere che un attore non reciti, non aggiunga nulla a un testo che l'autore, evidentemente, considera già perfetto:"Noi che scriviamo pensiamo che il lavoro è già fatto".

Non che sentir leggere City a teatro non aggiunga nulla al leggerselo a casa, non sia mai: "Sarebbe come chiedere perché devo vedere Berlino vista da Wim Wenders quando volendo la posso vedere da me". C'è il racconto western, in una delle tre parti di City selezionate per il teatro, e nell'epica western c'è tutto Baricco, e tutte le ragioni per cui il teatro farà il tutto esaurito, tutte le copie vendute e tutti i critici avvelenati:"Un'umanità che è stata spinta sull'orlo di un dirupo, e quindi non ha molto spazio per fare minuetti, decidere chi è buono e chi è cattivo, decidere se amare o non amare. Hanno poche mosse da fare: un pistolero non può mentire, così come gli eroi dell'opera che hanno sempre una guerra che gli esplode alle spalle e hanno un minuto per decidere se stare col fidanzato che è dei nemici o con la mamma che sta morendo ... alla fine, o tiri fuori la pistola oppure no".

Il pubblico lo capisce, deve essere per quello che lo ama. Lui non si vergogna per niente di vendere, dev'essere per questo che la critica lo detesta: "L'ideale sarebbe mettere insieme le cose ... però, dovessi dire qual è più urgente, io preferisco mettere a posto il mio rapporto col pubblico che non quello coi critici. Anche numericamente: quanta gente legge i miei libri?". Preferisce il pubblico, quello che se lo fai divertire ti sta a sentire, e sennò resta a casa: "Se potessero arrivare con Coca-Cola e star lì con la cannuccia in bocca e gli occhi spalancati...". Sembra di vederli. Pronti a comprare qualunque batteria di pentole l'incantatore voglia vendere.

 

Il Nuovo

13/11/2002

 

Baricco, ovvero la parola che suona

 

ROMA - Il cartellone di Romaeuropa Festival si avvia a conclusione con il nuovo progetto di Alessandro Baricco. Lo scrittore torinese, che con Totem ha ideato un nuovo modo di rappresentare la parola scritta, prosegue nella sua ricerca con un progetto complesso e articolato su tre spettacoli (ciascuno avrà tre repliche).

Stavolta si presenta con una compagnia numerosa e dalle competenze diversificate, per una metamorfosi che stavolta riguarda il suo libro "City". Sarebbe riduttivo parlare di reading, ma non si tratta neanche di vero e proprio teatro. Forse qualcosa, come dice Baricco, "...che sta prima del teatro ma al di là del semplice aprire un libro e leggere; uno spazio che ho scoperto facendo Totem e che rimane ancora da esplorare". Lo scrittore ha scelto di occuparlo con cose teatrali (luci, movimento, scenografia) con attori e non-attori, come Stefano Benni, per creare un evento che abbia al centro il gesto del raccontare. Da "City", Baricco ha estratto tre brani da elaborare per il progetto: "Tre storie western", "Il lascito testamentario del Prof. Mondrian Kilroy" e "Ring".

Accurata la scelta dei collaboratori necessari a creare le giuste atmosfere, dalla regista Lorenza Codignola, che ha una grande esperienza nell'Opera, alla coreografa Raffaella Giordano, incaricata di dirigere il movimento scenico, agli attori, scelti al di fuori del contesto teatrale. "Gli attori di teatro-sostiene Baricco- hanno un'impostazione che è difficile togliere e che non era adatta al nostro scopo". Così ecco Stefano Benni, uno dei maggiori scrittori italiani, trovarsi sul palcoscenico a leggere "Il lascito testamentario...". "Si tratta di un saggio sull'onestà intellettuale e ho pensato a lui anche perché legge da dio ed essendo uno scrittore conosce bene la struttura del testo. Inoltre da giovane ha anche fatto l'attore ed ha un buon rapporto con il pubblico". Questa l'unico spettacolo senza musica, mentre per "Tre storie western" sarà il gruppo "electro" francese degli Air ad accompagnare le voci narranti e da questa esperienza nascerà anche un cd. "Gli Air hanno nella loro musica un'idea di tempo, un respiro, che si allineano perfettamente al ritmo della lettura, delle parole. E poi, a volte, aggrediscono con i watt e a me piace aggredire il pubblico, ogni tanto". Il terzo spettacolo "Ring" sarà invece accompagnato dal violoncello di Giovanni Sollima uno dei migliori esecutori e compositori italiani.

Uno spettacolo anomalo forse, ma che va incontro ad un pubblico sempre più coinvolto da questo genere di esperimenti fra letteratura, teatro e musica. "Credo che nei prossimi anni questo tipo di approccio si svilupperà ancora. Si tratta di una sorta di migrazioni collettive del pubblico, momenti in cui l'aspetto narrativo è particolarmente cercato ed apprezzato. Succederà per qualche anno, poi si passerà ad altro. Però bisogna farlo bene. Leggere è una cosa complicata, che va fatta con l'attenzione dell'artigiano. Il suono delle parole è importante quanto il significato".

 

 

La Gazzetta del Sud

14/11/2002


La "City" di Baricco tra suono e leggerezza

di Paolo Petroni

 

Si chiama "City reading project", tre diverse serate, ognuna con tre repliche, basate sulla lettura spettacolarizzata di alcune parti del libro "City" di Alessandro Baricco, ideate dallo stesso autore all'insegna del suono e della leggerezza per il festival RomaEuropa, da oggi al 24 novembre al teatro Valle.

"Bisogna essere leggeri come l'uccello e non come la piuma", replica secco Baricco, citando Paul Valéry, a chi gli chiede se lo spettacolo, oltre che leggero, sarà con o senza sangue. L'allusione è al suo ultimo romanzo, accusato da vari critici, appunto come dice il titolo, di essere "Senza sangue".
I temi lasciano pensare che vita ce ne dovrebbe essere visto che le prime serate vertono su tre racconti western (senza pistole, avverte), le ultime su tre di boxe e quelle centrali su una sorta di saggio conferenza su "L'onestà intellettuale", che la sera del 20 leggerà lo stesso Baricco e le altre due Stefano Benni, "Che legge da Dio, perché conosce la logica di un testo, sa come tenere il pubblico e poi è anche bello da vedere, con quella sua aria da clown triste". Lo scrittore racconta di essere partito dal desiderio di leggere il libro per un'ora e mezzo. Certo che così è noioso! si è replicato da solo. Per questo ha pensato di metterci allora attori, scena, luci, "ma senza fare assolutamente nulla di più di quel che è necessario per far accadere il testo, che è la sostanza della serata, mentre non lo è lo spettacolo".

E poi c'è la musica, con le sue incredibili potenzialità tutte da controllare ("è come guidare un Ferrari") che ha trovato la propria realizzazione grazie al duo parigino degli "Air", con la loro "velocità molto lenta: l'idea che loro hanno del tempo è la stessa che io ho della lettura", i quali hanno capito di non dover mai prevaricare il testo, anche se lo scrittore parla pure, per alcuni momenti, di "aggressione del pubblico a forza di watt". L'idea di Baricco è ancora quella delle parole che divengono suono, da cui erano già nate le serate tatral-televisive di "Totem", di "far suonare un libro e liberarne il testo in campo aperto", il che implica appunto una necessità di leggerezza così che lo scrittore ha chiesto che "tutti gli attori potessero stare in aria, non con i piedi a terra sul palcoscenico, e così saranno sparsi in alto, in posti anche precari, in cui si troveranno un po' indifesi, in bilico, il che mi piace molto, mi sembra abbia un senso". E gli attori sono giovani, scelti attraverso il circuito del cinema, perché quelli di teatro "sono incancreniti in certi loro modi e difetti che volevo evitare"

 

 

Corriere della sera

14/11/2002

 

Storie di cowboy e pugili

Si chiama «City reading project» e prevede al Valle tre diversi spettacoli, ognuno con tre repliche, basati sulla lettura spettacolarizzata di alcune parti del libro «City» di Alessandro Baricco, anche ideatore del programma per il festival RomaEurop a. Da oggi a sabato andranno in scena «Tre storie western» («Caccia all' uomo» per tre voci; «Bird» per voce registrata di Baricco; «La puttana di Closingtown» per due voci) sempre con musica dal vivo eseguita dal duo AIR (Nicolas Godin, Jean-Benoît Dunckel).

Dal 18 al 20 novembre si vedrà «Il lascito testamentario del prof. Mondrian Kilroy» (che comprende «Saggio sull' onestà intellettuale» per voce sola con Stefano Benni e Baricco che si alterneranno, e «Ring»).

Dal 22 al 24 novembre storie di boxe: «Wizwondk» per tre voci, «Vram» per voce registrata, «Radio KKJ» per due voci, musica dal vivo di Giovanni Sollima, con un intervento finale di Alessandro Baricco. Lo scrittore racconta di essere partito dal desiderio di leggere il libro per u n' ora e mezzo. «Certo che così è noioso!», si è replicato da solo. Per questo ha pensato di utilizzare attori, scena, luci, «ma senza fare assolutamente nulla di più di quel che è necessario per far accadere il testo, che è la sostanza della serata, mentre non lo è lo spettacolo». E poi c' è la musica, che ha trovato la propria realizzazione grazie al duo parigino degli «Air», con la loro velocità molto lenta: «L' idea che loro hanno del tempo è la stessa che io ho della lettura».
Puntando alla leggerezza, lo scrittore ha chiesto che «tutti gli attori potessero stare in aria, non con i piedi a terra sul palcoscenico, e così saranno sparsi in alto, in posti anche precari, in cui si troveranno un po' indifesi, in bilico». E gli attori sono giovani, scelti attraverso il circuito del cinema, perché quelli di teatro, a giudizio di Baricco, «sono incancreniti in certi loro modi e difetti che volevo evitare»

 

 

Corriere della Sera 

16 novembre 2002)

Fermi e che nessuno si muova: c’era una volta il Baricco-West

Emilia Costantini 

“Il testo viene rispettato alla lettera, con l’unica variante che, mentre nel libro le storie con i loro personaggi si intersecano, come le strade nei quartieri di una città, snocciolate nell’evoluzione del romanzo dall’inizio alla fine, nello spettacolo l’autore le contrae, restituendole compiute in se stesse in uno sviluppo più breve. Un progetto che vuole essere evento, ma che nulla ha a che fare con uno spettacolo teatrale, e forse non vuole esserlo. Proprio Baricco non ha voluto attori di teatro: e infatti coloro che sono in palcoscenico si limitano a “dire” il testo, senza interpretarlo, fermi, immobili nell’impercettibilità di pochi gesti. E le reazioni in sala sono le più disparate. Ancora una volta Baricco crea clamorosi contrasti: c’è chi si addormenta in poltrona, chi ascolta rapido e attento, chi mostra il suo dissenso esplicitandolo a voce alta con un “che sonno!”, oppure abbandonando la poltrona. Ma alla fine gli applausi scrosciano puntuali: un altro trionfo, Baricco ha fatto centro un’altra volta”.
(Emilia Costantini, 

 Il Foglio

22 novembre 2002

Bariccobaldo Show

Guia Soncini

“[Baricco, ndr] ha fatto uno spettacolo che piacesse al pubblico – ma davvero, non solo per quel feroce virus che è il bisogno di sentirsi intelligenti. È stato didascalico quel che serve a far arrivare un gesto dal palco all’ultima fila della platea, ha tirato le fila dei dialoghi apparentemente inconcludenti come sapeva fare solo Jerry Seinfeld, ha messo in scena uno spot azzecatissimo, se questi sono i suoi libri, vado immediatamente ad acquistarli in blocco all’apposito banchetto qua fuori. Però neanche aveva cominciato che quelli già ridevano. Intellettuali, gente che non si accontenta di ridere a tempo: vuole ridere un attimo prima del vicino”.

Avanti!

21 novembre 2002

Com’è noiosa la “City” di Alessandro Baricco

Carla Rinaldi


“Quando si rischia così tanto, quando si ha la presunzione di intrattenere una platea con una scena statica e senza azione, bisogna investire in grandi talenti che sappiano narrare una semplice storia. Sperimentare va bene, ma sperimentare con attori carenti nella dizione, nell’espressività, che non riescono a coinvolgere perché privi di slanci vocali ed espressivi, non va bene e per questo, non si meravigli l’asso Baricco, se la platea si muove, si agita, sbadiglia e si alza continuamente regalandogli solo uno scrosciante applauso finale apologetico ma privo di reale apprezzamento”.

City Reading Project su la Repubblica

 


Così trasformo il mio libro in concerto

Repubblica — 09 novembre 2002   pagina 46   sezione: SPETTACOLI

ROMA - Non sono molti gli scrittori, soprattutto italiani, che come lei, Baricco, hanno un rapporto così assiduo con il teatro. «In realtà di teatro ne ho scritto poco ma ne ho fatto molto, con Totem. E questa è una nuova prova che a Totem va collegata. Scrivere è un lavoro solitario e mi piace, ma andare davanti al pubblico è una cosa forte, mi ridà passione, mi rimette in circolo, mi aiuta a non restare freddo e cinico. Totem è stata un' esperienza di intensità particolare e diretta, ha stupito tutti il risultato sproporzionato rispetto ai mezzi utilizzati: un paradosso che ha continuato a frullarmi in testa. Mi ha indicato una direzione possibile di ricerca. In questo senso, ho pensato che si poteva allestire un "reading", con una voce e mezzi semplici cercando la stessa intensità di Totem. Non a caso nel titolo l' ho chiamato "project", è un passaggio come era Totem all' inizio». Stavolta però ha scelto un libro suo, City, e inserisce la lettura dentro una struttura teatralmente più ricca. «City si presta bene: è un libro lungo costruito con pezzi brevi, quindi è smontabile. Senza sangue è invece come un 45 giri, con un pezzo per facciata. Ho scritto una versione teatrale prima della storia western e poi di tutto City, e l' ho intitolata The clockmaker. L' ho fatta leggere a Luca Ronconi e mi ha detto che in Italia non avrei trovato gli attori adatti a farlo. Per un progetto come City il problema è proprio questo: con quali attori? Con quali voci? Con che stile? Quando gli scrittori ascoltano un "reading" dei propri libri hanno una sensazione sgradevole, non ci si riconoscono. E' come per un regista teatrale non trovare l' attore giusto». Come ha selezionato le parti del romanzo da portare in scena? «Ho scelto le parti che potessero "sopravvivere alla voce", quindi abbastanza narrative e figurative, con poche riflessioni e molte immagini. Poi le ho selezionate in base alla composizione con il resto, con le musiche». A proposito di musiche, saranno eseguite dal vivo? «Sì. La musica dà forza alla lettura, ammesso che non la sbagli. E anche questo l' ho imparato con Totem. Quindi con i due Air, Nicolas Godin e Jean-Benôit Dunckel, ho studiato e lavorato molto a Parigi e mi sembra che abbiano composto i pezzi giusti. Da parte loro ho trovato molta disponibilità, tanto più che avevano già un' idea analoga: e non è detto che la nostra collaborazione finisca qui. Mi piacciono perché hanno la mia stessa idea di tempo: una lentezza molto ricca, come succede nella lettura». E la presenza di Giovanni Sollima? «Suonerà il violoncello dal vivo. Mi piace il suo modo di comporre alla ricerca di emozioni e sentimenti e non come puro esercizio intellettuale. Avevo ascoltato un suo lavoro sulla voce che mi ha affascinato per l' uso del canto e per il montaggio. A entrambi, Air e Sollima, ho chiesto anche un pezzo puramente musicale, come un singolo, in cui si elabori la voce in modo da non tenere conto della comprensione del testo. Gli Air hanno scelto la mia voce che legge un brano su un pistolero, Sollima ha scelto la parte sul pugilato». Perché ha coinvolto un suo collega scrittore come Stefano Benni, ma fuori ruolo, come voce recitante? «Anni fa lo sentii leggere Gadda e mi impressionò molto. Benni è uno scrittore, quindi come "attore" ha una istintiva comprensione del testo, ne capisce l' architettura. E poi ha un bel rapporto con il pubblico e una sua diversità, un modo tutto suo di essere riconoscibile. Credo che in gioventù abbia studiato recitazione, ha una bella impostazione». Molti critici letterari la accusano di fare meta-romanzi, senza passioni, "senza sangue" ha detto qualcuno citando il titolo del suo ultimo libro. Questo sangue lo cerca in teatro? «Ho molte difficoltà a capire cosa sto facendo quando scrivo libri, ma mi pare che anche i critici ci capiscano poco. Alla fine, mi diverte anche vederli così in difficoltà. E mi piace stare su un terreno che non ha definizione. Non credo però che Senza sangue sia senza forza e non credo di dover cercare forza a teatro. Si fa teatro per cercare un' altra forma di vita della medesima invenzione». - ALDO LASTELLA

in scena

Repubblica — 09 novembre 2002   pagina 46   sezione: SPETTACOLI

Dopo la fortunata esperienza di "Totem", Alessandro Baricco ci riprova e rilancia. Torna al teatro con un progetto che è anche una nuova sfida: a se stesso, al pubblico e alle possibilità di trovare forme espressive diverse. Stavolta Baricco parte da un suo libro, "City" (uscito nel ' 99, oltre 500mila copie vendute), che, con l' aiuto di molti sodali (Stefano Benni, Michele Dall' Ongaro, Lorenza Codignola, il duo musicale francese Air, il compositore-violoncellista Giovanni Sollima e tanti altri) si trasformerà sul palco in parole, suoni, musica, immagini. Ufficialmente è un "reading", una lettura; verosimilmente sarà qualcosa di più complesso che si snoderà per nove serate (dal 14 al 24 novembre) al Teatro Valle di Roma nell' ambito del festival RomaEuropa (che lo produce). Il "City Reading Project" è strutturato in tre parti (ciascuna replicata per tre sere), che non coprono tutto il romanzo. La prima parte (a sua volta divisa in tre "movimenti") è dedicata alla storia western. La seconda al "Saggio sull' onestà intellettuale" del professor Mondrian Kilroy (che il 20 vedrà sul palco Baricco e Benni insieme). La terza (altri tre "movimenti") alle avventure del pugile Larry Gorman. Cosa succederà è quasi un mistero: ne abbiamo parlato con l' autore.

 

 

Concerto di parole in nove serate firmato Baricco

Repubblica — 14 novembre 2002   pagina 10   sezione: ROMA

«I palchi sono i posti migliori, in questo spettacolo. Infatti gli attori stanno sospesi in aria. E c' è un motivo. Nel passaggio dalla parola scritta al suono ho voluto sollevarli, renderli anche fisicamente parte di una trasformazione. Dare il senso della leggerezza. Che vuol dire - citando Valéry - essere come l' uccello, non come la piuma»: Alessandro Baricco presenta «City reading project», versione teatrale del suo romanzo da mezzo milione di copie vendute, tradotto in ventidue lingue e ora in scena in forma, evidentemente, di lettura per «nove notti cento pagine», al Teatro Valle da questa sera fino a domenica 24, per il gran finale del Romaeuropa festival che di questo lavoro ha curato la produzione. Il «City reading project» è concepito con tre serate diverse, basate sulla lettura spettacolarizzata di alcune parti del libro. Baricco ha selezionato gli incisi narrativi di City, piccoli racconti incastonati nel racconto: le prime tre serate sono dedicate alle storie western («Ma non aspettatevi di sentire sparatorie»), le tre finali sono storie di boxe, quelle centrali dedicate al «Lascito testamentario del professor Mondrian Kilroy», «una sorta di saggio-conferenza sull' onestà intellettuale, a cui tengo molto» che sarà letto da Stefano Benni («Conosce la logica di un testo, sa come tenere il pubblico, ed è anche bello da vedere con la sua faccia da clown triste») e poi da Baricco stesso. C' è da aspettarsi qualcosa di nuovo rispetto all' orchestrazione di parole a cui lo scrittore torinese ha abituato i suoi fedelissimi con lavori come il «Totem» televisivo realizzato con Gabriele Vacis. Baricco ha chiamato per questa occasione Lorenza Codignola alla regia e Raffaella Giordano per la parte coreografica. E ha aggiunto un duo di musicisti francesi, gli Air, autori delle musiche originali dello spettacolo (sono gli stessi della colonna sonora del Giardino delle Vergini suicide di Sofia Coppola). Gli attori "sospesi" sono tutti under trenta, provengono da esperienze di spettacolo disparate e sono stati assoldati attraverso un "finto" casting cinematografico: «Volevo evitare gli attori di teatro, troppo incancreniti in certi loro modi e difetti». Avviso finale: la lettura live di libri è importante ma «deve indicare una strada, essere l' inizio di un gesto che poi deve andare più in là». Parola di Alessandro Baricco. Questo lo schema delle serate. «Tre storie western» è in scena il 14, 15, 16 novembre alle 21; tre i quadri: «Caccia all' uomo», «Bird», «La puttana di Closingtown», per voci e live music con Moira Grassi, Tatiana Lepore, Alessandra Casali, Simone Gandolfo, Sara Valbusa. «Il lascito testamentario del prof. Mondrian Kilroy», il 18 e 19 novembre alle 21 con Stefano Benni; il 20 novembre con Alessandro Baricco, alle 21. «Ring» è in scena il 22 e 23 novembre alle 21 e il 24 alle 17. Sono tre quadri: «Wizwondk», «Vram», «Radio KKJ», per voci e live music. Con Michele Dall' Ongaro, Antonio Conte, Simone Gandolfo, Roberto Stocchi, Sara Valbusa. Info: 800795525; 06.4742308. Biglietti: 33, 28 e 22 euro. - FRANCESCA GIULIANI

 

 

Storie da vecchio West nel teatro di Baricco

Repubblica — 16 novembre 2002   pagina 42   sezione: SPETTACOLI

ROMA - Il debutto del City Reading Project ideato da Alessandro Baricco al Teatro Valle nel quadro di Romaeuropa Festival 2002 è basato su tre spezzoni avventurosi e bruschi del libro "City", su tre movimenti sonori di fluxus elettronico, su cinque tecniche d' un mettere in voce wilsoniano più un monologo registrato beckettiano. In effetti i realizzatori, lo stesso Baricco, la regista Lorenza Codignola e la coreografa Raffaella Giordano nella messa in scena di questo inedito western hanno ottenuto che non si recitasse ma, a dispetto del titolo-manifesto, il primo dei tre appuntamenti che si articoleranno in nove notti non è stato un reading, una lettura nel senso più inglese del termine. Posti su tre pedane sghembe, gli attori non hanno letto, ma detto, evocato, scandito a memoria alcuni paragrafi del romanzo di storie di Baricco del 1999, rivolgendosi sempre al pubblico come se leggessero, un po' come certi interpreti del teatro irlandese (pensiamo a McPherson). E questo procedere fondato su varie forme di "largo" narrativo con lievi fratture jazzistiche s' è connesso sempre bene alle sequenze live dei due Air, Nicolas Godin e Jean-Benôit Dunckel, l' ala più colta della musica dance francese. La prima terna di serate è dedicata, in base a un nuovo disegno dell' autore, al linguaggio western in cui "City" volentieri indulge, con percorso inverso, qui, a quello cronologico del libro. Il sottoparagrafo iniziale è "Caccia all' uomo", e tratta le incessanti e meticolose pagine di un pedinamento nelle praterie e nei villaggi che segue all' orrida uccisione di un ragazzo undicenne: la fantasia di Shatzy, l' anima descrittrice cui Baricco s' affida, struttura un duello infinito tra sceriffo e indiano sospetto, una spirale di avvistamenti e di tragitti cui danno voce al femminile la pragmatica Tatiana Lepore, la fabulatrice Moira Grassi e la "contorsionista" Alessandra Casali. Poi è la volta di "Bird", e il palcoscenico è al buio tranne una fioca lampadina che pende in mezzo, e non c' è nessuno tranne l' amplificazione di un brano degli Air e di un a solo registrato, coi timbri e la calma di Baricco. In questo caso è il ritratto di un vecchio pistolero pieno di fascino, cui Shatzy promette un modo bellissimo di morire. La terza tranche è "La puttana di Closingtown", con interventi di una straniata Sara Valbusa e di un conciliante e giovane Simone Gandolfo, con gli Air sempre a ridosso: ora la crudezza si sposta verso orizzonti trash, con il racconto raccapricciante di una prostituta stuprata con una pistola e uccisa da cinque proiettili nel sesso. Un' ora e dieci in tutto, che il pubblico mostra di apprezzare molto. Un' esperienza seria, non dandistica, che promette bene anche per i prossimi capitoli. - RODOLFO DI GIAMMARCO

 

 

Va in scena il duo Benni-Baricco e la letteratura si fa teatro di lettura

Repubblica — 18 novembre 2002   pagina 6   sezione: ROMA

«In un' altra vita saremo onesti, saremo capaci di tacere». La scritta è in corsivo sulla lavagna nera. La lavagna nera è sospesa a mezz' aria alle spalle di una specie di torre di guardia dove c' è una sedia come quelle di scuola con lo schienale di formica chiaro, e c' è un leggio di metallo. La scena è accesa di luce bianca. Intorno c' è molto buio e poche persone che si muovono sagge e rapide come gatti seguendo le leggi misteriose del teatro. Sotto lo sguardo di Alessandro Baricco da solo in piedi in platea, Stefano Benni, pantaloni e camicia neri, chioma bianca, sale sull' impalcatura, si siede, allunga le gambe e legge: «Non si chiede a un' intellettuale di essere onesto. Come non si chiede a un cieco di andare al cinema. L' onestà intellettuale è un ossimoro». è un teatro fatto da scrittori, il secondo capitolo del «City reading project» di Alessandro Baricco in scena al Teatro Valle per il Romaeuropa Festival, una messa a nudo del testo, sessanta minuti di parole per voce sola sotto il titolo «Il lascito testamentario del prof. Mondrian Kilroy - Saggio sull' onestà intellettuale». Domenica pomeriggio mentre fuori piove si prova. Poi lunedì e martedì è Benni che legge Baricco, mentre mercoledì Baricco legge Baricco, con festa (realizzata con Cultnet Italia) nel foyer. «I pensieri di Mondrian Kilroy mi somigliano. Mentre scrivevo pensavo spesso che avevano a che fare con il suono della voce», spiega l' autore di «City», romanzo da mezzo milione di copie, tradotto in ventidue lingue. Per le tre serate di monologo (18, 19 e 20; poi il 22, 23 e 24 è la volta di «Ring», storie di boxe), l' autore-regista ha scelto le pagine in cui le vicende dei personaggi si fermano per lasciare spazio alla riflessione, in una di quelle digressioni teoriche che si studiano sui manuali di letteratura e che quasi sconfina nel racconto morale, dove si dice dell' onestà intellettuale ma soprattutto della sua impossibilità. L' autore nella finzione è Mondrian Kilroy, stralunato professore del protagonista di «City», piccolo genio solitario dal nome di pianista, Gould. «Benni conosce la lettura in pubblico. Conosce i ritmi e le pause del testo. è come un meccanico che guarda dentro una macchina, la conosce, anche se non è la sua. E poi trovo che con quella faccia da clown triste sia identico a Kilroy», aggiunge Baricco. Benni prova, va fino in fondo, volteggia sull' impalcatura e, in un momento di pausa, dice: «Uno scrittore che legge sa essere dalla parte del testo. Ne ha rispetto. Anche se magari confrontato ad un attore ha qualcosa in meno. La dizione, la tecnica. Il pubblico, lo dico per esperienza di decine di letture nei centri sociali, nei festival, nei teatri di tutt' Italia, recepisce volentieri anche se capisce che non sta guardando Laurence Olivier. La gente di fronte a uno scrittore avverte un' energia diversa». Alle luci e alla regia mettono a punto i dettagli, dosano l' angolatura di ogni riflettore. Stasera in scena c' è una lavagna, una sedia, un leggio di metallo e un signore vestito di nero. Il teatro fatto di letteratura, doppia magia. - FRANCESCA GIULIANI

 

 

Per Baricco un disco con gli Air

Repubblica — 22 marzo 2003   pagina 49   sezione: SPETTACOLI

PARIGI - Alessandro canta, dicono gli Air. Baricco smentisce. Al "City reading" in forma di cd (uscito venerdì, dopo essere stato uno degli spettacoli del RomaEuropa Festival 2002) non ha potuto dire di no. «Lo abbiamo un po' forzato» dicono Nicolas Godin e Jean-Benoit Dunckel, cui Baricco aveva chiesto di comporre per lo spettacolo. Usciti dal teatro gli Air hanno proposto il cd (per la loro label Record Makers) e così lo scrittore ha debuttato in sala d' incisione. Ha letto "Tre storie western" tratte dal suo romanzo "City". Nello spettacolo teatrale (che sarà riproposto in un tour estivo) Baricco non era in scena. Le sue storie le leggevano attori. Ora dice che non gli piace riascoltare la sua voce, come non gli piace rivedersi in tv. Alessandro canta, ribadiscono gli Air. «Per uno straniero, l' italiano ha la stessa musicalità che per noi ha il napoletano» dice lo scrittore. Il suo non è un canto, ma le tre storie (il vecchio pistolero Bird, Fanny la puttana di Closingtown e lo sceriffo assassino Wister) scorrono, appassionanti e intense come canzoni. Le musiche non sono country né Morricone («Che pure ammiriamo moltissimo» dicono gli Air), ma accompagnano perfettamente le tre storie western. Poche tastiere, molti strumenti acustici, veri. «Non è solo un cd» dicono gli Air «A noi sembra un un film». Quando Baricco è arrivato a Parigi per proporre loro lo spettacolo, Godin e Dunckel non sapevano neanche chi fosse. E se "City" non vi fosse piaciuto? «Ci è piaciuto il suono della sua voce. Crediamo negli incontri di energia e lui era una persona vibrante». «Mi sono piaciuti perché non erano "soft"» dice lo scrittore «Di solito le letture si fanno con musiche sentimentali; la loro è molto diversa, ma ha per me caratteristiche ideali. Costruiscono la musica con una lentezza che non perde energia per strada, e questa è la stessa cosa della lettura. Poi hanno un tratto epico, e anche questo era quel che ci voleva». Il disco esce ovunque (negli Usa con l' etichetta di "Parental advisory", per adulti) in lingua originale. Non avreste potuto riproporlo con attori francesi? «Tradurlo lo avrebbe snaturato, tanto più che in Francia avrebbero pensato che faceva tanto Gainsbourg». (laura putti)