lezione 21

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Il professor Kilroy da City a Lezione ventuno


 

Naturalmente il professore è pazzo, o comunque è piuttosto strano, per cui la lezione non è una lezione classicamente accademica, universitaria. È più che altro un viaggio della fantasia, dell’intelligenza e anche del sapere, e anche, in un certo modo, della saggezza. 

Dal Backstage di Lezione ventuno

Presentazione del prof. Mondrian Kilroy - Scena 1
Kilroy & Kilroy
Il professor Mondrian Kilroy in City
Martha introduce e commenta un frammento filmato della lezione 21 - Scena 6
Ricostruzione della lezione 21: il testamento di Hailigenstadt - Scena 8 
Conversazione sul prof. Mondrian Kilroy e il bordello - Scena 9
Racconto di Martha sul bowling abbandonato - Scena 11
L'ultima lezione del prof. Mondrian Kilroy - Scena 14

Presentazione del prof. Mondrian Kilroy

Scena 1 - Kilroy

Voce fuori campo di Martha mentre scorrono foto sulla vita e gli studi del professore

– Possono dirvi ciò che vogliono, ma la verità è che all’università di Packard non si era mai visto nessuno col fascino e l’intelligenza del professor Mondrian Kilroy.

Di sicuro molti se lo ricordano soprattutto per certi bizzarri atteggiamenti con cui rese difficile il suo rapporto con le istituzioni accademiche e con molti dei suoi colleghi. Ma per la maggior parte di noi, che siamo stati suoi allievi, il suo nome resta legato alla meravigliosa anomalia delle sue lezioni.

Per anni, ogni lunedì, e sempre alla stessa ora, il professor Mondrian Kilroy è entrato nell’aula, che oggi porta il suo nome, per raccontare agli studenti la follia delle sue ricerche.

All’inizio, come è noto, si era buttato sullo studio degli oggetti curvi. Era convinto che in essi fosse nascosto il segreto dell’universo.

Scrisse quei suoi formidabili saggi sulla dinamica delle onde, sulla circolarità del messaggio biblico, e sul peso specifico dell’uovo sodo.

Poi, nel 1984, dopo una fallimentare settimana bianca ad Aspen, concepì un progetto cui dedicò tutti i suoi ultimi anni: stilare un catalogo completo delle opere d’arte che erano state vergognosamente sopravvalutate.

“Falsi capolavori”, le chiamava. Sosteneva che ce ne fossero 141.

Credetemi, ogni sua lezione in quegli anni era memorabile.

Dovevate sentire come faceva a pezzi Moby Dick, o Emily Dickinson, ma soprattutto avreste dovuto sentire la più bella delle sue lezioni: quella che lui chiamava “Lezione ventuno”.  

Mentre la voce di Martha presenta il professor Kilroy e le sue ricerche, scorrono, in coda alle foto sulla vita universitaria del professore, le foto della sua stanza da bagno ingombra di libri, riproduzioni kitsch di opere d'arte e ritagli di immagini dei 141 capolavori sopravvalutati attaccati alle pareti.  

L'ultima immagine è lo spartito della Nona sinfonia di Beethoven

Kilroy & Kilroy

Nel passaggio da Ciy a Lezione ventuno, il personaggio del professor Kilroy subisce qualche lieve  adattamento.

In City, era solito girare per l'università in pantofole, mentre in Lezione ventuno si vede una suo foto in pigiama, tra colleghi in giacca e cravatta.

Martha cita  tra le sue ricerche dei tempi in cui si era buttato sullo studio degli oggetti curvi, convinto che in essi fosse nascosto il segreto dell’universo, i suoi formidabili saggi sulla dinamica delle onde, sulla circolarità del messaggio biblico, e sul peso specifico dell’uovo sodo, mentre non vi è alcun riferimento alla lezione 11 sulle Nimpheas di Monet di City.

I riferimenti temporali contenuti in City e in Lezione ventuno, per quanto non esattamente sovrapponibili, sono in qualche modo compatibili e consentono di collocare il personaggio del professore in un contesto di contiguità tra le due opere.

L'inizio delle vicende di City è ancorato al 1987, nel giorno del tredicesimo compleanno di Gould. Gould si era laureato a undici anni, quindi nel 1985, e, nel periodo tra il ricovero della madre in clinica psichiatrica e all'arrivo nella sua vita di Shatzy Shell, nel 1987, aveva vissuto in due stanze al college dell'università. 

Gould comunque, dato che, tecnicamente parlando era un genio, frequentava l'ambiente universitario dall'età di sei anni, quindi dal 1980, quando l'avevano portato via dalla scuola elementare dove per sei giorni aveva cercato di sembrare normale, e l'avevano affidato a un'équipe di ricercatori universitari. Il primo incontro tra il professor Kilroy e Gould, nell'aula 6, mentre il professore piangeva, avviene in una data compresa tra il 1985 e il 1987, in quanto il professore conosceva già di fama il ragazzino laureatosi a undici anni e quella storia orrenda della madre e in quanto la storia del primo incontro tra Kilroy e Gould e della lezione 11 è raccontata in City come un'analessi.

In Lezione ventuno il professor Kilroy  concepisce il progetto cui dedicò tutti i suoi ultimi anni: stilare un catalogo completo delle opere d’arte che erano state vergognosamente sopravvalutate, dopo una fallimentare settimana bianca ad Aspen, nel 1984.
Le foto della stanza da bagno con le pareti tappezzate di ritagli in Lezione ventuno ritraggono un bagno in stile italiano, di  moda tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta.

Si può giocare a cercare collegamenti apocrifi tra Lezione ventuno e Cityseguendo il personaggio/strada del professor Kilroy che, non solo attraversa più storie/quartieri di City, ma addirittura prosegue il suo percorso secondo una traiettoria che parte da da City  e approda in Lezione ventuno, in linea con l'idea di Baricco che, ne I barbari, parla del libro come un sistema passante di traiettorie originate e dirette altrove.

 

D'altronde, per Baricco, il professor Kilroy gode di una sua vita fuori da City, ancora prima di tornare in scena in Lezione ventuno.

Nell'intervista  sulla televisione spagnola Telecinco, dove Kay Rush conduce, fino al settembre del 2004, il programma Nonsolomusica, Baricco ripercorre i passi della sua carriera artistica, dagli inizi fino al disco con gli Air, soffermandosi in particolare su City , sul City reading project e sul suo rapporto con il professor Kilroy.

 
 

KR - Tu sei un po' lui? 

AB - Sì: lui è la parte più morale di me.  Lui è molto rigoroso... Io invece non vomito, ma sto male. Mi è successo, anche di avere disturbi psicosomatici, ma non arrivo a vomitare. Lui invece vomita. È una parte di me.

Poi  lui è vecchio;  c'è questa imitazione della vecchiaia, che io non so ancora di preciso come sarà, ma è l'intuizione di cosa potrà essere.  E... mi piace. Infatti, quando ho aperto questa Associazione, ho pensato a lui e ho usato il suo nome. Perché avere in mente che c'è lui aiuta a non rincoglionire troppo. Mi piace rifarmi a lui. Anche se è un personaggio, non è uno vero.

KR -Salinger parlava di Holden come di una persona vera, credeva un po' nei suoi personaggi ,come se fossero veri . Tu  non hai questa fissa? Mondrian è un personaggio; parli di lui come se esistesse.

AB - In genere no, non c'ho questa follia. Lui è un caso un po' particolare perché sono molto affezionato a lui.  Poi, facendo questa associazione, abbiamo inventato tutta una vita a questo Mondrian Kilroy. Ho  fatto scrivere a dei miei allievi la storia della moglie, perché facciamo delle borse di studio, e le abbiamo intitolate alla moglie di Mondrian Kilroy, che nel libro non c'è, e si chiama Emma Kilroy. Allora un mio allievo ha scritto tutta la storia d'amore tra lei e lui.

Quindi è un personaggio che è un po' è cresciuto nel tempo.

Poi l'ho portato anche a teatro, con questo suo saggio sull'onestà intellettuale, per cui, in questi anni, lui è stato abbastanza presente.  Per questo ogni tanto ne parlo come se fosse uno vero, ma di solito questa forma di follia non ce l'ho.

Nel corso dell'intervista, Baricco dice anche:
noi passiamo molto tempo a costruire lo spazio, il paesaggio in cui poi posiamo la nostra storia, e poi Il paesaggio non si vede più tu vedi solo la storia, quando leggi un libro, ma in realtà molta della nostra fatica è fatta per costruire una cosa che non vedranno mai quelli che poi leggono o ascoltano. Si intuisce molto bene, perché si capisce che c'è qualcosa di diverso, di forte tecnicamente. Non riesci a vederlo. D'altra parte facciamo molto per nascondere tutto, però è molto del nostro lavoro. Pensa alle cose che noi non scriviamo

In quest'ottica si si può ricostruire la carriera accademica del professor Kilroy, tra City e lezione ventuno, nella considerazione che Baricco, dal canto suo, avrà costruito e nascosto tutta una vita per il suo professore preferito.

La lezione 11 sulle Ninfee di Monet si può collocare a partire da un periodo successivo alla data del 14 giugno 1983, citata nella lezione stessa, e si può immaginare che il professore continui a tenere la lezione durante il tempo delle vicende di City.
Nel gioco si può quindi affermare che il professor Kilroy di City teneva la lezione 11 sulle Ninfee di Monet, mentre il professor Kilroy di Lezione ventuno aveva già orientato i suoi studi alla catalogazione dei capolavori sopravvalutati. Si può anche ipotizzare che per un periodo collocabile tra il 1985 e il 1987 e oltre, il professor Kilroy del gioco possa avere tenuto sia la lezione 11, sia la lezione 21.
Le vicende di City si fermano tra il 1989 e il 1990. Gli studenti del professor Kilroy in Lezione ventuno potrebbero non avere mai incontrato Gould e mai ascoltato la lezione 11.

Lo schema delle lezioni 11 e 21 è pressoché sovrapponibile. La lezione 11 è raccontata da una voce narrante. La lezione 21 è raccontata da Martha nella ricostruzione che ne fa insieme ad altri studenti del professore. Il professor Kilroy di City racconta la genesi delle Ninfee come tentativo di Monet di dipingere il nulla, un vuoto capace di ritrarre l'occhio impossibile che in esso specchia l'assurdo del dolore. Il professor Kilroy di Lezione ventuno racconta la genesi della Nona da parte di un Beethoven che per dieci anni non aveva fatto altro che sprofondare nel vuoto del suo inferno. Il Monet della lezione 11 dipinge le sue ninfee, chiuso nel suo studio senza vederle, affidandone la percezione alla memoria e non all'approccio diretto della vista.  Beethoven compone la nona sinfonia nel silenzio della sua sordità, affidando alla memoria la percezione delle note.
Nella lezione 11, il momento epifanico, cui è affidata la rappresentazione dell'autentico che la lezione 
intende comunicare, è descritto con il racconto di una storia: quella della giapponese sulle stampelle. La lezione 21 affida il suo momento epifanico alla storia del professore di musica suicida nella neve.

Anche il ritmo tra pause e frasi ad effetto delle due lezioni di Kilroy è riconducibile a una sorta di identità del personaggio.

A un certo punto della lezione 11 di City, il professore si interrompe:

- Mi scuso, la prostata chiama -, era solito dire il prof. Mondrian Kilroy giunto a questo punto della sua lezione n. 11. Guadagnava il bagno e ne tornava pochi minuti dopo, visibilmente sollevato.

Durante la lezione 21:

– Potete anche non crederci, ma il professor Mondrian Kilroy a questo punto faceva un rutto. Cioè, lo faceva proprio lui, sul serio. Gli veniva abbastanza bene.

Nel 1984, quando il professor Kilroy di Lezione ventuno concepisce il progetto i catalogare i capolavori sopravvalutati, il professor Kilroy di City si trovava in piena fase di lavorazione del Saggio sull'onestà intellettuale. A causa degli studi collegati al saggio, oltre a piangere, in City, il professor Kilroy aveva iniziato a vomitare, di tanto in tanto. Al saggio, Kilroy aveva lavorato per quattordici anni, senza mai prendere un appunto. Poi, un giorno, quando, aveva capito di aver capito, lo aveva scritto, in piedi, in due minuti. 

Al di là di ogni gioco che Baricco spinge a fare tra le due opere, anche il Saggio sull'onestà intellettuale, come la lezione 11 sulle Ninfee di Monet, si pone in una relazione di contiguità tematica con gli argomenti della lezione 21 sulla Nona di Beethoven.

Il professor Mondrian Kilroy in City

Gould aveva ventisette professori. Quello che preferiva, comunque, era Mondrian Kilroy. Era un uomo di una cinquantina d'anni, con una strana faccia da irlandese (non era irlandese). Portava sempre ai piedi delle pantofole di panno grigio, così tutti pensavano che vivesse lì all'università, e qualcuno che fosse nato lì. Insegnava statistica.
Una volta Gould era entrato nell'aula 6, e seduto in un banco qualunque ci aveva trovato il prof. Mondrian Kilroy. La cosa strana era che stava piangendo. Gould si sedette qualche banco più in là, e aprì i suoi libri. Gli piaceva studiare nelle aule vuote. Di solito non ci trovava professori che piangevano. Mondrian Kilroy disse qualcosa piano, e Gould rimase un po' in silenzio poi rispose che non aveva capito. Allora Mondrian Kilroy parlò voltandosi verso di lui, e disse che stava piangendo. Gould vide che non aveva fazzoletti in mano, o cose del genere, e che aveva il dorso delle mani bagnato, e le lacrime che gli colavano fin dentro il colletto di una camicia blu. Vuole un fazzoletto?, chiese. No, grazie. Vuole che le porti qualcosa da bere? Meglio di no, grazie. Continuava a piangere, su questo non c'era dubbio.
Per quanto insolita, la cosa non era da considerarsi completamente illogica, dato l'indirizzo che da alcuni anni avevano preso gli studi del prof. Mondrian Kilroy, vale a dire la natura delle sue ricerche, le quali, da alcuni anni, si erano appuntate su una materia di studio piuttosto singolare, vale a dire: lui studiava gli oggetti curvi. Non si ha idea di quanti oggetti curvi esistano, e solo Mondrian Kilroy, seppur per approssimazione, ne sapeva stimare l'impatto sulla rete percettiva dell'uomo, e, in definitiva, sulla sua disposizione etico-sentimentale. In genere gli riusciva difficile focalizzare la questione in presenza dei colleghi, spesso propensi a giudicare simili ricerche esageratamente laterali (qualsiasi cosa volesse significare una simile espressione). Ma era sua convinzione che la presenza di superfici curve nell'indice dell'esistente fosse tutt'altro che accidentale, e anzi rappresentasse in qualche modo la via di fuga attraverso cui il reale sfuggiva al suo destino di struttura forte, ortogonalmente organizzata, e fatalmente bloccata. Era ciò che, in generale, rimetteva in movimento il mondo, per usare i termini precisi dello stesso prof. Mondrian Kilroy. Il senso di tutto ciò emergeva abbastanza chiaro e comunque in forma indubitabilmente curiosa dalle sue lezioni, e in alcune di esse in particolare, e con inusuale nitore in una, quella nota come lezione n. 11, dedicata, per la precisione, alle Nymphéas di Claude Monet.

[...]

Da quel I4 giugno I983, la vita del prof. Mondrian Kilroy inclinò a una certa malinconia, coerentemente alle sue convinzioni teoriche che, dall’analisi delle Nymphéas di Monet, avevano concluso l’oggettivo primato della condizione del dolore come conditio sine qua non di una superiore percezione del mondo. Si era convinto che la sofferenza fosse l’unica via capace di condurre al di là della superficie del reale. Era la linea curva che dribblava l’ortogonale struttura dell’inautentico. Peraltro, il prof. Mondrian Kilroy aveva una vita felice, priva di significativi dolori, e casualmente al riparo dai capricci della sventura. Ciò gli rendeva problematiche le cose, date le premesse teoriche su esposte, facendolo sentire inesorabilmente inadeguato, e questa finiva per essere la sua unica ragione di sofferenza, il dolore di non avere dolori. Vittima di questo banale corto circuito teorico-sentimentale, il prof. Mondrian Kilroy scivolò a poco a poco in un’effettiva depressione nervosa che gli procurava saltuariamente perdite di memoria, giramenti di capo e illogici sbalzi d’umore. Gli accadeva di sorprendersi a piangere, talvolta, senza precise ragioni, né scusanti. Per un certo verso si rallegrava di simili cedimenti, ma non era così succube delle proprie teorie da non provare, ogni volta, un po’ di vergogna. Un giorno, mentre stava appunto piangendo - del tutto gratuitamente - nascosto nell’aula 6, vide la porta aprirsi ed entrare un ragazzino. Era un suo allievo, si chiamava Gould. 

- A un certo punto ce n’è uno che piange -, disse la giornalista, giocandosi l’ultima carta decente.

- Dov’è?

- Più avanti.

- Vack Montorsi andò più avanti. Comparve un professore, in pantofole.

- È quello.

- Era Mondrian Kilroy.

- Ma non piange...

- Piange dopo.

- Vack Montorsi schiacciò play.

- “... in gran parte sono solo storie. La gente crede che le difficoltà di un bambino prodigio nascano dalle pressioni di quelli che gli stanno attorno, dalle attese bestiali che gli mettono addosso. Sono storie. Il vero problema lui ce l’ha dentro, e gli altri non c’entrano niente. Il vero problema è il talento. Il talento è come una cellula impazzita, cresciuta in modo ipertrofico e senza necessità. È come se ti costruissero una pista da bowling dentro casa. Ti devastano tutto, magari è anche bella, magari col tempo impari a giocare a bowling da dio, diventi il più grande giocatore di bowling del mondo, ma casa tua come diavolo la raddrizzi, come la salvi da tutto quello, come fai a tenerti qualcosa che poi, al momento buono, dici - Questa è casa mia, fuori dai coglioni, è casa mia. - Non puoi riuscirci. Il talento è distruttivo, è oggettivamente distruttivo, quello che accade attorno non conta. Lavora là dentro, e distrugge. Bisogna essere molto forti, per salvare qualcosa. E quello è un ragazzino Lei se la immagina una pista da bowling giusto in mezzo alla casa di un ragazzino? Anche solo il rumore che fa, tutti i santi giorni, sempre quel fracasso, e la certezza che un silenzio, un silenzio vero, te lo puoi scordare. Case senza silenzio. Che case sono? Chi gliela restituisce, a quel ragazzino, la sua casa? Lei, con la sua telecamera? Io con le mie lezioni? Io?”

E qui, effettivamente, il prof. Mondrian Kilroy tirava sul col naso, poi si levava gli occhiali, e si asciugava gli occhi con un grande fazzoletto blu, tutto stropicciato. Volendo, era qualcosa come un pianto.

- Tutto qui? -, chiese Vack Montorsi.

- Più o meno.

Vack Montorsi spense il videoregistratore.

A parte piangere - una cosa che ormai faceva spesso e con un certo piacere - il prof. Mondrian Kilroy aveva iniziato a vomitare, di tanto in tanto, e questo, ancora una volta, aveva a che fare con i suoi studi e in particolare con un saggio che gli era accaduto di scrivere e che egli, curiosamente, definiva “la confutazione definitiva e salvifica di qualsiasi cosa io abbia scritto, scriva o scriverò”. In effetti era un saggio molto particolare. Mondrian Kilroy ci aveva lavorato per quattordici anni, senza mai prendere un appunto. Poi, un giorno, mentre era chiuso in una cabina di video porno in cui schiacciando dei tasti numerati potevi scegliere tra 2I2 programmi diversi, aveva capito di aver capito, era uscito dalla cabina, aveva preso un dépliant che spiegava le tariffe della “sala contact”, e, sul retro, aveva scritto il saggio. L’aveva scritto lì, in piedi, appoggiato alla cassa. Non ci aveva messo più di due minuti: il saggio consisteva in una breve sequenza di sei tesi. La tesi più lunga non superava le cinque righe. Poi era tornato nella cabina, perché aveva ancora tre minuti di visione pagata, e gli spiaceva buttarli via. Cliccava a casaccio sui pulsanti. Quando finiva sui video gay, si incazzava.

La cosa potrà sembrare sorprendente ma il saggio in questione non riguardava l’argomento preferito dal prof. Mondrian Kilroy, e cioè gli oggetti curvi. No. Stando alla realtà dei fatti, il saggio si intitolava così:

SAGGIO SULL’ONESTA’ INTELLETTUALE.

il giorno prima di partire, Shatzy passò a salutare il professor Mondrian Kilroy. Gould se n’era già andato da un po’. il professore girava in pantofole e continuava a vomitare. Si vedeva che gli spiaceva veder tutti partire, ma non era il tipo da far pesare le cose. Aveva una formidabile capacità di ammettere la necessità degli avvenimenti, quando accadeva loro di avvenire. Disse a Shatzy un mucchio di sciocchezze, e alcune facevano anche ridere. Poi alla fine andò a prendere qualcosa in un cassetto, e lo diede a Shatzy. Era il dépliant con i prezzi della “sala contact”. Sul retro c’era il Saggio sull’onestà intellettuale.

- Mi piacerebbe che lo tenesse lei, signorina.

C’erano le sei tesi, una scritta sotto l’altra, in stampatello, un po’ di sbieco, ma con ordine. Sotto l’ultima, c’era una nota, scritta con un’altra biro, e in corsivo. Non aveva un numero, prima, niente. Diceva così: 

Un’altra vita, saremo onesti. Saremo capaci di tacere.

Martha introduce e commenta un frammento filmato della lezione 21 

Scena 6 - Vuoto

0.25.30

Voce fuori campo di Martha – Potete anche non crederci, ma il professor Mondrian Kilroy a questo punto faceva un rutto. Cioè, lo faceva proprio lui, sul serio. Gli veniva abbastanza bene. Poi abbassava il tono di voce e, con fare solenne enunciava quello che secondo lui era il primo passaggio cruciale della sua riflessione. Abbiamo perfino un documento rarissimo di quell’istante. Giusto qualche secondo. Ma vale la pena.

Filmato con Kilroy che fa lezione – “Il fatto è che pensate a quel Beethoven in testa alle classifiche e subito voi ci collegate la Nona Sinfonia. Per cui la immaginate come un’apoteosi finale, una sorta di preannunciato trionfo. Ma, signore e signori, la verità è che… che tra quel Beethoven di cui parliamo e la Nona Sinfonia passarono dieci anni, dieci anni in cui tutto cambiò attorno a lui. Centinaia, migliaia di giorni che noi dobbiamo cercare di capire. Rappresentano il tempo che quest’uomo impiegò a scendere all’inferno. Un inferno che potremmo definire con una singola parola…

Che cosa sta facendo? Spenga quella roba. Subito”.

Voce fuori campo di Martha – La parola con cui il professor Kilroy amava definire quell’inferno era vuoto. Per dieci anni, diceva, Beethoven non aveva fatto altro che sprofondare nel vuoto. A dimostrare una simile tesi provvedeva la seconda parte della lezione.

Di solito incominciava dai topi.

Ricostruzione della lezione 21 da parte degli student: il testamento di Hailigenstadt

Scena 8 - Il testamento 

0.40. 22    

Martha al tavolo di un pub con altri studenti (mangiano, bevono, ridacchiano).

Martha – Allora il professore sventolava quella specie di foglio e diceva “il testamento di Heiligenstadt”

Ragazza – E a quel punto si metteva sempre a piangere

Martha – Ma non è vero

Ragazza – Dai, ma come no?

Martha – Era una cosa che Beethoven scrisse un giorno che voleva uccidersi…

Ragazzo – Beh, lo si può anche capire. Lui stava in campagna.

Martha – …o che gli piaceva pensare che si sarebbe ucciso? Okay, comunque, prese carta e penna e scrisse la verità, cioè che lui non era cattivo o antipatico come pensava la gente che lo detestava. Era solo sordo. Maledettamente sordo.

Ragazza 2 – Ci pensi che roba?

Ragazzo 2 – Come se ti dicessero che Michelangelo era cieco.

Martha – Ma è vero. Lui non sentiva più niente. Dopo il 1814 non sentì più nessuna delle note che scrisse.

Ragazza 3 – La gente che voleva parlargli, doveva scrivere su un taccuino quello che gli voleva dire. E poi lui leggeva. Un inferno.

Martha – Allora il professore diceva: “potreste immaginare una solitudine peggiore?”.

 

0 42

[…]

Martha – Allora il professore si alzava in piedi.

Ragazza – Dai alzati, Avanti mettiti in piedi.

Martha – E… diceva molto lentamente “era come una perfetta intrepida barca a vela in una bottiglia”

Ragazzo – In una bottiglia?

Martha – Qualcuno aveva gettato la bottiglia, in mare, e adesso lui sprofondava nel vuoto, rinchiuso nel vetro del suo silenzio.

Kilroy, facendo lezione – E quello era il suo modo di navigare.

I ragazzi in coro – E quello era il suo modo di navigare.

Conversazione sul prof. Mondrian Kilroy e il bordello 

Dal capitolo 9 - Silenzio.

 

0.45.31

Martha, mentre fuma, a un tavolo (bicchiere di vino bianco e boccale di birra) con un’altra studentessa.


Martha – Ad essere sincera, ci sarei andata a letto molto volentieri. No, davvero. Non è che non c’ho provato. Sai. Ma il professore diceva “meglio di no”. Diceva che era vecchio. E aveva un bel modo di dirlo, sai.

Ragazza – Perché non gli racconti del bordello?

Martha – Ma no, dai.

Ragazza – Ma se è una cosa che sanno tutti.

Martha – Appunto per questo.

Ragazza – Sei sempre stata la sua cocca, no? È così: ogni tanto il professore decideva di andare a puttane…

Martha – Ma non è così.

Ragazza – Lasciami parlare. Lui andava a puttane, no?

Martha – Sì. Ma...

Ragazza – Okay. E da chi si faceva accompagnare? Sempre da te.

Martha – È solo perché io avevo la macchina.

La ragazza ride.

Martha – Avevo la macchina e lui diceva che non c’era niente di più triste che andare in un bordello in autobus. Così mi chiedeva se gli davo un passaggio.

Ragazza – E tu glielo davi il passaggio.

Martha – Sì certo. Una volta mi chiese se mi dava fastidio. Insomma, se tutta quella storia mi faceva schifo. E io dissi che no. Che forse no, dipendeva. Non so. E poi una volta gli dissi “professore, perché non viene a casa mia?”

E lui mi disse “Lo sa quanti anni ho più di lei, signorina? Trentasei. Prima che io riesca a dimenticarli tutti, lei si sarà stufata e rivestita”.

Racconto di Martha sul bowling abbandonato 

Scena 11 - La riunione 


0.50.26

Martha al tavolo del pub con gli altri studenti

Martha – Comunque io quella lezione l’ho sentita tre volte, sapete, ma l’ho capita veramente solo quando sono andata nel bowling. Cioè, tutti quei personaggi, nella neve, così strani.

Ragazzo –Sì, però dovresti spiegare del bowling prima, no?

Martha – Ma quello si sa già, dai.

Ragazzo 2 – No, no, spiegalo. Io non lo so.

Martha – Davvero?

Ragazzo 2 – Sì.

Martha – Vabbe’. Il professore già da qualche anno se ne era andato a vivere via. Cioè in un bowling. Era un posto abbandonato. Un posto dove si erano rifugiati dei poveri senza tetto.

1 Non era per i soldi, no?

Martha – No no, no, i soldi li aveva. È che stava meglio lì. Diceva che stava benissimo in mezzo a quella gente.

Ragazza 1 – Era un bowling, isolato in periferia, ma era chiuso da tenti anni.

Martha – Sì. Così un giorno, sarà stato subito dopo aver preso la laurea, decisi di andarlo a trovare. Per far visita al professore, dove viveva. Bowling abbandonato. Non c’ero mai stata. E io non posso dimenticare quel giorno, perché allora tutto andò a posto. E se, io sono stata vicina a capire quello che lui voleva dire in quella lezione, fu quel giorno. Fu un privilegio per me.

Martha arriva al bowling.

L'ultima lezione del prof. Mondrian Kilroy 

Scena 14 - L’ultima lezione

1.16.10

Martha al bowling con il professor Kilroy che si prepara il pranzo

-Magari era solo perché lui era un genio ed il pubblico no. E fu per questo che non lo capirono.

-Eh, no. Quella è la solita favola e non la voglio sentire. Soprattutto da te. Soltanto dieci anni prima il pubblico lo capiva benissimo, anzi ne aveva fatto una star. Cos’è? Erano diventati di colpo tutti stupidi?

No… il fatto è che loro erano un mondo in cammino, mentre Beethoven, lui, era sprofondato in se stesso. Credimi, non capirono quella sinfonia, non perché fosse troppo avanti per i tempi, ma non la capirono perché era troppo indietro. Quella era musica vecchia.

-Questa non gliela farebbero proprio passare all’università.

(Kilroy Ridacchia)

-Però è così. Non ci sono santi. Si alzavano e se ne andavano, Martha. Guarda non capirai mai niente della Nona se non tieni conto che lui era vecchio. Sordo. Solo. Discretamente disperato ma soprattutto, era vecchio. E quella era la musica di un uomo vecchio.

-Era musica fuori moda, sono d’accordo con lei ma, guardi cosa è successo dopo. È diventata il modello per tanti Grandi, una lezione quasi.

-Sai cosa mi commuove nella Nona?   Il fatto che c’è così poca bellezza. E questo è una cosa tipica dei vecchi. Non l’hai mai voluta capire tu questa cosa. Quando si è vecchi avere a che fare con la bellezza è maledettamente complicato. Di tanto in tanto la puoi anche rubare, come un miracolo, ma la regola è che l’hai perduta per sempre. Sì, puoi ricordarti bene di quando eri così forte o leggero da allungare la mano e prendertela, ma non è più così. Mai.

Tu lo sai qual è la vera tragedia? Che la forza invecchia nella complessità. E la leggerezza nella pazzia. La forza costruisce e costruisce e, alla fine non c’è più spiraglio, non trovi più una porta aperta. Niente. E la leggerezza sempre svapora, diventa una cosa inutile. Come un volo senza uccelli.

-…

Beethoven, che era la forza, diventò incomprensibile. E Rossini, che era la leggerezza, impazzì. E io, che sono il professor Mondrian Kilroy, sto seduto qui in un bowling, con la mia cena.

Piccolo riassunto della lezione, Martha.

Nella Nona sinfonia c’è intelligenza, genio, libertà. Ma c’è così poca bellezza. Proprio perché non gli riusciva più di… doveva farsi strada tra tutta quella complessità.

I gesti dei vecchi, sempre così complicati. Difficili.

Ritrovare per un attimo un po’ di bellezza. Ci riuscì forse ancora un paio di volte ancora, prima di morire. Ma non nella Nona.

Tempo dopo.

Musica piccola.

Niente a che vedere con cori oppure …

Musica piccola.

Io ogni tanto me lo immagino sai, lì, nel deserto ghiacciato della sua vecchiaia, d’improvviso ritrovare i passi lievi della bellezza per riuscire a sfiorarla, stringerla con un unico preciso gesto.

Un miracolo.

Tutti ci meriteremmo un miracolo così.

Ce lo dovrebbero concedere nell’ultimo istante, in cambio del morire. In onore di questo nostro paziente,

splendido morire.

Voce fuori campo di Martha

Chiunque abbia assistito alla famosa Lezione 21 sa che a questo punto il professor Mondrian Kilroy era solito alzarsi e ritirare le sue cose dalla cattedra, nel silenzio più assoluto.

L’ultimo gesto del professore era cancellare la lavagna. Poi se ne andava verso l’uscita.

Nessuno l’ha mai visto voltarsi.

Oggi vive con tre amici, in una piccola casa alle porte di Parigi.

Mangia solo al ristorante.

Non legge i giornali.

Ed è felice.

Passa il tempo a studiare la musica dei neri americani, 

convinto che in essa sia racchiusa tutta la musica del mondo.

 
Dintorni > lezione 21